18/01/15

Correzioni, commenti, rettifiche, cancellature e cancellazioni



Ogni lunedì, quando imbocco l'ultimo tunnel che dal Passante di Porta Garibaldi sbuca in via Tazzoli, sotto l'AC Hotel, il mio cuoricino accelera un po'. E' l'attesa. L'incertezza e la curiosità di sapere se ci sarà una nuova puntata della piccola saga dei graffiti che mi appassiona dalla prima volta che sono passato di qua, alcuni mesi fa. Ci sarà qualche colpo di scena o l'ultima cancellazione sarà quella definitiva?

Mi riferisco a una serie di interventi, graffiti correzioni rettifiche e imbiancature, che riguardano solo un gruppo di scritte in gran parte concentrate sui muri dell’ultimo segmento del tunnel all’uscita del Passante, in cima alle lunghe e ripidissime scale mobili, e accanto alla scalinata e alla rampa per le carrozzine che sbucano nella piazzetta davanti all’hotel, dove stazionano quasi sempre taxi e auto di grossa cilindrata e belle donne con borse e valigie di gran marca (già in piedi così presto?).
Le scritte appartengano tutte a una stessa mano e ribadiscono, a breve distanza l’una dall’altra e con minime variazioni, un unico messaggio. Nelle sue componenti essenziali il messaggio consiste di questi elementi: declinazione delle generalità (solo il nome però, che non è detto, come vedremo dopo, che debba corrispondere al nome reale dello scrivente: pseudonimo, nome d’arte, avatar, con possibili implicazioni di facile simbolismo, - a meno che non sia un tratto ironico, uno dei tanti), nazionalità, titolo di studi e professione (o aspirazione) inclusi (Angel Manuel rag. ital. gigolò); indicazione delle peculiarità salienti (superdotato: senza misure dettagliate, che però vengono aggiunte, polemicamente, dal correttore: 8-10 cm), e dei destinatari (solo x donne, non sono previste eccezioni), senza specificare la tipologia delle prestazioni offerte (ma facilmente intuibili, si presume che lo scrivente presuma) ma talvolta con rassicurazioni sulla locazione lavorativa (in ambiente comodo e riservato) e sulla sua accessibilità (Milano, anche se sui pubblici servizi qualcosina da ridire ci sarebbe); e infine dei numeri di telefono (ma in genere lo stesso più volte reiterato, vuoi per chiarezza, vuoi in risposta a cancellatura degli ultimi numeri: omissis) con specificazione della forma di comunicazione e/o di presa di contatto auspicata (sms). Altre aggiunte, minime come le variazioni espressive, sono ascrivibili solo all’estro momentaneo e quindi non sono particolarmente significative; ovvero lo sono solo di quello (dell’estro momentaneo, intendo), per quanto possano suggerire ben altro, interi mondi, a chi è disposto a entrarci, per esempio ai fini psicologi televisivi, o solo piccole sfumature, ma essenziali, ai vari patologi, indizi da cui uno specialista, a seconda della sua specialità, potrebbe trarre chissà quante e quali interessantissime deduzioni, se non addirittura, i più azzardati (i più spocchiosi, o sicuri, come l’esperto si presume che sia), definitive conclusioni. Le seguirei tutte, ne avessi il tempo e gli strumenti (per tacere delle capacità).
La scritte in sé non sono molto originali: direi anzi che si riallacciano pedissequamente (ma il calco va letto come indice di una professionalità che non indulge a vezzi soggettivi) a una tradizionale e veneranda tipologia che di solito attecchisce nei cessi pubblici o nei luoghi a più diffusa creatività, come edifici scolastici e penitenziari (lascio il dettaglio delle decorazioni e dei materiali usati ai critici d’arte e agli antropologi); e quindi, come tali, dovrebbero risultare noiose, non fosse la quello che ha suscitato il mio interesse è straordinaria fioritura di correzioni, integrazioni, riscritture, commenti, cancellature, rettifiche, modifiche e cancellazioni mediante verniciatura di cui periodicamente sono tutte oggetto, escluse quelle della rampa per carrozzine e sui fianchi della scalinata che non conoscono tinteggiature: le prime (e ti pareva!) per la solita discriminazione verso i meno avvantaggiati che si estende al loro ambiente, la seconde perché sul marmo, credo.
