a Angela Borghesi. Grazie
Stamattina, come le uova della covata
tardiva, mi sembra che mi si siano schiusi gli occhi e che ho una vista più
acuta: la boscaglia è meno fitta, come traforata di spiragli, e ci vedo
attraverso; nel canneto si spalancano varchi che mi permettono di perlustrare
angoli dello stagno popolati da anatre che prima sentivo solo; lo snodarsi
dell'Adda vecchia è più netto e profondo, laggiù, con la linea dell'argine come
incisa nel bosco, o tracciata con l'henné, bistrata neroverde; o forse è solo
il mondo che si è aperto per farmi una sorpresa, per non vedermi, lui, triste.
Forse non a caso, ora che alzo la testa
dal quaderno, c'è davanti a me, a terra, uno scoiattolo con in bocca qualcosa,
sembra pane, che mi guarda quasi a offrirmelo, o a farmi segno di seguirlo. E
infatti, mentre riprendo il mio cammino, mi precede per quasi tutta la salita,
tenendosi ai bordi dell'asfalto, come
a indicarmi la strada, la mia strada,
solo la mia e solo a me, tuffandosi tra i cespugli in cima all'erta non appena
è comparsa altra gente.
E io, per festeggiare, poco oltre ho
imboccato una piccola scalinata in pietra che avevo sempre costeggiato e che mi
ha portato su una stradina parallela all'argine, rialzata su un terrapieno
tappezzato di oleandri e di arbusti, a metà della quale, all'altezza della mia
testa, la chioma di un albero di clerodendro ancora fiorito mi ha avvolto di
profumo.
(E io mi sono piegato verso di essa, vi
ho immerso la faccia e non l'ho tolta fino che, stordito, non stavo per
svenire.)
(- Ma la strada è la stessa di ogni
giorno!
-
Sì, è la stessa.)
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