Ben
noto in tutta Europa, sta per essere tradotto su larga scala anche da noi, si
adattano suoi lavori teatrali e si moltiplicano interventi e dibattiti sul suo
lavoro. Alcuni dei suoi testi migliori sono comunque già in libreria da qualche
mese, e vale davvero la pena di leggerli con la necessaria calma e riflessione.
Mi riferisco ai tre notevoli racconti Kulterer,
Al limite boschivo e L’italiano, editi da Guanda con il
titolo di quest’ultimo, e al più noto dei suoi romanzi, Perturbamento, ottimamente tradotto e presentato presso Adelphi da
E. Bernardi.
Sono
testi nei quali una trama essenziale, tanto da indurre erroneamente a passarla
in sottordine o considerarla pretestuosa (in Perturbamento la lunga giornata di visite di un medico accompagnato
dal figlio), fa da campitura al netto stagliarsi di personaggi chiusi in un
privato delirio che accumula in maniera apparentemente caotica le recenti
rovine di un paesaggio, fisico intellettuale e morale, sconvolto da catastrofi
che perennemente si rinnovano.
Altro
che Austria Felix: un susseguirsi di miserie, violenze, alienazioni e deformità
in un ambiente che ne è il perfetto corrispettivo naturale ed anzi ne
costituisce una determinante causale. Paesaggio atroce e sinistro che ben poco
rileva della dolcezza turistica di verdi vallate, ma “tollera soltanto un
minimo vitale”, tanto che in e per esso niente risulta così naturale che
“concepire e perpetrare i delitti più atroci” e un agghiacciante campionario di
suicidi, quando poi non sprofondi in “una oscurità tanto grande da escludere
addirittura il suicidio” stesso.
I
suoi abitanti, e non solo perché il Virgilio del romanzo (dato che chi scrive
riportando fedelmente ogni discorso è il figlio non è chiaro cfr manoscritto),
sono in gran parte malati, pazzi, selvatici, tarati fisici e mentali, che ci
vengono presentati o sull’orlo di una tragedia che sta per esplodere, sovente
immotivata, o che perpetra indefinitamente i suoi effetti se già esplosa, in
uno spazio dominato da cieche coazioni e impulsi incontrollabili (come denuncia
la frequenza di espressioni come: non posso fare a meno di, mi sento obbligato
a, non riesco a evitare di... ecc.), nel quale “tutto succede nella morte”
anche se, o proprio perché, niente riesce a morire definitivamente.
Come
Kulterer, il protagonista dell’omonimo racconto, molti di essi scrivono,
suonano o disegnano; quasi in ogni casa ci sono libri, spartiti o quadri (come
quello “assolutamente brutto e nello stesso tempo assolutamente bello – “è
bello perché è vero” – che si trova nell’allucinante mulino situato nel punto
più oscuro della valle, dove ogni rumore è coperto dai gridi ossessionanti di
un nugolo di uccelli esotici che i figli del padrone stanno sistematicamente
strangolando); ma anche ogni tipo di cultura o di attività artistica non è che
la forma che prendono, o l’esito verso cui conducono, il solipsimo e la
malattia.
Vivono
tutti in famiglie amputate o in connivenze abnormi (l’incesto, che costituisce
anche il motore profondo di Al limite
boschivo), ovvero in una vedovanza che solo impolvera il ricordo di qualche
velatura positiva, sebbene non tanto a causa di un amore o di una felicità
effettivamente consumata, quanto piuttosto perché “un essere umano può sentirsi
unito a un altro che ama soltanto quando quest’altro è morto, e davvero è entrato a
far parte di lui”. Ma più frequente è il caso in cui la consanguineità
rivela solo il perpetuarsi dell’orrore o il progredire della degenerazione e
aumenta il senso di separazione e la consapevolezza del fallimento, che si
esprime al meglio nelle parole del principe in Perturbamento: i membri della mia famiglia “li vedo tutti insieme
come se li vedessi attraverso di me,
e all’improvviso mi viene in mente una mostruosa costellazione, qualcosa di
tremendo, forse la cosa più tremenda che esista: io sono il padre!”.
Del
resto è proprio nelle parole del principe, il cui lunghissimo monologo occupa
tutta la seconda parte del romanzo e dà luogo ad alcune delle pagine più
cupamente folgoranti degli ultimi decenni, che trovano spesso la loro
sistemazione e il momento di massimo dispiegamento razionale, ma anche di
massima Follia, tutti i discorsi dei personaggi incontrati da padre e figlio
lungo la loro catabasi.
Questo
non comporta tuttavia l’assunzione del principe a portavoce di un ipotetico
messaggio dell’autore: nonostante sia possibile infatti, e forse anche
legittimo, estrarre dagli scritti di Bernhard una o più tesi ascrivibili con
buona probabilità alle sue idee o opinioni, la sua caratteristica fondamentale
è piuttosto la sistematica recensione, ossessiva e lucida, lucida ma ossessiva,
di ogni possibile discorso, un accanimento incrollabile a evidenziare le
complementari assurdità di chi vuole costruire un edificio accatastando macerie
riconosciute nella loro inservibile negatività e di chi prospetta discorsi
alternativi aggirando queste macerie, come se fosse possibile biodegradarle o
come se ci fossero altri materiali disponibili.
Bernhard
muove forse dal rifiuto di ogni dimostrazione e pensa davvero che “l’unico fine
didattico raggiungibile è la morte”, ma è comunque evidente che da una
prospettiva del genere risulta una visione del futuro come azzeramento e del
passato, proprio in quanto passato, come male minore, quasi da rimpiangere,
anche se in esso era già attivo qualcosa di più dei semplici germi del luttuoso
presente.
Ciò
non toglie però che la forza dello scrittore austriaco risieda nella negazione
di ogni palliativo o investimento sentimentale: egli si pone di fronte alle
cose narrate in un atteggiamento freddo e come scientifico, e il suo stile è sì
violento, perché da esse promana violenza, ma privo sia di compiacimento che di
rabbia. Ma la passione sottratta all’oggetto e allo sguardo si è riversata
tutta nella scrittura, che al pari del principe gela “dall’interno verso
l’esterno” rivoltando ogni lato della realtà e dei concetti e presentando così
qualcosa di nuovo che non sia automaticamente negativo.
Non
si devono dimenticare le valenze positive che appunto la lucida sistematicità
recensiva può comportare: come nota giustamente E. Bernardi, è forse infatti il
viaggio stesso la risposta implicita alla lettera, contenente “una prima, sia
pure prudentissima protesta di un ragazzo contro la brutalità della vita”, che
il figlio aveva inviato al dottore sperando invano dirette parole consolatrici
o illuminanti.
19-12-1982
Thomas
Bernhard, Perturbamento, Adelphi,
Milano, p. 239, £ 10.000
L’italiano, Guanda, Milano, p. 55, £ 6.000
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