Anche questo non sarebbe poi così interessante: i muri sono pieni di scritte e disegni di ogni genere, di solito sotto forma di illustrazioni (con particolare riguardo a certe parti anatomiche, che evidentemente si dimenticano in fretta se c’è sempre qualcuno che trova utile ricordarne le fattezze), di esemplificazioni della propria creatività per mano di gente che per prima non è convinta del suo valore e cionondimeno insiste forse confidando nella sbadataggine altrui, e di effusioni, celebrazioni, invettive e dichiarazioni di vario tenore, ma preferibilmente amorose (l’amore, si sa, ha questo difetto, di lasciare strascichi, i più impensabili), e a volte di vere e proprie guerre di comunicati, in passato anche politici, ora quasi soltanto sportivi o razzisti (in Italia è lo stesso). La vecchia solfa dell’effimero e  dell’eterno.
Alcune scritte invogliano a replicare; si potrebbe addirittura ipotizzare che agiscono da calamite, come stimoli a impulsi primordiali, al gioco o al veleno. Soprattutto quelle che si accampano solitarie su grandi pareti o muri di cinta, come quella gigantesca che mi trovo a dover leggere ogni volta che parcheggio vicino al mio bar: “Sei il mio solo e unico pensiero”, che nessuno ha pensato mai di cancellare e a cui ogni volta mi trattengo a fatica dall'aggiungere un codicillo, come: “per la tua testa è già troppo”, o qualche sua variante ancor più esplicita per facilitare la comprensione (dati i presupposti).
Sono testi che nascono da uno spiccato horror vacui, come risposte a grandi superfici intonse, la cui nudità appare insopportabile, oscena; ma che poi attraggono a loro volta l’horror pleni dei cultori dell’ordine e della verginità anche di seconda o terza battuta (di pareti, strade, luoghi: di ogni volume, animato o inanimato che sia), che ridipingono i muri daccapo, o i segmenti incriminati, con la stessa pittura o una tinta uguale o simile, ton sur ton, a velatura, ma coprente, sigillante, azzerante, fino al prossima provocazione che, manco a dirlo, si materializza non appena il restauratore dell’ordine si è allontanato, e solo lì dove aveva verniciato, non altrove, né accanto né più in alto o più in basso, ci fossero pure km quadrati a disposizione, riproducendo sempre e solo, perfettamente identica, fin negli svolazzi, la scritta cancellata, l’unica verità che lo scrivente ha da comunicare, nient’altro, perché un altro o un altrove non c’è, in un susseguirsi di colpi di mano interscambiabili, una guerra di nervi fino allo sfinimento, che di solito viene vinta dal compulsivo profeta, il quale però, una volta ottenutala, abbandona il campo e se ne va senza approfittare oltre: come svuotato, senza nemmeno più curarsi di quella verità per cui così a lungo e protervamente aveva lottato, e che ora lascia al proprio destino di parola senza destinatario, che si cancella a causa dell’eccesso di apparenza e raggiunge così, una volta ottenuto il sopravvento per il puro gusto di prevalere, “per principio”, la sorte di invisibilità che voleva riservargli il suo avversario sconfitto.
Qui invece sembra che a vincere, per ora, sia la cancellazione. Ad affascinarmi non è questa peraltro prevedibile vittoria, almeno a lungo termine, con il suo allineamento conformista a una legge universale, quanto le forme che la cancellazione assume. Si tratta di rettangoli, perlopiù, ma anche di poligoni irregolari di varia grandezza, di figure sopra o dentro altre figure, con stesure di colori uguali o simili che danno luogo a velature, o gradazioni e contrasti, in un gioco ottico che si relaziona (dialetticamente!) con la tinta del muro o con quelle diverse dei muri adiacenti e con le varie fonti luminose, a cominciare da quella mutevole che viene da fuori (un barlume, da lontano), ma anche con effetti ritmici che il loro irregolare susseguirsi e le differenti andature dei passanti creano dall'una all'altra e sull'intera parete, e persino da una parete alla successiva o con i più svariati fattori, quando per esempio vengono incluse nel gioco pavimenti, colonne, soffitti e altre componenti grafiche e architettoniche. (Mi perdo in queste cazzate... e non ho scusanti!)
