12/11/22

Cose che fanno la differenza

 


L'altro giorno, domenica 14 agosto, sono andato a fare la solita passeggiata al fiume, anche per vedere quanta gente c'era in giro. La curiosità! Che sia benedetta. La passerella era quasi deserta (prevedibile, con la canicola delle tre), mentre sul ponte del secondo canale, quello della centrale elettrica, c'erano alcuni ragazzotti che, sotto gli occhi di un pubblico trepidante e ammirato, si gettavano in acqua per nulla ostacolati, stimolati anzi, dalla presenza di due canotti stracolmi di volontari della sicurezza che arrancavano loro incontro, incazzatissimi. Gente, i ragazzotti, perlopiù non autoctona, spavalda già di suo ma che proprio in quanto non autoctona ci tiene a sottolinearlo, e che ignora le insidie del canale e del fiume, i gorghi e le buche, o, conoscendole, le sfida a bella posta: di quelli che annegano uno o due alla volta tutti i sacrosanti anni. Chissà quanti saranno quest'anno, mi sono chiesto al passaggio, sorridendo benevolo (non per i morti a venire: per il ricordo di quando anch'io mi buttavo dai ponti; anch'io mi sentivo allogeno in quei tempi, o quantomeno differente).

L'ictus beota della nostalgia mi è rimasto stampato in faccia fino al Pignone, la spiaggetta di Groppello, poco distinguibile peraltro dall'espressione abituale (infatti i conoscenti che incrociavo non mostravano sorpresa di sorta nel salutarmi). Al Pignone, oltre alle consuete compagnie che prendevano il sole o smaltivano faticosamente le pantagrueliche grigliate dei giorni festivi, ronfando o con il presunto ausilio di spettacolari e patetici exploit sportivi forieri di congestioni e infarti per fortuna meno numerosi del presumibile, mi sono imbattuto in una sfilza di mercatini sotto le candide tende di prammatica, un gonfiabile da cui i bambini si fiondavano a raffica uno sul capoccione dell'altro, per subito risalire (era gratuito), autoveicoli che vendevano bibite, patatine e panini farciti di nonvogliosaperecosaneancheconlapistolallatempia, bidoni per la spazzatura e due toilette ecologiche trasportabili. Sotto una tenda a parte c'era un banchetto dove coabitavano i rappresentanti del comune di Cassano e del comitato del Parco Adda-Nord, con relativi libretti e opuscoli che ho ignorato.

La piccola kermesse era stata organizzata per allietare il ferragosto di chi è già stato in vacanza e si prepara a riprendere il lavoro (chi ancora ce l'ha), e soprattutto per alleviare lo sconforto di chi non ha potuto partire; chi passa l'agosto al paesello per scelta, come il sottoscritto (snob e privilegiato!), non necessita di diversivi né di palliativi, anche se si guarda bene dal disprezzarli se qualcuno ne ha bisogno e ne trae piacere, come chi cava il sangue dalle rape. Il programma degli eventi era illustrato da manifesti cartacei, mentre il suo spirito sarebbe poi stato ribadito per tutta la salitella che porta verso il naviglio da un lungo nastro di cartelloni che ribadivano lo slogan della rassegna e l'indirizzo internet più numero di cellulare del principale partner degli organizzatori. Il genotipo era un pannello di 4 metri di tela stampata, cucito in numerose copie (la ripetizione identica ha la sua efficacia, lo sanno tutti) per una nota di allegra e colorata comunicazione. Almeno nelle intenzioni degli autori; e nella ricezione di committenti e fruitori, immagino (è il comune sentire popolare).

Lo slogan affermava: LA PASSIONE FA' LA DIFFERENZA. "Anche la grammatica", mi è venuto da pensare subito (con le maiuscole). La reazione mi è poi frullata in testa per un po', con tutta una serie di varianti e espansioni (anche l'ortografia, nel suo piccolo, la fa; anche la sintassi dovrebbe farla; anche l'ortografia, la grammatica e la sintassi la fanno, o dovrebbero farla, ecc.: la maledetta abitudine di cercare la frase perfetta che finisce per rovinare anche quelle decenti, che tanta grazia quando già ci sono), finché non mi è tornato alla mente il primo giorno di scuola nell'ultima terza che poi avrei portato fino agli esami di maturità, una classe che peraltro mi ha dato soddisfazioni, giusto per chiudere in bellezza la mia carriera di impiegato statale dell'insegnamento. 

