Quando ancora fumavo, cioè fino a tre giorni fa, ma
persino adesso, adesso che da tre giorni ho clamorosamente smesso di fumare,
anche se certi sciagurati un pochino deplorano questa mia decisione, che poi
non è tale essendo dovuta a circostanze occasionali che ora non ho voglia di
specificare, perché la sigaretta secondo loro sarebbe parte integrante di me,
dell'immagine che loro hanno, o avevano e hanno conservato, di me, tanto che io
sprovvisto dell'appendice della sigaretta sarei, sempre secondo loro, alla
lettera impensabile: ciò che si tradurrebbe in una disgrazia senza rimedio,
perché essere pensabile è la condizione sine qua non per essere pensato, e
essere pensato lo è per essere amato, o quantomeno per suscitare un qualche
affetto, e suscitare un qualche affetto, e soprattutto essere amato, è quanto
di meglio uno possa desiderare, e non a caso è appunto ciò che tutti, che lo
confessino o meno, maggiormente desiderano, qualunque sia la forma che questo
amore poi prenda effettivamente, vale a dire nei fatti, cioè nella realtà, sia
pure solo nella realtà di un'immaginazione o di un fugace pensiero, uno di quei
pensieri che ti attraversano la testa come un treno o altri proiettili; quando
ancora fumavo, dicevo, chiunque mi vedeva con una sigaretta in mano, vale a
dire praticamente tutti quelli che mi conoscono e spesso anche qualcuno che mi
incontrava per la prima volta e io manco sapevo chi cazzo fosse, e addirittura
gente che mi sfiorava per un unico miserabile attimo e tuttavia non rinunciava
a dire la sua, come si usa qui da noi dove la saggezza o è pubblica o non è, e
quindi va condivisa, e financo imposta se incontra resistenza, chiunque, dicevo,
dal primo all'ultimo, si sentiva in diritto di elencarmi, ovviamente per il mio
bene, tutti i cosiddetti pericoli del fumo, a partire, con tanto di statistiche
alla mano, dal famigerato tumore ai polmoni, come se io fossi un deficiente
quasi altrettanto perfetto di lui; cosa che non credo che sarò mai, non
foss'altro che perché io certi discorsi mi sono sempre ben guardato dal farli,
né in passato, all'epoca in cui ero ancora un fumatore, quando essi mi
avrebbero automaticamente marchiato come un cretino autolesionista di
proporzioni colossali, ovvero un sottilissimo umorista sempre pronto al più
crudele sberleffo, anche a costo di non essere capito, ammesso che tra i miei
conoscenti uno in grado di capire ci fosse o ci sia o ci sarà, né che mi
azzarderei a pronunciare oggi, oggi che ormai sono un ex-fumatore di lungo
corso, perché pur non essendo un genio, o forse anche sì, ma qui è secondario
stabilirlo, da tutte le tirate che mi sono sorbito per quarant'anni fino a tre
giorni fa, e ancora oggi che hanno perso la loro principale funzione, a meno
che questa non fosse di farmi uscire dai gangheri e cercare la rissa, se una
cosa ho imparato è proprio di evitare come la peste certi discorsi, a maggior
ragione quando toccano argomenti così delicati come i tumori, nel presente caso
ai polmoni, avvalendosi di frasi fatte e statistiche pseudoscientifiche, sempre
che di scientifiche ne esistano.