Ad essere completamente ricoperte non sono che le scritte del fantomatico Angel Manuel (un nome che mi puzza tanto di pseudonimo: a meno che non sia la mia diffidenza, e diciamo pure avversione, per l'eccesso di simbolismo, ancor più se involontario), e eventuali malcapitate solo a causa della vicinanza, come a delimitare una zona di quarantena per impedire la diffusione del contagio. E non importa se questo interrompe la continuità, se, alla lettera, la macchia e rende visibile la segregazione su cui la continuità si regge, occultandola del tutto solo quando funziona perfettamente, nel paradiso sognato dell'uniforme. Tutti gli altri graffiti sono risparmiati, come nelle migliori tradizioni democratiche, o cancellate quasi di malavoglia (sembra) nei momenti di crisi generale, quando si rendono necessarie prese di posizioni forti e si procede a una tinteggiatura generale di interi settori del percorso sotterraneo. Se no è il caos!
Ma anche i meccanismi più perfetti si lasciano alle spalle delle piccole magagne, secondo l'insegnamento dei mistici tessitori islamici (gente che la sa lunga), come dimostra la già segnalata sopravvivenza di alcune scritte nelle rampe di uscita per i portatori di handicap e su un paio di cartelloni plastificati lungo le banchine della ferrovia sotterranea, o in angoli poco accessibili alla massa dei viaggiatori, riserve visive per le microsacche di maniaci: feticisti vari, dandy e scioperati, collezionisti, ricercatori, élites... Omissioni che hanno il merito di far segno a una delle questioni più intriganti: quella sull'autore delle cancellazioni, e se si tratta dello stesso che effettua le correzioni e le cancellature parziali.
Prima di avanzare qualche ipotesi in merito, conviene però soffermarsi su queste ultime e sulla loro complessa stratigrafia. Perché è da qui che è sorto e si è sviluppato il mio interesse. E' da qui che sono nate le domande fondamentali. Il resto, cioè quanto detto finora, questa lunghissima, estenuante, eccessiva, brodosa introduzione, senza di esse sono solo sciocchezze, vaneggiamenti laterali, plusvalenze, piaceri aggiunti. Supplementi. Gradevoli, per carità, ma niente più. Mica siamo alessandrini, noi. Noi andiamo al sodo! Il contorno, ce lo concediamo solo dopo, per premio; o consolazione. (Noi, sarei io.)
Le cancellature e le correzioni vertono principalmente su nome, genere, proprietà, professione, dimensioni e numero di cellulare. Cioè su tutto. Non risparmiano niente. No prisoners. La loro acribia è ammirevole. Adoro la precisione e la tenacia. (Perché ne sono privo.) Mi incanta (mi incitrullisce) la pazienza (perché ne abbondo; nella forma deteriore però: la sopportazione).
Il nome da Angel Manuel, diventa Angela Manuela, e poi Angelo Manuele; il genere da maschile passa a femminile, poi di nuovo a maschile, con qualche puntata nelle zone intermedie (trans), così come le preferenze sessuali (da gigolò a frocio, o ancora a trans, con bell'ampliamento delle possibilità: è il minimo, nell'attuale impero del mercato) e di conseguenza i destinatari dell'offerta (da solo per donne al più ampio ventaglio assicurato dalle differenti caratterizzazioni); le proprietà, o caratteri salienti, subiscono brusche riduzioni (da superdotato a cm 10, o addirittura 8, che sarebbe comunque un tratto alquanto significativo, a modo suo) e trasformazioni (dal pene del gigolò a grilletto o utero, indifferentemente, chissà perché; immagino per contiguità: il postmoderno è il regno della metonimia); anche l'indicazione del luogo, si potrebbe dire il certificato di provenienza, o la denominazione di origine controllata, passa dalla metropoli (Milano: città per la quale la denominazione di metropoli è molto generosa) a una sua parte, esplicita (viene dal Paolo Pini, che per un milanese sta per "manicomio", a volte con la spiegazione: è pazzo per i non-milanesi e pressanti inviti a badare alla salute: curati il cervello, come se l'interlocutore possa mostrarsi ricettivo a questi inviti; personalmente ne dubito: conosco i miei polli!) o implicita (un ospedale o una ASL: è sifilitico).
