a Silvia Delevati
e
c'era questa signora, nelle sale altrimenti vuote del museo medievale, che
sentendo le chiacchiere a ruota libera che andavamo facendo io e Silvia, che
conosceva bene il museo avendoci fatto il tirocinio e un po' lavorato come
guida, dapprima ha rallentato il passo come se niente fosse per accordarlo al
nostro restando nei paraggi, alle nostre spalle, e a portata di voce per poi
guardare dopo che ci eravamo discostati gli oggetti e le opere su cui per
qualsiasi motivo ci eravamo soffermati, armata dei cartoncini illustrativi
reperibili in ogni sala e che comunque prima o dopo leggeva diligentemente,
forse per confrontare ciò che andava sentendo, se ve lo ritrovava o meno o
discordava da quanto Silvia illustrava e io strologavo, e poi, dopo essersi
timidamente informata se era una visita guidata (ma di chi a chi? in due?), ci
ha ancor più timidamente chiesto se si poteva accodare pur restando in
disparte, cioè il permesso di fare apertamente, e forse con un animo più
sollevato, meno preoccupato di mascherare attenzione e movimenti, ciò che aveva
fatto sino allora, e che quindi, alla nostra ovvia quanto stupita risposta
affermativa, è rimasta con noi per quasi tutte le sale, praticamente fino a
quando io sono andato alla toilette (dove non mi ha seguito), ringraziandoci
infine, prima di lasciarci, per la visita che ha definito "molto
emozionante", del tutto sincera, senza la minima sfumatura che potesse
indicare solo cortesia e buona educazione (solo!, ma già quello non sarebbe
poco), perché si vedeva benissimo che per lei quel giro nel museo, quella passeggiata
dai movimenti e ritmi liberi e leggeri, regolati unicamente dalla serenità del
vedere e scoprire e lasciare che ciò che si sa e si immagina si intrecciasse
con divertimento e senza alcuna presunzione ma non per questo impaniato
nell'arbitrio di un'invenzione senza fondamento, quel modo di accostarsi agli
oggetti e di lasciarsene incantare senza la minima sfumatura sacrale ma anche
senza la minima sfumatura di cinismo: qualcosa di abbastanza banale, tutto
sommato, perché Silvia mi indicava alcune delle sue opere preferite dandomi le
informazioni del caso, mentre io al solito saltellavo da un'opera e da una
vetrinetta all'altra soffermandomi dove l'occhio era stuzzicato lasciandomi
andare a qualche osservazione o descrizione o raffronto con altre opere e
luoghi o fantasia, e battuta più o meno felice, quanto spesso la mia inveterata
debolezza, ma in questo caso anche la gioia della compagnia mi spingevano a
esprimere..., e che tutto questo, insomma, per lei doveva essere stato qualcosa
di nuovo, un'esperienza, se posso azzardare un termine così
forte e abusato,
inedita, se non addirittura impensabile prima, e così intensa nella sua
imprevedibilità che mentre ringraziava e salutava la sua voce, e un po' anche
il corpo, in modo quasi impercettibile, era come pervasa da un sommesso
tremolio, da una trepidazione non so se inconsapevole o rattenuta a fatica, tanto
che allora anche noi, o perlomeno io, anzi io e basta, perché qui parlo per me,
sono stato percorso dal riflesso di questa trepidazione sulla pelle, e sotto,
in forma di un'emozione che ho avvertito solo dopo però, fuori dal museo, come
lo spostamento d'aria di una porta basculante, ma più forte di tutto ciò che
avevo provato nelle sale, e certo anche da esso preparato, davanti a tutte
quelle belle cose impreviste, e per la gioia di aver rivisto Silvia dopo tanto
tempo e di aver percepito anche in lei, al di là delle parole, la traccia di
qualcosa che in passato potevo averle impresso e che ancora permaneva in ciò
che ora è.
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