Ogni
lunedì, quando imbocco l'ultimo tunnel che dal Passante di Porta Garibaldi
sbuca in via Tazzoli, sotto l'AC Hotel, il mio cuoricino accelera un po'. E'
l'attesa. L'incertezza e la curiosità di sapere se ci sarà una nuova puntata
della piccola saga dei graffiti che mi appassiona dalla prima volta che sono
passato di qua, alcuni mesi fa. Ci sarà qualche colpo di scena o l'ultima
cancellazione sarà quella definitiva?
Mi riferisco a una serie di interventi, graffiti correzioni rettifiche e imbiancature, che riguardano solo un gruppo di scritte in gran parte concentrate sui muri dell’ultimo segmento del tunnel all’uscita del Passante, in cima alle lunghe e ripidissime scale mobili, e accanto alla scalinata e alla rampa per le carrozzine che sbucano nella piazzetta davanti all’hotel, dove stazionano quasi sempre taxi e auto di grossa cilindrata e belle donne con borse e valigie di gran marca (già in piedi così presto?).
Le
scritte appartengano tutte a una stessa mano e ribadiscono, a breve distanza
l’una dall’altra e con minime variazioni, un unico messaggio. Nelle sue
componenti essenziali il messaggio consiste di questi elementi: declinazione
delle generalità (solo il nome però, che non è detto, come vedremo dopo, che
debba corrispondere al nome reale dello scrivente: pseudonimo, nome d’arte,
avatar, con possibili implicazioni di facile simbolismo, - a meno che non sia
un tratto ironico, uno dei tanti), nazionalità, titolo di studi e professione
(o aspirazione) inclusi (Angel Manuel
rag. ital. gigolò); indicazione delle peculiarità salienti (superdotato: senza misure dettagliate,
che però vengono aggiunte, polemicamente, dal correttore: 8-10 cm), e dei
destinatari (solo x donne, non sono
previste eccezioni), senza specificare la tipologia delle prestazioni offerte
(ma facilmente intuibili, si presume che lo scrivente presuma) ma talvolta con
rassicurazioni sulla locazione lavorativa (in
ambiente comodo e riservato) e sulla sua accessibilità (Milano, anche se sui pubblici servizi
qualcosina da ridire ci sarebbe); e infine dei numeri di telefono (ma in genere
lo stesso più volte reiterato, vuoi per chiarezza, vuoi in risposta a
cancellatura degli ultimi numeri: omissis)
con specificazione della forma di comunicazione e/o di presa di contatto
auspicata (sms). Altre aggiunte,
minime come le variazioni espressive, sono ascrivibili solo all’estro
momentaneo e quindi non sono particolarmente significative; ovvero lo sono solo
di quello (dell’estro momentaneo, intendo), per quanto possano suggerire ben
altro, interi mondi, a chi è disposto a entrarci, per esempio ai fini psicologi
televisivi, o solo piccole sfumature, ma essenziali, ai vari patologi, indizi
da cui uno specialista, a seconda della sua specialità, potrebbe trarre chissà
quante e quali interessantissime deduzioni, se non addirittura, i più azzardati
(i più spocchiosi, o sicuri, come l’esperto si presume che sia), definitive
conclusioni. Le seguirei tutte, ne avessi il tempo e gli strumenti (per tacere
delle capacità).
La
scritte in sé non sono molto originali: direi anzi che si riallacciano
pedissequamente (ma il calco va letto come indice di una professionalità che
non indulge a vezzi soggettivi) a una tradizionale e veneranda tipologia che di
solito attecchisce nei cessi pubblici o nei luoghi a più diffusa creatività,
come edifici scolastici e penitenziari (lascio il dettaglio delle decorazioni e
dei materiali usati ai critici d’arte e agli antropologi); e quindi, come tali,
dovrebbero risultare noiose, non fosse la quello che ha suscitato il mio
interesse è straordinaria fioritura di correzioni, integrazioni, riscritture,
commenti, cancellature, rettifiche, modifiche e cancellazioni mediante
verniciatura di cui periodicamente sono tutte oggetto, escluse quelle della
rampa per carrozzine e sui fianchi della scalinata che non conoscono
tinteggiature: le prime (e ti pareva!) per la solita discriminazione verso i
meno avvantaggiati che si estende al loro ambiente, la seconde perché sul
marmo, credo.