Ora, uno dei vantaggi di vivere in paese è che si
sa sempre di cosa muore la gente: di cosa muore esattamente, e non con
informazioni generiche o per classificazioni statistiche. Saperlo in tutti i
dettagli, specificando le circostanze, i presupposti e gli accidenti
occasionali, i fattori ereditari e le variabili individuali, nonché i fatti
rilevanti, i detti memorabili e le sorprese che non mancano mai, specie quelle
negative, sorprese macabre ma spesso con risvolti divertenti, almeno per gli
estranei, di fatto è uno degli argomenti più comuni nelle conversazioni
paesane, tanto che per colmare qualsiasi lacuna in merito non hai che da uscire
di casa, o anche stare in casa e fare un colpo di telefono, o chiedere alla
vicina di pianerottolo, risoluzione non troppo consigliabile tuttavia, a meno
di non avere già approntato tutte le opportune contromisure, e quindi te ne
puoi sbattere delle statistiche. E' sulla base di questa ormai semisecolare
conoscenza diretta, o al massimo di secondo grado, che posso dire ai fumatori,
tranquillamente e senza tema di essere smentito, che quelli che muoiono di
tumore ai polmoni sono in realtà pochissimi, molti meno di quanto affermino le
suddette statistiche ufficiali e i dottoroni dei programmi televisivi che si sa
benissimo di quante menzogne siano capaci, come tutti quelli che fanno proclami
in televisione specie se colpiti di recente da ictus o da meningite o simili da
bambini ovvero da reiterati trapianti di capelli e eccessi cortisonici da
vecchi, con tutto che da noi i fumatori sono tanti, ben al di sopra della media
nazionale, presumo, che già non scherza. E non è che qui da noi l'aria sia
impregnata di qualche effluvio miracoloso o che i miei compaesani abbiano una
dotazione cromosomica speciale, a meno che la stupidità non sia una difesa
sufficiente: è che effettivamente il numero dei tumori ai polmoni, e il numero
delle morti ad essi conseguenti, sono irrisori rispetto a quello dei fumatori,
anche se non vorrei essere io il primo ad accrescere né l'uno né l'altro. Ci
tengo a comunicare questa banale verità perché se c'è una categoria che ha
bisogno di buone notizie è quella dei fumatori, inclusi gli ex come me, perché
non basta smettere per ritenersi del tutto esenti dai pericoli che una lunga
convivenza con il vizio ha seminato, come insegna la vicenda del peccato
originale in tutte le sue versioni, che avranno certo un buon fondamento visto
che sono così tante; e questa è davvero una buona notizia, immagino, tanto più
in quanto inattesa. Una notizia che consola. Per dovere di completezza, devo
però aggiungere la notizia complementare, e meno succulenta, che, sia pure di
qualcos'altro, anche il resto dei fumatori muore. Per tacere dei non fumatori,
cioè di coloro che hanno la disdetta di morire comunque, e nelle forme più
varie e talvolta, purtroppo, dolorose, senza avere mai gustato il piacere,
pericolosissimo per carità, del fumo, o che magari hanno solo subito quello
passivo, che è il colmo della sfiga, anche trascurando per un attimo l'anatema
ancestrale sulla passività in genere. Non so quale delle due notizie è più
utile come scusa per continuare a fumare o viceversa come stimolo a smettere.
Secondo me vanno bene entrambe, per entrambe le decisioni. Meglio di così si
muore.
Comunque sia, a tempo debito, su pressione della
più insistente tra le anime in pena che si struggono d'amore per me, mi ero già
sottoposto alle visite di controllo di prammatica. La più sorprendente, quella
che ha consolidato, caso mai ve ne fosse bisogno, la mia testardaggine, la
famosa testardaggine dei Grazioli variante estrema di quella endemica tra i
bergamaschi, di persistere nel vizio (di persistere fino a quando non
subentrasse una decisione contraria, ciò che è accaduto tre giorni fa, per
quanto, lo ribadisco, non sia il caso di parlare di decisione), è stata la
visita, privata, cioè a pagamento, dal migliore tra i pneumologi di un
modernissimo ospedale dei dintorni, uno che mi era stato caldamente
raccomandato, tra l'altro: bravissimo! per opinione generale, che raramente
sbaglia quando c'è in ballo la pellaccia. E infatti bravissimo lo è davvero.
