15/01/17

Diverse ondate



Le trasmissioni sono terminate, è molto tardi e la stanza è soffocata dal fumo. Intorpidito dalla sghemba immobilità a cui, fino alla saturazione, si era abbandonato, non ha però sonno. A fatica si alza, sostenendosi allo schienale basso della poltrona per stabilizzarsi nell’equilibrio: macchie nere, a brevi ondate, gli transitano dagli occhi alla testa, finché non si abitua al buio eretto e non inquadra, dai discontinui interstizi della persiana, la finestra. Senza vacillare la raggiunge e la spalanca, dopo aver alzato la persiana con cautela, silenziosa. I palmi compressi, e quasi appiccicati all’umidità del davanzale, si sporge in avanti verso il giardino e sente l'aria gelida colpirlo prima di invadere la stanza rovesciandovi una diversa, luccicante foschia. Davanti a lui, a tre metri, un'altra macchia, quella sfrangiata dell'abete, confusamente delineata nei suoi contorni dal lampione della strada distante; accanto all'abete, all'identica altezza dei suoi, due occhi che guardano fissi verso di lui, privi di intenzione. Altro non vede, un corpo a cui apparterrebbero, che del resto nemmeno cerca o immagina, il loro colore o la forma: un puro sguardo che rimbalza nella concavità del suo e poi gradualmente lo colma come di una tensione trasparente, anteriore a qualsiasi oggetto o immagine, a stabilire non un contatto, ma una pura direzione, univoca, non speculare, intransitabile da pensieri o emozioni, senza meta. L'opacità del suo corpo ne ha solo incrociato la traiettoria ed egli, non che distogliersene o sostenerlo, si limita ad assecondarlo, ricevendolo come qualcosa che non lo concerne. Le palpebre, pur restando aperte, si rilassano, le mani aderiscono al marmo fino a non più sentirlo, l'umidità gli avvolge la faccia, penetra nei capelli e nelle narici, una ventata di nebbia gli attraversa i vestiti e dilaga nella stanza senza incontrare altra resistenza.

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