15/07/14

La stessa strada. (La testa nel clerodendro)



 



a Angela Borghesi. Grazie
 
Stamattina, come le uova della covata tardiva, mi sembra che mi si siano schiusi gli occhi e che ho una vista più acuta: la boscaglia è meno fitta, come traforata di spiragli, e ci vedo attraverso; nel canneto si spalancano varchi che mi permettono di perlustrare angoli dello stagno popolati da anatre che prima sentivo solo; lo snodarsi dell'Adda vecchia è più netto e profondo, laggiù, con la linea dell'argine come incisa nel bosco, o tracciata con l'henné, bistrata neroverde; o forse è solo il mondo che si è aperto per farmi una sorpresa, per non vedermi, lui, triste.
Forse non a caso, ora che alzo la testa dal quaderno, c'è davanti a me, a terra, uno scoiattolo con in bocca qualcosa, sembra pane, che mi guarda quasi a offrirmelo, o a farmi segno di seguirlo. E infatti, mentre riprendo il mio cammino, mi precede per quasi tutta la salita, tenendosi ai bordi dell'asfalto, come a indicarmi la strada, la mia strada, solo la mia e solo a me, tuffandosi tra i cespugli in cima all'erta non appena è comparsa altra gente.   
E io, per festeggiare, poco oltre ho imboccato una piccola scalinata in pietra che avevo sempre costeggiato e che mi ha portato su una stradina parallela all'argine, rialzata su un terrapieno tappezzato di oleandri e di arbusti, a metà della quale, all'altezza della mia testa, la chioma di un albero di clerodendro ancora fiorito mi ha avvolto di profumo.
(E io mi sono piegato verso di essa, vi ho immerso la faccia e non l'ho tolta fino che, stordito, non stavo per svenire.)

(- Ma la strada è la stessa di ogni giorno!
 - Sì, è la stessa.)

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