Anche
questo non sarebbe poi così interessante: i muri sono pieni di scritte e
disegni di ogni genere, di solito sotto forma di illustrazioni (con particolare
riguardo a certe parti anatomiche, che evidentemente si dimenticano in fretta
se c’è sempre qualcuno che trova utile ricordarne le fattezze), di
esemplificazioni della propria creatività per mano di gente che per prima non è
convinta del suo valore e cionondimeno insiste forse confidando nella
sbadataggine altrui, e di effusioni, celebrazioni, invettive e dichiarazioni di
vario tenore, ma preferibilmente amorose (l’amore, si sa, ha questo difetto, di
lasciare strascichi, i più impensabili), e a volte di vere e proprie guerre di
comunicati, in passato anche politici, ora quasi soltanto sportivi o razzisti
(in Italia è lo stesso). La vecchia solfa dell’effimero e dell’eterno.
Alcune
scritte invogliano a replicare; si potrebbe addirittura ipotizzare che agiscono
da calamite, come stimoli a impulsi primordiali, al gioco o al veleno.
Soprattutto quelle che si accampano solitarie su grandi pareti o muri di cinta,
come quella gigantesca che mi trovo a dover leggere ogni volta che parcheggio
vicino al mio bar: “Sei il mio solo e unico pensiero”, che nessuno ha pensato
mai di cancellare e a cui ogni volta mi trattengo a fatica dall'aggiungere un
codicillo, come: “per la tua testa è già troppo”, o qualche sua variante ancor
più esplicita per facilitare la comprensione (dati i presupposti).
Sono
testi che nascono da uno spiccato horror
vacui, come risposte a grandi superfici intonse, la cui nudità appare
insopportabile, oscena; ma che poi attraggono a loro volta l’horror pleni dei cultori dell’ordine e
della verginità anche di seconda o terza battuta (di pareti, strade, luoghi: di
ogni volume, animato o inanimato che sia), che ridipingono i muri daccapo, o i
segmenti incriminati, con la stessa pittura o una tinta uguale o simile, ton sur ton, a velatura, ma coprente,
sigillante, azzerante, fino al prossima provocazione che, manco a dirlo, si
materializza non appena il restauratore dell’ordine si è allontanato, e solo lì
dove aveva verniciato, non altrove, né accanto né più in alto o più in basso,
ci fossero pure km quadrati a disposizione, riproducendo sempre e solo,
perfettamente identica, fin negli svolazzi, la scritta cancellata, l’unica
verità che lo scrivente ha da comunicare, nient’altro, perché un altro o un
altrove non c’è, in un susseguirsi di colpi di mano interscambiabili, una
guerra di nervi fino allo sfinimento, che di solito viene vinta dal compulsivo profeta,
il quale però, una volta ottenutala, abbandona il campo e se ne va senza
approfittare oltre: come svuotato, senza nemmeno più curarsi di quella verità
per cui così a lungo e protervamente aveva lottato, e che ora lascia al proprio
destino di parola senza destinatario, che si cancella a causa dell’eccesso di
apparenza e raggiunge così, una volta ottenuto il sopravvento per il puro gusto
di prevalere, “per principio”, la sorte di invisibilità che voleva riservargli
il suo avversario sconfitto.
Qui
invece sembra che a vincere, per ora, sia la cancellazione. Ad affascinarmi non
è questa peraltro prevedibile vittoria, almeno a lungo termine, con il suo
allineamento conformista a una legge universale, quanto le forme che la
cancellazione assume. Si tratta di rettangoli, perlopiù, ma anche di poligoni
irregolari di varia grandezza, di figure sopra o dentro altre figure, con
stesure di colori uguali o simili che danno luogo a velature, o gradazioni e
contrasti, in un gioco ottico che si relaziona (dialetticamente!) con la tinta
del muro o con quelle diverse dei muri adiacenti e con le varie fonti luminose,
a cominciare da quella mutevole che viene da fuori (un barlume, da lontano), ma
anche con effetti ritmici che il loro irregolare susseguirsi e le differenti andature
dei passanti creano dall'una all'altra e sull'intera parete, e persino da una
parete alla successiva o con i più svariati fattori, quando per esempio vengono
incluse nel gioco pavimenti, colonne, soffitti e altre componenti grafiche e
architettoniche. (Mi perdo in queste cazzate... e non ho scusanti!)
