È tempo di trenodie, civili, virili, talvolta
nostalgiche e però mai molli, sdegnate piuttosto, magari rabbiose, e sempre più
frequenti. Tutte giustificate. Chi sul passato prossimo, chi su quello remoto,
difficile lasciarsi sfuggire l’occasione per intonare lamentazioni. Naturale: e
quando mai il presente è stato roseo? Meglio il passato (e meglio lasciar
perdere il futuro).
E certo quando si legge un libro come Ascolto il tuo cuore, città, la
tentazione trenodica è la più spontanea. Ah, la vecchia Milano!, vien da
pensare. Ma il rimpianto è solo nostro; Savinio, da quell’uomo sommamente
civile che era, mai vi avrebbe indulto (“le prefiche che urlano ai funerali ci
ripugnano”), ed anzi, proprio perché civile, pur non vedendo il presente roseo,
e il suo non lo era proprio, ha sempre cercato di viverne il meglio, o di
viverlo al meglio. E pur ripugnandogli anche la forma di retorica “peggiore: la
retorica dell’ottimismo”, aveva inoltre fiducia nel futuro: “da queste rovine
sorgerà una città più forte, più ricca, più bella”, aveva il coraggio di
scrivere dopo i bombardamenti del 1943. Fiducia un po’ eccessiva al nostro
senno di poi. Né si può rimproverargli di non aver pensato a Baggio o Quarto
Oggiaro, a Sesto, Bollate o Trezzano: altra era la sua Milano, una Milano quasi
intemporale, in cui la storia era sì presente, ma sedimentata in una civiltà
giunta alla sua maturazione culturale e sociale: “il luogo della nostra
immortalità terrestre”. Forse più un’idea che una realtà; eppure è bello
pensare che così fosse e che qualcuno ne abbia fatto l’encomio: ovviamente un
non-milanese, per quanto più milanese di quelli veri, come tutti i milanesi
d’elezione (come Stendhal, ad esempio, che non a caso viene sovente citato e
richiamato).
È sbagliato però cercare una Milano reale
quando a parlarne è uno scrittore che, come Savinio, si assimila qualsiasi cosa
tocchi; ma se fosse proprio la sua, la Milano più reale, se non la più vera,
mentre l’altra, quella che chiama reale la nostra abitudine, non fosse che una
maschera, una brutta copia, o più semplicemente un’omonima? Così sarebbe
improprio cercare in questo libro un baedeker di alto livello, poetico magari,
sebbene in fondo, se per far conoscere e parlare di una città la sua
descrizione non basta, il libro sia proprio questo: forse il baedeker ideale
non può che essere autobiografico, nel senso più lato del termine.
Una città vive solo della vita di chi la narra,
quando i suoi luoghi si animano di chi ci ha vissuto e si è incontrato, quando
percorrendo le sue strade e entrando nelle sue case si tracciano traiettorie
non solo fisiche, quando è impossibile parlarne da turista o passeggero. In Ascolto il tuo cuore, città tutto si
anima e vive: i manichini del Museo della Scala, le statue che abitano le
piazze, le case dalla facciata rivolta verso l’interno, la nebbia e la stessa
toponomastica come e forse più dei fantasmi illustri e degli amici che Savinio
evoca (Manzoni, Parini, Verdi, Dossi, Boito, pittori, scrittori e gente
comune).
Più che nello spazio, la narrazione di Savinio
si muove nel tempo; o meglio: in uno spazio che il tempo apre fino a portarlo
verso altri luoghi, moltiplicando affinità e compresenze; e più nel tempo del
linguaggio, attraverso analogie, associazioni, contiguità e assonanze, che in
quello più rilevante del ricordo, col tono amabile e in apparenza sconnesso di
un grande conversatore per il quale tutto può servire da spunto per tutto,
aneddoti, riflessioni morali, storiche ed estetiche, bons mots, idiosincrasie,
predilezioni: arte di vivere insomma. Quell’arte di vivere che produce ogni
civiltà matura e che Savinio vede realizzata in sommo grado nella sua Milano.
Il tono del libro diventa così il tono della
città, la cui immagine più precisa viene quindi ripetuta dal modo in cui il
libro è costruito. Così anche la moralità e la cultura storica e artistica
oltre che umana di cui il libro è ricco (ma allora anche una certa monotonia o
facilità affiorante a momenti, certa eccessiva sicurezza e la stessa miopia di
ogni civiltà matura e “chiusa”) non sarebbero solo espressione dell’esperienza
e delle opinioni di Savinio, ma più estesamente della civiltà che in Milano si
incarna, secondo lui la migliore.
Qualcuno resterà perplesso di fronte alla
definizione e alla valutazione di questa civiltà, specie a scendere nel
dettaglio, ma più che avanzare critiche è opportuno considerarle nell’ottica
saviniana, come parti del suo mondo che qui si rivela in modo diretto e
diffuso. È proprio in libri come questo infatti che è più facile entrare nel
laboratorio di uno scrittore, trovare esibiti metodo e strumenti, i temi
preferiti, le idee basilari e la foresta dei pareri e dei dettagli che ne
deriva. Anche per questo, oltre che per la sua intatta leggibilità e per la
varietà delle suggestioni che produce, Ascolto
il tuo cuore, città, senza essere tra le opere più alte del suo autore, non
va relegato nel purgatorio delle periferiche o minori, come talvolta è stato
frettolosamente fatto (forse perché non era più stato ristampato dopo il
1944?).
Del resto, al di là dell’altalena di osannatori
e denigratori per moda o partito preso, è difficile valutare Savinio. Più di
altri scrittore egli richiede infatti dedizione ma ancor più affinità; e anche
in questo caso è sempre insieme vicino e lontano, uno che ci sta al fianco e
che al fianco vorremmo conservare, e insieme uno che ci sfugge, non tanto
perché impossibile da definire (è anzi riconoscibilissimo), quanto piuttosto
perché è difficile farlo nostro e condividerlo fino in fondo. Resta sempre
qualcosa che è solo suo, la parte migliore, che è poi il marchio dei veri
scrittori. Ascolto il tuo cuore, città.
Alberto Savinio, Ascolto il tuo cuore, città, Adelphi, 1984, p. 396, £ 18.000
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