e c’era, alle Scuderie del Quirinale, la versione di Madrid della Salomè con la testa del Battista, del Caravaggio, tanto per giustificare il titolo della mostra che se non contiene un Caravaggio o Van Gogh o Vermeer o Rembrandt (che grazie al cielo che sono esistiti, ovvio...) non ci va nessuno, nonché il prezzo del biglietto che anche per uno come me, ormai della terza età, era intero, 12 euro, mostra mediocrissima sia pure con alcuni pezzi meravigliosi (il 10% grosso modo, che in sé non sarebbe una cattiva percentuale se le opere fossero di più...). Comunque sia, in apertura c’era proprio questo magnifico quadro che non avevo mai visto e beh, forse è per questo che a parte un Velasquez e poco altro il resto della mostra è un po’ evaporato, che magari sono stato ingiusto a dirmi deluso, ma poi così è stato, anche se non è vero, perché basta una cosa a farmi contento e lì ce n’era più d’una, così che allora sono abbastanza stronzo a parlarne male, perché se fossero tutti capolavori, magari non è vero che nessuno lo sarebbe (se una cosa è un capolavoro, lo è e basta, indipendentemente dal numero dei suoi pari: lo sono tutti ciascuno per sé), ma uno non andrebbe oltre la prima sala e le altre opere, poverine, ci resterebbero male, che invece un apprezzamento lo meritano anche loro, come per esempio un notevole Riposo durante la fuga in Egitto dell’a me sconosciuto Andrea Vaccaro (Napoli, 1604-1670) e altro che taccio, che alla fine ce n’era abbastanza di che essere contento, un altro che non fossi io...
E la Salomè mi ha colpito subito, come prima cosa, dopo l’impatto dell’insieme del quadro, a trovarmelo lì davanti all’improvviso, perché mi è sembrata più agée del solito, mica una ragazzina o una giovinetta come uno se la vede dipinta di solito e se le immagina, anche, se si immedesima nello sguardo di quel vecchio porco di Erode... una donna almeno di trent’anni, stavolta, e forse più, che allora le donne sfiorivano prima, non forse le dame d’alto bordo come Salomè, ma certo le donne del popolo che il pittore amava prendere come modelle, a meno che a invecchiarla, nel quadro, non sia quell’espressione un po’ strana, che a me pare triste, più che pensierosa, la testa piegata verso la spalla destra, come di una che si vergogna, o è spossata non perché sia stanca ma perché è svuotata, e ha addirittura pianto, probabilmente, che a guardare da vicino gli occhi sembrano umidi, velati da un residuo di lacrime, e i bordi delle palpebre arrossati, un po’ gonfi, a meno che non sia io a sognarmi tutto questo, lo sguardo distolto dal piatto che pure tiene tra le mani salde, non scarne né eleganti, aristocratiche, quasi grassocce al contrario, con sopra la testa del Battista, che non ha niente di truculento, con vene e arterie sanguinanti e brandelli di carne e tendini penzoloni come molti pittori, e a volte lo stesso Caravaggio, si compiacevano di rappresentare, e anzi ha un’aria serena, come di chi ha raggiunto la sua meta, che è buona, come buono è il cammino che vi ha condotto. Alle spalle di Salomè, la vecchia, che alcuni ipotizzano sia Erodiade, cosa che a me sembra improbabile, perché, senza contare il copricapo a turbante e quel che si scorge dell’abito che non hanno nulla di regale, va bene che la malvagità e l’amore deluso invecchiano e imbruttiscono, ma non così tanto da incartapecorire la pelle con quella rete fittissima di rughe e grinze, come vengono di solito rappresentate le vecchie mezzane o serve compiacenti che aiutano le eroine a compiere le loro malefatte o imprese (per esempio nel caso di Giuditta), quasi prosciugata dall’interno, ridotta a una pellicola secca tutta spiegazzata, e, di fronte a lei, il soldato di tre quarti di schiena non riescono invece a distogliere dalla testa decollata lo sguardo sopraffatto da una mestizia senza nome, assorti, sperduti nel mistero non tanto della morte quanto di ciò che uno ha compiuto, e non importa se obbedendo a un ordine, e a cui l’altra ha probabilmente assistito.
Salomè ha le spalle coperte da un drappo rosso, intenso e cupo anche a causa del drappeggio, che le sottolinea la bianchezza del collo per la parte inondata dalla luce che piove dall’alto alla sua destra e soprattutto quella del seno sinistro, che una camicetta o sottoveste dall’orlo arricciato si alza a scoprire fin quasi al capezzolo, unico resto scarmigliato che richiama la sua danza sensuale e omicida, che si presume scatenata, vertiginosa... Tutta la sua sensualità sembra essersi consumata, e ora si è concentrata lì. Il candore del petto è caldo, e contrasta con quello più freddo, quasi cadaverico, della spalla del soldato, che sembra contagiato dalla morte che ha inferto, mentre il viso, giovane, molto bello, tutto l’opposto di quello del suo omologo della versione di Londra che ha una smorfia quasi caricaturale che si prolunga nel gesto spavaldo e osceno di ostensione della testa del Battista che solleva per i capelli, è quasi tutto in ombra, preso da una mortifera malinconia, dalla tristezza sconsolata che viene da ogni consapevolezza, dalla certezza dell’irrimediabile di cui si è stati strumento insieme e testimone, la stessa che si è già insediata nello sguardo di Salomè, senza più perdono, e che ora comincia a lambire anche me, che pure non ho fatto nulla, che sono, almeno qui, innocente, mi dico senza crederci mentre mi allontano, come se fuggissi.
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