Ad
essere completamente ricoperte non sono che le scritte del fantomatico Angel
Manuel (un nome che mi puzza tanto di pseudonimo: a meno che non sia la mia
diffidenza, e diciamo pure avversione, per l'eccesso di simbolismo, ancor più
se involontario), e eventuali malcapitate solo a causa della vicinanza, come a
delimitare una zona di quarantena per impedire la diffusione del contagio. E
non importa se questo interrompe la continuità, se, alla lettera, la macchia e
rende visibile la segregazione su cui la continuità si regge, occultandola del
tutto solo quando funziona perfettamente, nel paradiso sognato dell'uniforme.
Tutti gli altri graffiti sono risparmiati, come nelle migliori tradizioni
democratiche, o cancellate quasi di malavoglia (sembra) nei momenti di crisi
generale, quando si rendono necessarie prese di posizioni forti e si procede a
una tinteggiatura generale di interi settori del percorso sotterraneo. Se no è
il caos!
Ma
anche i meccanismi più perfetti si lasciano alle spalle delle piccole magagne,
secondo l'insegnamento dei mistici tessitori islamici (gente che la sa lunga),
come dimostra la già segnalata sopravvivenza di alcune scritte nelle rampe di
uscita per i portatori di handicap e su un paio di cartelloni plastificati
lungo le banchine della ferrovia sotterranea, o in angoli poco accessibili alla
massa dei viaggiatori, riserve visive per le microsacche di maniaci: feticisti
vari, dandy e scioperati, collezionisti, ricercatori, élites... Omissioni che
hanno il merito di far segno a una delle questioni più intriganti: quella
sull'autore delle cancellazioni, e se si tratta dello stesso che effettua le
correzioni e le cancellature parziali.
Prima
di avanzare qualche ipotesi in merito, conviene però soffermarsi su queste
ultime e sulla loro complessa stratigrafia. Perché è da qui che è sorto e si è
sviluppato il mio interesse. E' da qui che sono nate le domande fondamentali.
Il resto, cioè quanto detto finora, questa lunghissima, estenuante, eccessiva,
brodosa introduzione, senza di esse sono solo sciocchezze, vaneggiamenti
laterali, plusvalenze, piaceri aggiunti. Supplementi. Gradevoli, per carità, ma
niente più. Mica siamo alessandrini, noi. Noi andiamo al sodo! Il contorno, ce
lo concediamo solo dopo, per premio; o consolazione. (Noi, sarei io.)
Le
cancellature e le correzioni vertono principalmente su nome, genere, proprietà,
professione, dimensioni e numero di cellulare. Cioè su tutto. Non risparmiano
niente. No prisoners. La loro acribia
è ammirevole. Adoro la precisione e la tenacia. (Perché ne sono privo.) Mi
incanta (mi incitrullisce) la pazienza (perché ne abbondo; nella forma
deteriore però: la sopportazione).
Il
nome da Angel Manuel, diventa Angela Manuela, e poi Angelo Manuele; il genere da maschile passa a
femminile, poi di nuovo a maschile, con qualche puntata nelle zone intermedie (trans), così come le preferenze sessuali
(da gigolò a frocio, o ancora a trans,
con bell'ampliamento delle possibilità: è il minimo, nell'attuale impero del
mercato) e di conseguenza i destinatari dell'offerta (da solo per donne al più ampio ventaglio assicurato dalle differenti
caratterizzazioni); le proprietà, o caratteri salienti, subiscono brusche
riduzioni (da superdotato a cm 10, o addirittura 8, che sarebbe comunque un tratto
alquanto significativo, a modo suo) e trasformazioni (dal pene del gigolò a grilletto o utero, indifferentemente, chissà perché; immagino per contiguità:
il postmoderno è il regno della metonimia); anche l'indicazione del luogo, si
potrebbe dire il certificato di provenienza, o la denominazione di origine
controllata, passa dalla metropoli (Milano:
città per la quale la denominazione di metropoli è molto generosa) a una sua
parte, esplicita (viene dal Paolo Pini,
che per un milanese sta per "manicomio", a volte con la spiegazione: è pazzo per i non-milanesi e pressanti
inviti a badare alla salute: curati il
cervello, come se l'interlocutore possa mostrarsi ricettivo a questi
inviti; personalmente ne dubito: conosco i miei polli!) o implicita (un
ospedale o una ASL: è sifilitico).
