Alcuni anni fa Marco mi parlò di una piccola mostra sul rammendo, un’arte povera e indispensabile per i poveri di tutti i secoli e luoghi, che si teneva in un paesino del cremonese. Il rammendo! Solo lui poteva consigliarmi una visita del genere. Poi sono sempre scoperte. Così un giorno che non avevo voglia di fare niente, solo di andarmene a spasso, tanto per darmi una meta ci sono andato. Era estate, faceva molto caldo, le strade specie dopo Crema, erano quasi vuote e io potevo guidare rilassato ad andatura lenta, con i finestrini abbassati, chiacchierando tranquillamente con mia moglie. Ricordo che nelle due o tre salette sufficienti per la modesta esposizione non c’era nessuno. Anzi, erano chiuse, e ho dovuto chiedere in giro, nel cortile del grande casale dove era ubicata, per trovare qualcuno che mi aprisse. Dentro c’erano alcuni piccoli capolavori del riuso: non solo abiti, calzini, biancheria intima, ma anche, ricordo, elmi bucati della grande guerra, richiami per anatre di legno e tutta una serie di oggetti minimi recuperati con interventi mediante spaghi, fil di ferro, listelli di legno o di latta, alcuni accompagnati da ricami o decorazioni per abbellirli. Una meraviglia dell’ingegnosità elementare, una tenerezza sorridente e commovente. La persona che ci aveva aperto, guardando con sorpresa la targa della macchina (da così lontano! ...che poi in fondo saranno stati un’ottantina di chilometri o poco più), ci ha segnalato che in un'altra ala del grande edificio c’era anche un piccolo museo del baco da seta e del lino se ci interessava. Certo! Era un lungo salone, uno spazio che una volta doveva essere stato un magazzino o una stalla, o forse proprio dedicato all’allevamento dei bachi, con lunghi bancali dalle sponde rialzate un tempo stipati di bachi e delle foglie di gelso di cui si nutrivano, altri oggetti e fotografie di fine ottocento-inizio novecento alle pareti che illustravano i vari momenti della coltivazione e della produzione, reperti della vita rurale che vi ruotava attorno e relativi ad altre coltivazioni coeve di quelle campagne, soprattutto del lino. I linifici erano molto diffusi in quell’epoca: uno molto grande c’era anche al mio paese, il primo in Italia sembra, con duemila operaie e operai, la cui struttura, con grandi spazi vuoti, bellissimi, resistono a fatica, in avanzato deterioramento, ancora oggi, dopo che i macchinari meno vecchi sono stati trasferiti mi pare in Lituania tre decenni fa. Amen.
Per dire...
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