Stamattina mi sono alzato di buzzo buono, con la
ferma intenzione di scrivere qualcosa. Qualsiasi cosa, succeda quel che
succeda. L'energia c'è, la disposizione è quella giusta. Mi sento addosso come
un'intensità, l'embrione di un ritmo. Il richiamo ancora silenzioso della
lingua. (Poco? Eh, basta e avanza!)
Mi accomodo al pc tutto contento. A volte una
parola è sufficiente. (Ding! Endecasillabi. Continuare!) Invece niente. Svanito
nel vento. Non resta che il niente. Ma proprio niente.
Insisto. Di tempo ne ho. Tanto non mi muovo da
qui prima di aver scritto. Aspetto, con calma. Ancora niente. Niente di niente.
(L'idea che non ho niente da dire non mi sfiora nemmeno: sarebbe già qualcosa.)
Più il tempo passa, e più il niente cresce. Un
bubbone di niente. Una fistola. Un aerostato di gas nervino del niente.
Allora cambio tattica. Fingo di essere
arrabbiato. Comincio a esserlo sul serio, ma per il momento fingo di fingere di
esserlo (ho i miei sistemi...).
Come sarebbe, niente? Niente, cosa? Niente,
come? Niente, chi? Chi l'ha invitato questo niente? Come si permette? Gli ho
forse chiesto io di mostrarmi la sua faccia da schiaffi? E allora pussa via!
Parassita! Impostore! Il niente non esiste! Lo dice la parola stessa, e le
parole non mentono. E' risaputo. Si mente con le parole, questo sì; ma loro non
mentono. Dicono quello che dicono. Brave brave. Quando ci sono.
Ma stamattina non ci sono, e la mia testa resta
vuota. (Ci sarebbe la parola 'niente', e poi la parola 'vuoto', ma al momento
non ci faccio caso). Ispeziono il cranio, l'interno del teschio, la carcassa
della carne, con annessi e connessi: tutto vuoto! Tutto pulito, tirato a
lucido, ben arieggiato, spazioso, senza uno spiffero, o un'ombra o un'eco,
quieto e silenzioso. E vuoto. Allora mi metto, con la mia solita pazienza e un
insolito metodo, alla ricerca di qualche angolino lontano, dove si annida
sempre almeno un po' di polvere, qualche microscopica scoria, magari della
muffa, che è già vita. Nisba! Niente e nessuno. Vuoto. Vuoto assoluto. Fanculo
anche lo zen!
Certo, loro (gli zenanti; o zenoti, o zenaioli,
o come cavolo si chiamano), hanno in mente (in mente!) qualche altro tipo di
vuoto. Forse direbbero che il mio è ancora troppo pieno, con uno dei loro
sofismi: pieno di niente. (Altri magari penserebbero alla solita storia dello
scrittore in crisi, all'angoscia del foglio bianco e compagnia bella: si
accomodino, ma non è il caso: non sono in crisi e l'angoscia semmai la riservo
ad altro; e comunque non oggi: sono qui che sprizzo energia come un bambino
all'uscita da scuola.) Direbbero che non è un vero vuoto; che al massimo è un
vuoto di seconda o terza categoria. Come se ne esistessero chissà quanti! La
tassonomia dei vuoti. La gerarchia. Il vuoto a e il vuoto b. Il vuoto dall'a
alla zeta. Il regesto universale dei vuoti. L'expo mondiale!
Beh, se li si intende in senso sottrattivo, è
possibile. Ritiratosi tutto, cancellato e dimenticato tutto, magari resterebbe
un vuoto per ogni persona, per ogni forma di esperienza e per ogni lingua. Una
specie di matrice di niente e senza niente. Una chora al negativo. Un vuoto per
tutti. L'avvento della democrazia anche lì. Una conquista. Un progresso (ogni
tanto rispunta anche lui). La democrazia del vuoto! La democrazia dei vuoti
(perché la democrazia è plurale, mi dicono: almeno doppia, come il genitivo).
Se ce ne fossero tanti..., cosa di cui appunto
dubito.
Sarebbe interessante un'indagine sulla
rappresentazione del vuoto nelle varie culture. Immagino che per farla, oltre a
un'équipe di linguisti, ce ne vorrebbe anche una di antropologi (e filosofi, e
matematici, e cosmologi, e folli di ogni genere): gente tipo Benveniste, Sapir
(onore e gloria a loro). Il lexicon del vuoto! La storia. Le storie. Ma io non
è questo che intendo. E' il vuoto come tale. (Il vuoto come tale!) Il vuoto
vuoto. Lui in persona.
Lo citerei a comparire in giudizio, se ci fosse
una sola possibilità in Italia che qualcuno citato in giudizio si presentasse
davvero. In positivo. (Citare il vuoto. Chiamarlo a comparire. Ecc.
L'italiano!)
Ovvio che farebbe scena muta. Niente di
originale, in questo. Ma sarebbe lì. In tutta la sua presenza-assenza.
Imponente. Monumentale. Asfittica e asfissiante. Come reagirebbero gli astanti?
Secondo me, sarebbero presi dal panico. Ma
assoluto. Pietrificazione, crollo e dissoluzione. Un'assoluta autonegazione per
l'impossibilità di negarlo. Una catastrofe forse rigenerante, però. Una specie
di apocatastasi.
Oggi mi vengono queste parole, chiedo scusa. Ma
appunto: è l'attrazione del vuoto, il suo risucchio, la compulsione a
riempirlo, a ficcarci dentro qualsiasi cosa, purché si attenui. Cioè sparisca.
E se avesse ragione lo zen? Vuoto assoluto,
satori, illuminazione; fare il vuoto perché si riempia dell'assoluto, che a sua
volta è niente. Ma luminoso!
Io mica ce lo vedo un vuoto luminoso, però. Quei
furbastri lo vogliono strumentalizzare, ecco cosa fanno! Lo affermano. Il vuoto
di qui, il vuoto di là... e poi, zac!, te lo farciscono di luce, o di chissà
che altro. La pienezza del vuoto! Un po' di rispetto, signori!
Si può pensare il vuoto in positivo?
Forse. Io, in prima istanza, che raramente è
quella giusta, me lo immagino così:
(Come questa pagina. Come la mia testa. Come
me.)
(Alt! Qui c'è un errore. Non lo immagino
affatto: lo sono!)
(Come è stato un errore parlare di catastrofe
rigenerante più su. Nessuna rigenerazione: sarebbe una catastrofe e basta. Solo
diversa da quella che produce il suo non presentarsi.)
(Preferibile? Non direi. Perché mai si dovrebbe
preferire l'ineluttabile?)
(0+1, 1; 1+1, 2; 2+1, 3; 3+2, 5. E, a ritroso:
5, 3, 2, 1, 0)
(Eppure, reggere in piedi di fronte al vuoto,
accanto, forse sarebbe già il passo decisivo.)
(0+1, 1)
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