e comunque, ad ogni buon conto, tra
l'altro c'era un San Sebastiano curato da
Sant'Irene di Alessandro Rosi (Firenze, 1627-97), di cui ho trovato una
riproduzione in bianco e nero in rete dove invece della santa il titolo cita
delle ignote "pie donne", con il bel corpo del santo che, supino,
attraversa in primissimo piano il quadro da sinistra in alto all'angolo destro
in basso, riverso come certi Oloferne specie seicenteschi, ma già del 500: penso
allo Spurio Cassio decapitato del Beccafumi a Siena (ma anche, successivo, al Battista
del Tiepolo della Cappella Colleoni di Bergamo, che è prono però), con la
differenza, ovvia, che questo prediletto da Dio la testa l'ha ancora ben
attaccata al collo, gli occhi spalancati che guardano stupiti lo spettatore da
sott'in su certo a suscitare una compassione che quest'ultimo, io di sicuro,
già gli concede a priori, poveretto, le frecce che sbucano da ogni direzione,
come capita spesso, quasi che gli arcieri si fossero schierati in cerchio tutt'intorno
e da differenti altezze, a volte addirittura prendendolo di mira come dalle
pareti di una sfera immaginaria sprovvista altrettanto immaginariamente di
gravità, col rischio che qualche freccia sfuggita al controllo finisse per colpire
anche qualcuno di loro, ma presumo che li abbiano scelti tra i più provetti, anche
se che qui come altrove non devono essersi impegnati molto a giudicare da come
il bersaglio è stato colpito, per fare l'ipercritico a ogni costo, perché di
certo io manco li avrei sfiorati, non che c'abbia mai provato..., una delle
quali, stavo parlando delle frecce, sta per strapparla dal petto la santa, di
forza, nonostante la mano che la stringe sia protetta da un panno, forse per
evitare che scivoli sull'asta, ehm sull'asta, tutta presa dallo sforzo, che
eccessivo non dovrebbe risultare a giudicare dai polsi robusti, o forse concentrata
nel compito, nell'intento di fargli il minor male possibile, e uno penserebbe
addirittura del bene, se volesse equivocare maliziosamente sulla sua postura
ripiegata sul petto del giovanotto che certo non sarà mancato tra le fedeli, e i
fedeli, chi lo abbia trovato, così, robusto, muscoloso ma non troppo, attraente,
o appetibile, perché no?, come forse sta dicendo la giovane sullo sfondo a sinistra
in alto alla sua amica più anziana, in ombra, che di sicuro è una pettegola di
prima categoria, e che come tutte le pettegole di ogni categoria preferisce
sparlare di nascosto e non le risparmia a nessuno, tanto meno a quella finta
santarellina che guardala come si curva, che ha persino coperto il volto con il
velo per nascondere il rossore, infuocato di libidine, altro di pudore!...
...belle braccione robuste le ha anche la
Dalila del Romanino, che la libidine se la deve essere lasciata alle spalle da parecchio,
vestita e pettinata di tutto punto com'è, nonostante sia presumibile che abbia sfiancato non poco il beato Sansone che
ancora sta dormendo della grossa, stremato, ma lui pure vestito, anche se poco
si nota da come è collocato nell'inquadratura, in basso a sinistra, con la
testa appoggiata a un cuscino di velluto reso con grande perizia come tutti i
tessuti del quadro, con una cura che non sempre ho riscontrato nel pittore, rosso, il velluto,
come a richiamare i tanti decollati che lui pure qui richiama, le castrazioni
si assomigliano tutte, vere simboliche o metonimiche che siano, un po' in là
con gli anni e stempiato, forse perché potrebbe essere il ritratto di qualche
bresciano reale con la sua giovane e carnosa, sana, soda e insieme
morbidissima, mogliettina, quei ritratti in vesti bibliche o storiche che a quei
tempi andavano così di moda al Nord, oltralpe, dico stempiato perché di sicuro
lo scotennamento non è ancora iniziato, non essendo la fronte insanguinata: la
maliarda ha solo tirato indietro i capelli e si appresta a tagliarli con un
forbicione che però tiene in mano in modo tale da far sospettare che l'impresa
potrà riuscire, a meno che usi le lame come fossero un coltello, perché si vede
subito che lei una forbice non l'ha usata mai e poi mai, che tanto a queste
cose ci pensano le serve, mica sono affare suo, anche se stavolta a quanto pare
spetta a lei sola sbrigarsela, tanto che vien da pensare che lo sguardo di
compassione della guardia agghindata lei pure come un damerino sia diretto più
a lei che, come farebbe piuttosto supporre la solidarietà maschile in simili
frangenti, a quel tontolone di Sansone (del marito...), chissà se ci riuscirà.
