15/02/19

Achille, Pentesilea, Tersite. Rancore, lucidità e altre sconfitte (Achilleide - Parerga 5)



Trasformano ogni nefandezza in gesto clamoroso, immortale; lo innalzano al cielo ed è solo lì che noi lo possiamo vedere, timorosi e incantati. Ma il modo giusto di guardarli si avvicina più a quello di Tersite, il calunniatore, il fifone, l’ultimo a partire e il primo a fuggire, la voce dal basso, che proprio per questo viene percosso e cacciato dall’assemblea, e infine ucciso. Il lettore sagace può già indovinare da chi.
Facile: proprio dall’eroe per eccellenza, Achille, che era stato da lui deriso per essere stato colto, si narra (a meno che fosse una menzogna di Tersite: ma chi l’ha raccontata se lui è stato soppresso immediatamente?), in un momento di bestialità e di debolezza. (Ma anche in un momento in cui la bestialità, il tornare prima dell’umano, contiene anche il germe dell’andare oltre, un che di metafisico che travolge l’eroe mentre indugia, disorientato, sconvolto, sul suo limite inferiore, scoprendo che forse è lo stesso di quello superiore.)


Tersite sorprende Achille mentre si accoppia con il cadavere di Pentesilea che ha appena ucciso e, come di consuetudine, spogliato delle sue armi, che andranno a rimpinguare il bottino. Allora vede quanto è bella la terribile guerriera e viene preso dal desiderio di possederla. E lo fa. Non avendo potuto averla da viva, violentarla come si fa con le donne dei guerrieri; avendo dovuto ucciderla per soggiogarla, in quanto grande guerriera essa stessa, ora che ne scopre la divina bellezza viene invaso da un desiderio irresistibile, assoluto, a cui non sa opporsi, e si accoppia con la morta. È solo desiderio bestiale? O non è anche la resa alla quale chi non si arrende davanti a niente e a nessuno, chi travolge ogni ostacolo, è costretto da ciò che ostacolo non è più e lo travolge con l’assoluta bellezza dell’inermità che solo nella morte appare? Non è con la morte che si sta allora accoppiando? E quindi non è questo che suscita la derisione di

Tersite, che ride proprio per difendersi, come spesso avviene davanti a ciò che supera e non si capisce, a ciò davanti a cui altra difesa non c’è, per non esserne sopraffatto? In questo riso Tersite però vede, e mostra ad Achille, la morte che lo attende, l’attrazione che lo soggioga nel mentre stesso che gli fa orrore e vorrebbe evitarla. Achille non tollererebbe, allora, che la sua debolezza venga smascherata dal più debole. Per evitare che proprio da lui venga resa pubblica, sopraffatto dalla rabbia, e dalla inconfessabile vergogna, lo uccide.

La derisione non è la lucidità. Tersite vede qualcosa che è solo alla lettera. Nella lettera c’è tanta verità, ma non tutta.
C’è, in questa storia, una serie di cedimenti e di sconfitte, che ruotano tutte attorno alla morte, e non lasciano scampo a nessuno, in primo luogo a chi la infligge.
Ero partito dall’idea della lucidità che qualcuno lega al rancore, pensando che avesse una parte di ragione. E invece mi sono accorto che non è così. Lo sguardo che nasce dal rancore mostra alcune cose che forse erano poco evidenti, ma non per questo è lucido, perché il suo occhio è al contempo acuto e torbido. Non è dal rancore che la lucidità e il disincanto nascono. È sì dal rifiuto dell’incanto, dalla sua oppressione, perché anch’esso viene da una violenza, che talvolta nasce il rancore; ma il rifiuto dell’incanto non è automaticamente il disincanto, e tantomeno la lucidità.


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