Appena entrato nell'aula, mentre gli studenti scattavano in piedi in silenzio, sulla grande lavagna alle spalle della cattedra ho potuto leggere questa preziosa informazione, a caratteri giganti: SANDRA FÀ LE POMPE, accompagnata in ordine sparso, come da damigelle e a caratteri molto minori, da qualche nome, cuoricino, sigla da aspirante writer (eterno aspirante) e inneggiamenti all'Atalanta e a squadre milanesi di nessun conto. Ho salutato, pregato tutti di accomodarsi (non subito: prima li ho scrutati tutti, ad uno ad uno, per un po', giusto per godermi queste vecchie buone abitudini finché duravano, sapendo che tempo un paio di settimane e nessuno avrebbe più fatto caso al mio arrivo), mi sono presentato e, come se niente fosse, senza cancellare nulla, ho scritto nome e cognome sulla lavagna (dovevo aver visto qualche film americano di recente, perché era la prima e sarebbe stata l'ultima volta nella mia vita). Quindi ho fissato un momento la lavagna come per controllare che le mie generalità fossero corrette, mi sono voltato verso la classe e ho comunicato le principali norme di comportamento a cui mi sarei attenuto e che pretendevo anche da loro e ho illustrato velocemente i programmi... insomma mi sono esibito in una variante dell'abituale leggero e (mi dicono) divertente pistolotto di inizio corso. Infine, esplicate queste incombenze, ho guardato l'orologio, mi sono voltato verso la lavagna e, chiedendo chi era l'ignorante che l'aveva scritta, ho cerchiato e barrato la à della frase succitata. "Fa si scrive senza accento", mi sono limitato a dire. Tutti si sono voltati, con sintomatiche varietà di sguardi, verso l'autore della scritta, che, in attesa delle mie reazioni da un'ora intera al pari degli altri, è sbottato: "Ma profe, le fa davvero!". "Sono affari suoi," gli ho risposto, "e ora cancella questo obbrobrio"; e ho imbastito un breve ripasso sui monosillabi accentati, con opportuni esempi (gli esempi servono sempre), prima che suonasse la campanella. Ovviamente lo scrittore era il caso critico (stavo per scrivere clinico) della classe e io sono stato l'unico insegnante con cui non ha litigato negli anni seguenti, anche se ci ha provato più volte (ma da affezionato...).

Mentre rivangavo queste banalità, e le scaramucce, e i disastri combinati dall'allievo in questione (inutile negarlo: l'insegnamento mi manca; solo quello, ma quello mi manca davvero, a volte: carenza d'affetto), pensavo anche alle cose che fanno la differenza che mi mancano. Il fumo, per esempio (e va be'...), e il cioccolato e il gelato, a causa del valore della glicemia sempre vicino al limite (e altre cosucce come questa, dovute alla vecchiaia incombente; non ancora evidente... lontana dall'evidenza... piuttosto il contrario, sembrerebbe... ma comunque incombente, altro che palle!). Avevo un gran desiderio di caffè, che pensavo di bere in uno dei due bar appena entrato in Groppello, sperando che non fossero chiusi come tutti gli altri, poi ho visto un cartello che annunciava che la vicina gelateria artigianale era aperta e ho cambiato subito direzione. E che diamine, festeggio anch'io! La differenza a volte la fa l'infrazione. Per qualcosa che ti piace: non per l'infrazione in sé, questo mito scipito, d'accatto (per quanto a volte, si sa... anche se è solo un rigurgito di libertà, una fantasia dell'eterno prigioniero...). Un bel gelato al cioccolato fondente!, tanto per sposare due differenze.

Mentre lo gustavo, visto che ero nei paraggi, tutto contento sono andato a vedere il cimitero del paese, che non conoscevo. Tutto contento al cimitero! Non ho una passione vera e propria per i cimiteri, ma se ci passo davanti mi fermo spesso a visitarli (all'estero, nelle grandi città soprattutto, ci vado di proposito). Al centro del vialetto d'ingresso c'è un'alta cappella con, in alto, un monumento funerario che di primo acchito, col suo lungo cappello a cono, mi è parso di Pinocchio. Sarà di un vescovo invece: per chi ci vede una differenza. (C'è, c'è...) Ho scattato un paio di foto da fuori mentre finivo il gelato e poi, pian piano, ho preso la via del ritorno fischiettando la canzone che avevo nell'auricolare. Una canzone africana.

 


 

 

 

 

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