e a proposito di Giuditte, ce n'era anche una delle innumerevoli dipinte da Francesco Cairo, abbastanza bella anche, con la testa di Oloferne già tagliata e ripulita appoggiata sul piano di un tavolo, in basso a destra, avvolta in un panno in modo però da lasciar vedere quasi interamente un volto che tutto sembra tranne quello di un truce satiro guerriero squassato dalla libidine, ma quello di un bell'uomo anzi, come si addirebbe più a un Battista non troppo consunto da digiuni e prigione, del tipo che nella pittura lombard
del 500, e non solo (Salario, le tante di Cranach,
per esempio quelle di Lisbona - cfr.), fa bella mostra di sé su vassoi di vario
pregio e fattura, anche scolpita,
una Giuditta di Francesco Cairo; in sostituzione di quella in mostra di cui non ho trovato la riproduzione
e a proposito di Giuditte, ce n'era anche una delle innumerevoli dipinte da Francesco Cairo, abbastanza bella anche, con la testa di Oloferne già tagliata e ripulita appoggiata sul piano di un tavolo, in basso a destra, avvolta in un panno in modo però da lasciar vedere quasi interamente un volto che tutto sembra tranne quello di un truce satiro guerriero squassato dalla libidine, ma quello di un bell'uomo anzi, come si addirebbe più a un Battista non troppo consunto da digiuni e prigione, del tipo che nella pittura lombard
come quella che ho visto a Bologna 15 giorni
fa (cfr. foto), ma con un'espressione serena, non la bocca spalancata, gli occhi
folgorati da un ultimo subitaneo terrore e i lineamenti sconvolti di chi ha
appena subito un trauma feroce (la compassione della ghigliottina doveva
aspettare ancora 20 secoli e più), ma di chi invece si è addormentato con la
coscienza a posto, innocentissima, che io, che pure sono un brav'uomo, me la
sogno, mentre l'eroina, pur agghindata e bella paciosa come Dalila, si lascia
sfuggire dal corsetto di pizzo un mezzo capezzolo, e guarda in alto, con uno di
quegli sguardi di vuota estasi di cui brulica il barocco, fuori dal quadro,
dove si dirige anche lo sguardo della serva in ombra alle sue spalle, che l'ha
aiutata nell'impresa e invece di distrarsi dovrebbe farsi carico della testa e
portarsela via senza indugi, a guardare cosa non è dato sapere perché la sola
luce che illumina la scena, e la pelle candida e rosea nei rispettivi settori
di competenza, viene dal basso, a sinistra, e non da lì, e quindi si è indotti
a supporre che la testa si piega in alto e gli occhi si spalancano non per
qualche splendore divino, come per esempio nel Festino di Baldassarre di
Rembrandt, ma per una diversa libidine, immateriale, santa, o perché raggiunta
da una voce, proiettata fuori ma magari interna, antecedente il crollo della
mente bicamerale, appannaggio a quei tempi dei profeti biblici e altri
personaggi consimili, cosa che però non spiegherebbe la postura della serva, a
meno di non attribuire anche a lei questa facoltà, ovvero quella sublime
corrispondenza del sentire che a volte lega le serve, soprattutto le nutrici,
alle loro padrone, non contente di averle nutrite e di servirle fino alla fine
dei loro giorni, in pace e in guerra, negli agi e nei pericoli.
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