Nel frattempo il libro è uscito. Si può acquitare qui:
Questa è l'introduzione che avevo scritto per le edizioni Bacacay, del 2006, fatte a mano in poche copie fuori commercio ormai esaurite.
Qualche
anno fa, per l’esattezza nella primavera del 1997, dopo aver scritto un breve
testo ispirato da un suo quadro, mi sono messo a studiare Vermeer, o quanto
meno a guardare con una certa attenzione le sue opere per fortuna non numerose,
e, come succede, ho cominciato a vedere.
È
stato così che mi è capitato di notare in alcuni quadri del pittore olandese la
presenza delle figure di schiena e che l’espressione “figura di schiena” mi si
è impressa nella mente, accompagnandomi per qualche giorno. Un bel titolo, mi
dicevo: ha a che fare con quello che scrivo, col modo in cui la penso e, credo,
sono: bisogna che ci faccia qualcosa. E ho lasciato passare un po’ di tempo per
vedere se la voglia restava.
Restava
sì, ma era vuota. Allora sono tornato a guardare le figure di Vermeer e ho
notato come fossero diverse dalle figure di schiena che si trovano in genere
nella pittura classica: sono centrali, protagoniste, e senza il minimo accenno
anche ad un solo tratto del volto. Caratteristiche che, per quanto ne sapevo
della pittura, non è facile riscontrare altrove.
Ma,
a ben pensarci, avevo mai fatto caso prima a figure del genere? Ce ne sono
tante? Come sono veramente? Così ho cominciato a consultare cataloghi e
monografie, a studiare libri non solo d’arte e a chiedere ai miei amici,
pittori e non, se avevano qualche suggerimento da darmi. E naturalmente ho
visitato tutti i musei che impegni e portafoglio mi hanno concesso di
raggiungere e sono tornato a setacciare quelli che già conoscevo, focalizzando
l’attenzione solo sui quadri che contenevano figure di schiena. Ne è venuta
fuori poca roba, e di scarso interesse. Per lo più, inoltre, si trattava di
arte moderna, che per il momento non mi interessava. Ho dunque proseguito
l’indagine per conto mio, senza alcuna intenzione di invadere un territorio che
non mi appartiene, se non sentimentalmente, come passione e letture che coltivo
da sempre pur non avendole mai affrontate in modo sistematico.
Per
cominciare mi sono fissato un campo di pertinenza, escludendo prima le figure
che non fossero completamente di schiena, poi i nudi e infine le figurine nelle
scene di massa, se non a titolo esemplificativo o prese a gruppi per genere.
Alla fine è rimasto ben poco, con un certo sollievo da parte mia, devo
confessarlo. Il rischio era che altrettanto poco rimanesse anche da dire quando
avrei cominciato a tirare le fila della mia indagine.
Fino
al ‘400 non ho trovato quasi niente, poi qualcosina qua e là e sempre di più a
partire dal secondo ‘500 e soprattutto nel ‘600. Un po’ mi sono meravigliato di
tale scarsità, per quanto forse non avrei dovuto: se un dipinto è fatto per
mostrare qualcosa, infatti, perché mettere qualcuno di schiena? Ma si potrebbe
fare anche il ragionamento opposto: perché evitare queste figure anche quando
la scena dipinta lo permetterebbe, e anzi a volte lo richiederebbe
esplicitamente? E quando ci sono, come mai ci sono? Che cosa fanno? Cosa
significano? Se ne può delineare una classificazione? Corrispondono a qualche
precisa tipologia? E soprattutto: perché mi interessano, dal momento che non ho
ambizioni filologiche e meno ancora accademiche?
Spero
che quanto segue possa contribuire a rispondere a queste domande, e magari a
suscitarne altre anche più stimolanti, tanto più che, parlando di questo
progetto ad amici e conoscenti, ho riscontato che, se nasceva da una mia
fissazione, la curiosità poteva però estendersi anche ad altri.
La
mia indagine è proseguita per alcuni anni, alternando periodi di studio e
lavoro esclusivi ad altri in cui mi sono dedicato a progetti diversi e a più
urgenti necessità, senza mai dimenticare questo tema, e anzi approfittando di
ciò che leggevo per affrontarlo da nuovi punti di vista. Ne è nata una certa
mole di frammenti e di spunti di indagine che è andata crescendo nel tempo,
tanto che spesso mi trovavo a dubitare che sarei mai riuscito a trarne qualcosa
di compiuto. Una prima piccola scelta di tali frammenti è comparsa sul numero 6
della rivista Arca nel 2000 su invito
degli amici Lucetta Frisa e Marco Ercolani, che qui ringrazio. Nei due o tre
anni successivi mi sono deciso a organizzarli senza alcuna pretesa sistematica,
come una specie di canovaccio che ero certo che avrebbe continuato ad
accompagnarmi anche in futuro, nella speranza che i lettori potessero aiutarmi
a colmare alcune delle numerose lacune, se fossi riuscito a suscitare il loro
interesse, mantenendo però la forma divagante e a volte svagata che i frammenti
avevano all’inizio.
Ho
fatto ampio riferimento a scritti di eruditi e specialisti, le cui informazioni
e idee ho preso quasi sempre per oro colato, anche se spesso le ho poi piegate,
o distorte, a fini di cui sono l’unico responsabile. Tuttavia, per non
appesantire la lettura, mi sono limitato a esplicitare i riferimenti solo per i
testi effettivamente citati, aggiungendo alla fine una scelta bibliografica
mirata, che si ferma però, tranne pochissime eccezioni, al 2005, anno
dell’ultima revisione del testo che segue.
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