Resta, infine, il numero di cellulare, che è l'elemento, all'interno di ogni singolo graffito, che  subisce il maggior numero di interventi (cancellazione o storpiatura degli ultimi tre numeri, degli ultimi sei o, più raramente, di tutta la sequenza) e di riprese (ne ho contate fino a quattro), a loro volta parzialmente cancellate o storpiate, ma spesso campeggianti nella loro interezza, fino alla prossima verniciatura.
E' il susseguirsi di queste versioni a appassionarmi, il conflitto e il palinsesto infinito; l'ostinazione dei contendenti, il legame indissolubile che li lega: il corpo a corpo in cui non si sa più quale è il corpo di chi; la prevedibilità delle mosse, il loro automatismo, che nondimeno non interrompe e nemmeno frena le ostilità, e anzi le rilancia sempre più, con la riserva di slanci creativi celati nello scrigno delle infime variazioni... La scimmiosi infinita!
Sono i suoi misteri, quelli legati all'interpretazione, al sogno nel sogno nel sogno che essa scatena, a risucchiarmi nel loro gorgo, a invadere il mio fragile comprendonio, a sedurlo e avvelenarlo. Un niente! Un dolce veleno. Oh, sweet nuthin'!
Chi scrive? Chi cancella? Il numero di cellulare è davvero quello di colui che lo scrive proponendosi come prestatore d'opera? (Prestatore d'opera: che espressione meravigliosa!) Oppure è un nemico (o un amico particolarmente scherzoso) a scriverlo ed è il suo titolare a cancellare? Perché si limita a cancellare o correggere solo gli ultimi numeri? E come inserire le altre correzioni e i commenti in questo contesto? E' possibile che chi commenta e chi corregge siano due persone diverse, e che entrambe siano diverse dall'esecutore del messaggio originale e delle correzioni alla correzioni o dell'avventuroso ripristino della versione primitiva? (Stavo per scrivere primigenia, ma quando è troppo è troppo!) E ancora:
Se il cancellatore e il correttore (e il commentatore) sono diversi dal primo scrivente (non me la sento di chiamarlo autore: ho ancora un residuo di rispetto per certe parole, io), e tra di loro, chi sono, e in che reciproci rapporti? o non ne hanno altri che quelli creati dalla sovrapposizione dei loro segni? Perché uno sente il bisogno, o obbedisce al capriccio, di commentare e/o cancellare e/o correggere qualcosa che non lo riguarda? O il fatto che qualcosa sia scritto basta a che qualcuno possa credere che in qualche modo lo riguarda? in che modo, allora?
Ovvero basta che uno legga perché, oltre che già riguardato, già corregga o integri o commenti, e quindi tanto vale che qualcuno (qualcuno, non tutti: per esempio io no, se qualcuno è disposto a credermi) lo faccia per davvero, cioè lasciando tracce scritte a sua volta? Basta questo a scatenare ostilità? Perché? E perché così tanta, e così dolorosamente (giocosamente ma dolorosamente) ostinata?
Oppure si tratta in ogni caso della stessa persona? La grafia, non di molto, ma appare diversa. Uno schizofrenico allora? Uno che cambia, poco o tanto, grafia a seconda della parte che assume (della personalità che in quel momento è dominante)? O è uno che inscena diverse personalità per dar luogo a una sceneggiata (di dubbio gusto, mi si lasci aggiungere)? Ma a favore, o contro chi, allora? Un perverso che lo fa per compiacere (attrarre) altri perversi, o lettori appassionati o interpreti coatti, come me? (come gioco a essere io ora: come forse fingo di essere, o di giocare, io ora: ora quando?)
E chi passa le mani di vernice? E' lo stesso o cambia ogni volta? E come le passa? La forma e la grandezza delle figure geometriche sono dettate solo dalla superficie occupata dalle scritte o c’è un sia pure labile, o inconsapevole, automatico, intento estetico? o si tratta di scelte momentanee, del tutto immotivate (ammesso che ce ne siano), istintive, come viene viene? E' quindi un artista, di valore ancora sub iudice, o un semplice dipendente comunale, o delle ferrovie, o di qualche ditta incaricata di ripulire i muri o di verniciare periodicamente questo o quello, in particolare i luoghi di passaggio più recenti e frequentati, e con maggior frequenza quelli delle zone più ricche o turisticamente e commercialmente più remunerative, e che il resto si arrangi come può che se non sporcasse sarebbe meglio, che tanto a sporcare sono sempre quelli, sappiamo benissimo chi? Ma perché nei tunnel del Passante a ricevere il trattamento sono sempre, e spesso solo, queste scritte e non altre?