Resta,
infine, il numero di cellulare, che è l'elemento, all'interno di ogni singolo
graffito, che subisce il maggior numero
di interventi (cancellazione o storpiatura degli ultimi tre numeri, degli ultimi
sei o, più raramente, di tutta la sequenza) e di riprese (ne ho contate fino a
quattro), a loro volta parzialmente cancellate o storpiate, ma spesso
campeggianti nella loro interezza, fino alla prossima verniciatura.
E'
il susseguirsi di queste versioni a appassionarmi, il conflitto e il palinsesto
infinito; l'ostinazione dei contendenti, il legame indissolubile che li lega:
il corpo a corpo in cui non si sa più quale è il corpo di chi; la prevedibilità
delle mosse, il loro automatismo, che nondimeno non interrompe e nemmeno frena
le ostilità, e anzi le rilancia sempre più, con la riserva di slanci creativi
celati nello scrigno delle infime variazioni... La scimmiosi infinita!
Sono
i suoi misteri, quelli legati all'interpretazione, al sogno nel sogno nel sogno
che essa scatena, a risucchiarmi nel loro gorgo, a invadere il mio fragile
comprendonio, a sedurlo e avvelenarlo. Un niente! Un dolce veleno. Oh, sweet
nuthin'!
Chi
scrive? Chi cancella? Il numero di cellulare è davvero quello di colui che lo
scrive proponendosi come prestatore d'opera? (Prestatore d'opera: che
espressione meravigliosa!) Oppure è un nemico (o un amico particolarmente
scherzoso) a scriverlo ed è il suo titolare a cancellare? Perché si limita a
cancellare o correggere solo gli ultimi numeri? E come inserire le altre
correzioni e i commenti in questo contesto? E' possibile che chi commenta e chi
corregge siano due persone diverse, e che entrambe siano diverse dall'esecutore
del messaggio originale e delle correzioni alla correzioni o dell'avventuroso
ripristino della versione primitiva? (Stavo per scrivere primigenia, ma quando
è troppo è troppo!) E ancora:
Se
il cancellatore e il correttore (e il commentatore) sono diversi dal primo
scrivente (non me la sento di chiamarlo autore: ho ancora un residuo di
rispetto per certe parole, io), e tra di loro, chi sono, e in che reciproci
rapporti? o non ne hanno altri che quelli creati dalla sovrapposizione dei loro
segni? Perché uno sente il bisogno, o obbedisce al capriccio, di commentare e/o
cancellare e/o correggere qualcosa che non lo riguarda? O il fatto che qualcosa
sia scritto basta a che qualcuno possa credere che in qualche modo lo riguarda?
in che modo, allora?
Ovvero
basta che uno legga perché, oltre che già riguardato, già corregga o integri o
commenti, e quindi tanto vale che qualcuno (qualcuno, non tutti: per esempio io
no, se qualcuno è disposto a credermi) lo faccia per davvero, cioè lasciando
tracce scritte a sua volta? Basta questo a scatenare ostilità? Perché? E perché
così tanta, e così dolorosamente (giocosamente ma dolorosamente) ostinata?
Oppure
si tratta in ogni caso della stessa persona? La grafia, non di molto, ma appare
diversa. Uno schizofrenico allora? Uno che cambia, poco o tanto, grafia a
seconda della parte che assume (della personalità che in quel momento è
dominante)? O è uno che inscena diverse personalità per dar luogo a una
sceneggiata (di dubbio gusto, mi si lasci aggiungere)? Ma a favore, o contro
chi, allora? Un perverso che lo fa per compiacere (attrarre) altri perversi, o
lettori appassionati o interpreti coatti, come me? (come gioco a essere io ora:
come forse fingo di essere, o di giocare, io ora: ora quando?)
E
chi passa le mani di vernice? E' lo stesso o cambia ogni volta? E come le
passa? La forma e la grandezza delle figure geometriche sono dettate solo dalla
superficie occupata dalle scritte o c’è un sia pure labile, o inconsapevole,
automatico, intento estetico? o si tratta di scelte momentanee, del tutto
immotivate (ammesso che ce ne siano), istintive, come viene viene? E' quindi un
artista, di valore ancora sub iudice, o un semplice dipendente comunale, o
delle ferrovie, o di qualche ditta incaricata di ripulire i muri o di
verniciare periodicamente questo o quello, in particolare i luoghi di passaggio
più recenti e frequentati, e con maggior frequenza quelli delle zone più ricche
o turisticamente e commercialmente più remunerative, e che il resto si arrangi
come può che se non sporcasse sarebbe meglio, che tanto a sporcare sono sempre
quelli, sappiamo benissimo chi? Ma perché nei tunnel del Passante a ricevere il
trattamento sono sempre, e spesso solo, queste scritte e non altre?
