13/07/24

Uccelli sul plexiglass


 

 


Su certe pareti in plexiglass che costeggiano autostrade e ferrovia sono stampate sagome di uccelli, alcune geometriche, senza sbavature, che sembrano balestre, altre dalle grandi ali sfrangiate spalancate, con le remiganti visibili una ad una e il becco adunco (aquile? falchi?, predatori, in ogni caso). L'intenzione, oltre a quella primaria di schermare i rumori, dovrebbe essere al contempo di vivacizzare la parete trasparente e di renderla visibile, per segnalarne la presenza agli uccelli di passaggio o locali, un modo di dirgli di starsene lontani: achtung, è pieno di rapaci qui! si rischia la vita!, per evitare che ci finiscano contro, storditi come sono a volte, confusi dagli artefatti umani o persi dietro le loro fantasie di spazi vuoti e cibo e danze di corteggiamento o per il puro piacere del volo fine a se stesso (fottuti esteti!), e di spiaccicarsi, schiacciando quelle loro fragili testoline , o spezzando un'ala, lasciando grumi di materia arrostita dal sole e scie di sangue smaltato. Eppure a me è proprio questa l'impressione che danno le pareti quando le guardo di lontano, con la coda dell'occhio. Pareti di uccelli spiaccicati. In bianco e nero se non altro. Poi però, se fisso per un attimo la mia attenzione, senza voler per forza riconoscere, sezionare e definire, e poi chiudo gli occhi e torno anch'io alle mie fantasie, quello che vi trovo è solo la visione, non più fugace, di un altro cielo. 

 

 

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