22/07/21

E’ bello ubbidire all’alfabeto (Appunto su Il tramezzino del dinosauro, di M. Belpoliti)


Ho il vizio di leggere i libri dall’inizio alla fine. Anche quando permetterebbero di non farlo, quelli con l’indice dei testi alfabetico, per scelta o comodità; o per evitare altre forme di organizzazione, più impegnative. Sono fatto così. Mi piace ubbidire all’alfabeto. Inchinarmi alla sua dolce tirannia.

I pezzi di Il tramezzino del dinosauro, scelti tra quelli sulla Stampa tra il 1999 e il 2006, seguono questo ordine. Sono tanti brevi articoli che sembrano altrettante istantanee, istantanee che sono epifanie. Belpoliti vede le cose, non le va a cercare. Le trova. Ha un radar speciale per questo. Sono cose che hanno sotto gli occhi tutti, ma appena il suo sguardo si posa su una di loro, la mette a fuoco, scatta l’illuminazione, che però subito si ramifica in un’analisi o una storia.

Non sono oggetti sfiziosi o rari che va a cercare, ma cose comuni che incrociano meno i suoi sguardi che i suoi pensieri. Non credo sia la loro vista a scatenarli, è il modo di pensare di Belpoliti, i suoi pensieri sempre in movimento, che li conduce alla soglia del visibile, dove allora i suoi occhi li captano. E’ una specie di Mithologies (non a caso il Barthes giapponese viene citato nel libro, p. 20 e 46), dove i miti sono le cose. Alcune legate alla sua storia personale (Biciclette), altre alla vita quotidiana e alle minime novità di cui è costellata. Invenzioni e merci che entrano senza far rumore nelle nostre consuetudini e le cambiano radicalmente e di cui ci accorgiamo solo quando ci vengono a mancare o qualcuno le guarda come non le abbiamo mai viste. E allora scuotiamo lentamente la testa avanti e indietro, avanti e indietro, e poi alziamo gli occhi e pensiamo: è così. E a volte ci sentiamo più intelligenti. Migliori.

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