E
se a cancellare è un privato, di propria iniziativa, chi è? Quando arriva con
vernice e pennello (con un lungo manico anche, per raggiungere certi punti),
possibile che nessuno dica niente? E' uno dei cancellatori/commentatori, o il
protoscrivente in persona, che passa una mano di tintura per poter riscrivere
tutto daccapo con chiarezza, senza equivoci?
E
ancora: qualcuno avrà provato a chiamare o a mandare un sms (come direttamente
specificato)? Cosa sarà successo? La realtà corrisponde a quanto sbandierato
(promesso) dal testo? In che misura (sia detto senza malizia)? In che misura
conta la misura, per l'eventuale o reale chiamatore (sempre senza malizia)? Ci
sarà stato qualche incontro? Se sì, con un seguito o senza? Per la delusione o
a maggior gloria dell'unicum? L'eventuale seguito, sarà stato con una sola o
con più persone e avrà come effetto la fine delle scritte, e di conseguenza
della saga, con buona pace di tutti? Tutti? Anch'io?
O
ci sarà lo stesso un seguito anche alla saga: ma a che condizioni in tal caso?
Di nascosto? All'oscuro? All'oscuro è difficile, perché come il partner ha
visto per chiamare, può tornare a vedere anche dopo. A meno che non ci sia un
cambio di luoghi dove scrivere i messaggi o l'acquisizione di nuovi numeri di
telefono, o un ulteriore cambio di grafia (se non c'è già stato).
Ma
in tal caso, a chi o cosa sarebbe da attribuire? Si tornerebbe allora al
livello di interpretazione di partenza o si tratterebbe di un altro livello?
Ecc. ecc. ecc. ecc.
Maledetta
curiosità! La voglia, l'impulso a conoscere, a cercare di capire... cosa?
l'incomprensibile? No. Cioè: anche; ma non qui. L'indecidibile, quando imbocco
il tunnel... La filosofia... la metafisica! E all'uscita dal tunnel ecco, oggi
per esempio, due spose cinesi in abito bianco, lunghissimo, tutto plissettato,
ciascuna con un cesto di fiori in mano (e i fioristi dove sono? e loro sono
davvero spose, o, che so, modelle?)... mentre gli sposi (o i fratelli? i
testimoni?), le rincorrono nei loro abiti da cerimonia grigi, la giacca scura,
a coda, i pantaloni più chiari, e faticano a stargli dietro, ma parlano, si
agitano, e forse dicono o indicano loro qualcosa, che però io non vedo e non
capisco, e non cerco nemmeno di capire, tanto che distolgo lo sguardo, in alto,
sempre più in alto, verso la punta del nuovissimo grattacielo che non so
proprio cosa cavolo mi possa significare, e nemmeno me ne do cura (ma
significa... eccome se significa!), ancora prima che loro entrino, tutti e
quattro, o anche con qualcun altro che li aspettava o si è aggiunto nel
frattempo, le spose alzando con la mano libera lo strascico che, da lì, manda
riflessi perlacei, in un palazzo in fondo, sulla destra, o svoltino tutti nella
laterale appena dopo, non so, non distinguo, e spariscano per sempre dalla mia
vista, senza lasciare tracce, come una domanda, una serie di domande che non ho
formulato e non so né sospetto di non avere mai formulato o che mai le
formulerò.
PS.
Si può anche saltare
(Oggi
ho preso il treno con mezz’ora di anticipo per evitare lo sciopero, e poi,
siccome era presto e non avevo la chiave dell’ufficio, mi sono fermato su una
panchina del Passante a finire la riverniciatura, iniziata in carrozza, di
questo testo, la cui penultima versione ho terminato di scrivere ieri sera. Poi
ho percorso moderatamente contento i vari tunnel e sono uscito nell’aria
gelida; appena svoltato da via Tazzoli in via Maroncelli ho incontrato due
cinesi: un giovanotto che portava una grossa borsa metallizzata, di quelle
tipiche dei fotografi di professione, e un uomo sui quarant’anni, che reggeva a
fatica un grande quadro ben incorniciato e protetto da un vetro. Dentro c’era
la foto di una sposa. Una delle due che di cui avevo scritto. Sì, a volte
arrivano risposte a domande che nemmeno avevi formulato. Riguardano solo
scemenze però.)
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