
Oggi
sono uscito di casa nell'esatto momento in cui la notte finiva. Erano le 7,05,
c'era tutto buio, la luna uno spicchio sottile, prossimo a estinguersi anche se
brillante. Dopo 500 metri, appena imboccata la strada per Pontirolo, l'unica
fonte di luce è rimasta lei. Per 5 km è aperta campagna, senza case né
lampioni, con scarsissimo traffico a quest'ora, ma molto pericoloso, perché gli
autisti si sentono al sicuro e, nonostante la strada stretta, vanno a forte
velocità, tagliano le curve con gli abbaglianti accesi e si concedono più
distrazioni del solito. A chi cavolo telefoneranno così presto? Oggi ho
incontrato quattro macchine e Mariangela con le due cugine che camminavano sul
bordo dell'asfalto avvolte da giacche catarifrangenti: andavano di buona lena,
ma spesso si accostavano per scambiare qualche parola, con il rischio che
esattamente allora sbucasse un bolide. Cosa cavolo avranno sempre da dirsi,
dopo tutti gli anni che camminano assieme? Di sicuro non si raccontano i sogni,
se ne hanno ancora. Io, per esempio, non ne ho.
Il
cielo era ancora scuro, l'orizzonte non si vedeva, le masse degli alberi nere e
non definite, i confini tra i campi indiscernibili. Ma subito è comparso un
lucore minimo, senza fonte, che non si posava sulle cose ma restava sospeso
nell'aria, inconsistente, come se questi primi raggi infiltrati di contrabbando
nell'atmosfera non avessero la forza di raggiungere il mondo e si
accontentassero di galleggiare lì, ad altezza incerta, consumandosi nel vuoto,
nel suo interregno. Nell'intervallo tra qualcosa che non c'è più e altro che ancora
non si sa (se poi verrà).
Poi,
nei 5 minuti successivi, pian piano, pur senza riuscire ancora ad affermarsi,
si sono rafforzati. Restava ancora tutto buio, ma cominciavano a emergere le
masse, a delinearsi i contorni più vistosi, e la guazza, in lontananza, a
brillare fiocamente, sospesa sui campi, a nascondere in tronchi degli alberi
giù in fondo, a bendarli nel mentre resecava le radici dalle chiome. Il cielo
rimaneva buio, ma a un certo punto, dietro la linea bassa degli alberi, ho
cominciato a vedere il profilo delle nubi, che forse sono solo la forma
notturna dell'umidità, sopra l'orizzonte.
Man
mano che procedevo verso la Geromina, gli alberi uscivano dall'indistinto, e i
margini dei fossi tra i campi. Grosse linee irregolari, spatolate di buio nel
buio. Una debolissima punteggiatura rosata tentava di forzare il limite basso
del cielo, ma forse era solo un desiderio, suo e mio. Le cose si arricchivano
dei loro lineamenti, gli alberi delle foglie, prima a gruppi, in piccoli
addensamenti dal profilo netto, poi nel dettaglio, ad una ad una.
Poi,
raggiunte le case, sono apparsi tra gli alberi del viale, i lampioni, e anche
se sopra il cielo si caricava di azzurro, la luce elettrica lo sovrastava e
permeava. Meglio: lo contrastava e insieme lo metteva in risalto, lo caricava;
e in quel momento, per qualche secondo, anche quel contrasto era bello. Se
alzavo gli occhi verso il più alto del cielo, vedevo il blu perdere il nero e
acquistare brillanza. L'orizzonte diventava violetto, ma si scorgeva raramente
dietro il profilo delle case, o negli scarsi intervalli.
Ora
che sono seduto in treno e guardo dal finestrino, in attesa che parta,
l'orizzonte è di un pallido fucsia, le nubi sottili appena tinteggiate, e il
resto è azzurro scipito. Tutto il resto.