E se a cancellare è un privato, di propria iniziativa, chi è? Quando arriva con vernice e pennello (con un lungo manico anche, per raggiungere certi punti), possibile che nessuno dica niente? E' uno dei cancellatori/commentatori, o il protoscrivente in persona, che passa una mano di tintura per poter riscrivere tutto daccapo con chiarezza, senza equivoci?
E ancora: qualcuno avrà provato a chiamare o a mandare un sms (come direttamente specificato)? Cosa sarà successo? La realtà corrisponde a quanto sbandierato (promesso) dal testo? In che misura (sia detto senza malizia)? In che misura conta la misura, per l'eventuale o reale chiamatore (sempre senza malizia)? Ci sarà stato qualche incontro? Se sì, con un seguito o senza? Per la delusione o a maggior gloria dell'unicum? L'eventuale seguito, sarà stato con una sola o con più persone e avrà come effetto la fine delle scritte, e di conseguenza della saga, con buona pace di tutti? Tutti? Anch'io?
O ci sarà lo stesso un seguito anche alla saga: ma a che condizioni in tal caso? Di nascosto? All'oscuro? All'oscuro è difficile, perché come il partner ha visto per chiamare, può tornare a vedere anche dopo. A meno che non ci sia un cambio di luoghi dove scrivere i messaggi o l'acquisizione di nuovi numeri di telefono, o un ulteriore cambio di grafia (se non c'è già stato).
Ma in tal caso, a chi o cosa sarebbe da attribuire? Si tornerebbe allora al livello di interpretazione di partenza o si tratterebbe di un altro livello? Ecc. ecc. ecc. ecc.
Maledetta curiosità! La voglia, l'impulso a conoscere, a cercare di capire... cosa? l'incomprensibile? No. Cioè: anche; ma non qui. L'indecidibile, quando imbocco il tunnel... La filosofia... la metafisica! E all'uscita dal tunnel ecco, oggi per esempio, due spose cinesi in abito bianco, lunghissimo, tutto plissettato, ciascuna con un cesto di fiori in mano (e i fioristi dove sono? e loro sono davvero spose, o, che so, modelle?)... mentre gli sposi (o i fratelli? i testimoni?), le rincorrono nei loro abiti da cerimonia grigi, la giacca scura, a coda, i pantaloni più chiari, e faticano a stargli dietro, ma parlano, si agitano, e forse dicono o indicano loro qualcosa, che però io non vedo e non capisco, e non cerco nemmeno di capire, tanto che distolgo lo sguardo, in alto, sempre più in alto, verso la punta del nuovissimo grattacielo che non so proprio cosa cavolo mi possa significare, e nemmeno me ne do cura (ma significa... eccome se significa!), ancora prima che loro entrino, tutti e quattro, o anche con qualcun altro che li aspettava o si è aggiunto nel frattempo, le spose alzando con la mano libera lo strascico che, da lì, manda riflessi perlacei, in un palazzo in fondo, sulla destra, o svoltino tutti nella laterale appena dopo, non so, non distinguo, e spariscano per sempre dalla mia vista, senza lasciare tracce, come una domanda, una serie di domande che non ho formulato e non so né sospetto di non avere mai formulato o che mai le formulerò.


PS. Si può anche saltare

(Oggi ho preso il treno con mezz’ora di anticipo per evitare lo sciopero, e poi, siccome era presto e non avevo la chiave dell’ufficio, mi sono fermato su una panchina del Passante a finire la riverniciatura, iniziata in carrozza, di questo testo, la cui penultima versione ho terminato di scrivere ieri sera. Poi ho percorso moderatamente contento i vari tunnel e sono uscito nell’aria gelida; appena svoltato da via Tazzoli in via Maroncelli ho incontrato due cinesi: un giovanotto che portava una grossa borsa metallizzata, di quelle tipiche dei fotografi di professione, e un uomo sui quarant’anni, che reggeva a fatica un grande quadro ben incorniciato e protetto da un vetro. Dentro c’era la foto di una sposa. Una delle due che di cui avevo scritto. Sì, a volte arrivano risposte a domande che nemmeno avevi formulato. Riguardano solo scemenze però.)


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