Eppure dubito di avere mai incontrato un cretino che gli stesse alla pari. Con
tutto che in questo campo la mia esperienza è piuttosto ampia, dato che
frequento i miei simili. La prima e ultima volta che il famoso specialista mi
ha visitato, dopo avermi auscultato in lungo e in largo, fatto le lastre del
caso e sottoposto a un interrogatorio ad ampio spettro (l'immagine è voluta) a
cui come al solito ho risposto con sfavillante intelligenza e umorismo, il suo
verdetto è consistito nel mettere in dubbio, forse a causa proprio del mio
umorismo e come temendo che lo stessi prendendo in giro, a meno che non fosse
lui a prendere in giro me, che fossi un fumatore, non dico incallito, ma
nemmeno di primo pelo, perché a parte una punta di catarro dovuta a una normale
bronchitella di stagione, i miei polmoni, con relative dépendances e tutta la
regione circumvicina, sembravano quelli di un bambino. Di un bambino in salute,
beninteso. Me lo sono fatto mettere per iscritto, a scanso di equivoci, perché
se aveva intenzione di fare il bischero sapesse che così ero in possesso di tutti
gli elementi per una bella denuncia, di cui avrebbe se non altro beneficiato la
mia signora vedova. E lui ha eseguito, in bella scrittura (calligrafia). Per
festeggiare la notizia ho immediatamente estratto le sigarette dal taschino, ma
prima che ne accendessi una, il luminare, fulminato da un rigurgito del
giuramento ippocratico, mi ha fatto notare che eravamo in ospedale. Che
aspettassi di uscire almeno!, mi ha intimato con evidente invidia. Io invece mi
ero fatto l'idea, con i polmoni sani che mi ritrovavo dopo quarant'anni di
fumo, che la loro chimica fosse simile a quella di un depuratore, o meglio: di
una storta alchemica: entrava il fumo con tutte le sue schifezze e, dopo che
tali schifezze erano state in parte neutralizzate per essere espulse come
scorie indifferenti, biodegradabili, e per il resto tramutate in agenti
benefici per il mio corpo, se ne usciva un alito profumatissimo dei cui effetti
taumaturgici mi sembrava giusto che beneficiassero anche i poveri degenti
dell'ospedale. Grosso modo quello che tutti si aspettavano da me, cioè, date
certe premesse dell'infanzia più remota, che raramente ingannano. Qualora
fossero ingannevoli, nessuno se ne ricorderebbe più, e non ricordandole,
nessuno sarebbe ingannato.
Col mio primo medico di base, invece, era normale
che si fumasse una sigaretta insieme in ambulatorio. Uno della vecchia scuola!
Avevo l'età dei suoi figli, di cui ero amico, ma mi aveva preso in simpatia e
mi trattava da pari a pari. Io, per non fare lo schizzinoso, glielo permettevo come
se niente fosse. Le poche volte che andavo in ambulatorio, appena sbrigate le
faccenduole relative alla salute mia o di qualche famigliare, mi diceva: "cià
ca fömom 'na sigarèta 'n santa pas, ca ga n'ó pié i bale dè töte chi dòne ché e
di sò ménade", e ci mettevamo a parlare del più e del meno: un film, una
mostra, un libro, o diffondendoci in considerazioni generali sull'esistenza e i
suoi corollari. E ce ne stavamo lì anche per 20 minuti o più, con le beghine
che ribollivano in sala d'attesa; nessuna con problemi urgenti o seri, ovvio,
se non la cotta che molte covavano da anni per lui, che di donne ne aveva ben
altre, e quante voleva. Un mito già da vivo. Praticamente dimenticato, ora che
da un po' è morto. Lo ricordo io a nome di tutti.
Quello di adesso invece è di un'altra pasta. Molto
più molle. Lo conosco da una vita, eravamo al liceo insieme, lui un paio di
classi indietro, e quindi io non mi sono mai potuto impedire di guardarlo con
una certa condiscendenza, specie quando mi dà consiglio per la mia salute, come
smettere di fumare. E' bravo, sia chiaro, premuroso, coscienzioso e preparato,
ma cribbio, ha paura di tutto, come se ne andasse di lui! Va beh, l'ultima
volta che ho provato la pressione (settimana scorsa, quando ancora ero un
fumatore incallito e per nulla pentito: cosa che peraltro non sono nemmeno ora,
tanto che se qualcuno insiste su questa nenia, ci metto niente a riprendere a
fumare solo per smentirlo) i numeri erano perfetti: la massima 120 e la minima
bassa bassa, da atleta, il che significa, come mi sono fatto spiegare fingendo
di non saperlo già di mio per dare una soddisfazione al brav'uomo, che il
sangue scorre senza fatica, maestoso, tra le arterie elastiche, pulite e ben
lubrificate: cioè tutto il contrario di quelle dei fumatori incalliti. La
circolazione quindi è buona, il sangue arriva alla periferia senza intoppi, la
testa funziona per quello che può e anche la funzione erettile, per quanto non
sottoposta ultimamente a cimenti assidui e particolarmente intensi, sembra non
risentire troppo dei rischi che paventano i pacchetti delle sigarette, nonché
le mogli o le fidanzate (escluse quelle che così hanno la scusa buona per
cercare altri partner, con sicuro tornaconto della loro condizione psicofisica
e talvolta anche del portafoglio, o del bilancio famigliare in senso lato, e
quindi, di converso, dei loro partner abituali stessi, se non vanno troppo per
il sottile e preferiscono non indagare).
