C'è questa
donna accanto a me, probabilmente straniera, piuttosto elegante, ma in modo
discreto, giovanile, con un astuccio rosso della Spalding che contiene biro e
non so che altro, e che prima ha scritto per un po' su un foglietto, con tanto
di titolo a centro pagina, con una scrittura piccola ma chiara, ordinata come
in una griglia invisibile, rileggendosi ogni tanto per fare il punto o
correggere, e poi interrompendosi per digitare qualcosa sul cellulare, o
smartphone o chissà che altro, non so, non ci capisco nulla in merito, e che a
un certo momento ha poggiato la testa sulla borsa di pelle nera sul tavolino
davanti a lei, non senza essersi prima tirata i capelli di lato, lasciando
scoperti l'orecchio e la nuca, capelli scuri, lunghi, con sfumature, più che
mèches, rossastre, delicate però, che si notano solo con la giusta angolazione
di luce, per provare a dormire, o almeno a riposare, con le gambe accavallate,
le unghie dei piedi scarlatte nei sandali neri, e la pelle bruna, o dorata
scura, coperta di una leggerissima peluria bionda, voltata dall'altro lato
rispetto a me, dandomi le spalle non per disprezzo o per segnare le distanze,
come se il gesto di mettersi a dormire aprisse una qualche intimità che andava
subito chiusa, un abbandono che nemmeno lo spazio pubblico di un vagone
ferroviario, per quanto costoso, in un certo senso giustifica del tutto, quanto
meno non per lei, per una donna riservata e certo con una buona educazione come
la sua, ma piuttosto con bella disinvoltura, se non addirittura con grazia
spontanea, solo perché le era comodo così, o naturale, meglio, e io volevo
dirle, in inglese o in francese, non so, o solo farle segno, che se voleva
appoggiare la testa alla mia spalla, ecco, piano, niente di più, che magari
dormiva meglio, a me non avrebbe dato fastidio, no, non mi avrebbe dato
fastidio...
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