L'unico a muovermi rimproveri e a delinearmi
prospettive meno rosee è stato l'otorinolaringoiatra, lui davvero mio compagno
di classe per un certo periodo, che si è allarmato non poco quando ha visto lo
sfibramento delle mie corde vocali, che però, a mio parere, è dovuto più a 35
anni di insegnamento che ad altrettanti di fumo, come dimostra lo sfibramento
similare delle corde di tanti miei ex-colleghi che in vita loro non hanno mai
toccato una sigaretta, di nessun tipo, nemmeno di quelle che ora hanno scoperto
che fanno bene se fumate con moderazione e in buona compagnia. Il fumo si prende
tutte le colpe; il lavoro, che ne ha molte di più e di peggiori, mai neanche
una. Eppure a non lavorare si starebbe molto meglio che a non fumare. Uno che
fuma e non lavora, sta molto meglio di uno incatenato tutta la vita al lavoro
(perdipiù, aggiungo io) senza fumare. Anche a lui, l'otorino, non ho dato molto
credito: non era una cima da ragazzo, perché dovrebbe esserlo diventato da
adulto? Bravo medico, come no; e simpatico; e pure un bell'uomo mannaggia a
lui, con un sacco di soldi meritatissimi dal primo all'ultimo come se non
bastasse; ma che si sente in dovere di fare il pistolotto secondo contratto,
come se io fossi un estraneo o un cretino. Mica gliel'ho fatto notare, però:
gli ho dato ragione, e ho dimenticato tutto immediatamente.
Così se ho smesso di fumare è stato a causa del
dentista, lui pure mio amico fin da ragazzo, ma di tre anni più vecchio: una
causa banalissima, come tutto ciò che mi concerne (cosa di cui ringrazio la
sorte). Dovendo fare un impianto, piuttosto costoso oltretutto, il dentista, o
meglio: suo figlio, dentista lui pure, mi ha aperto la gengiva e trapanato un
bel pezzo di osso, e intimato, tra le altre precauzioni, di non fumare per una
decina di giorni almeno per evitare rischi di infiammazioni e mandare tutto in
malora. Io all'inizio gli ho chiesto se almeno tre sigarette al giorno, dopo i
pasti, me le concedeva, e lui, bontà sua, mi aveva detto che era meglio di no,
ma se proprio non resistevo fumassi pure: tre al massimo, meglio se fumate a
metà; ma poi, quando è stato il momento, tre giorni fa, già che ci sono provo a
smettere, mi sono detto. Stiamo a vedere. Non so quanto durerà. Stiamo a vedere
chi è più forte, era sottinteso, per quanto a me ripugni la sottintesa logica
della lotta, della prova di forza, in questo come in tutti gli altri campi. Per
adesso sto vincendo io. Ci mancherebbe altro. Però un pochino nervoso lo sono.
Meglio starmi alla larga, per un po'. E soprattutto niente discorsi tipo: vedi
che stai meglio? ...che già non tossisci più e la pelle è più tonica? ...visto
che avevo ragione? Fate così: statemi lontani
per i prossimi 10 anni. E già che ci siete, anche per i 10 successivi, che
motivi per essere nervoso ne troverò di certo altri, nel frattempo, e, per
sicurezza, tenetevi alla larga altri 10 anni ancora. Poi, se vi va, potete
venire a trovarmi al cimitero. Cercherò di trattarvi bene, ma non posso giurare
che ci riuscirò.
Didascalie
1 - Cadevano muri e anniversari, e io fumavo (Verona, 1989)
2 - Calcinate, 2007 (foto di Mariella Bettineschi)
3 - Mantova 2007
4 - Come ero ridotto tre mesi prima di smettere (2011)
5 - Calcinate 2007 (foto di Mariella Bettineschi)