“Qui
s’impara ben poco, c’è mancanza di insegnanti, e noi ragazzi dell’Istituto Benjamenta
non riusciremo a nulla...”
Subito, dopo le prime parole, ho
pensato: Si parla di me. Prima come studente e poi come insegnante. E poi, in
generale.
L’Istituto Benjamenta è la vita: anche
qui c’è mancanza di insegnanti e si impara ben poco, nonostante la buona
volontà di tutti, anche se è meglio non dirlo. “L’insegnamento che ci viene
impartito consiste sostanzialmente nell’inculcarci pazienza e ubbidienza”, esattamente
come fa la vita: e chi non impara, peggio per lui. Quando si impara qualcosa, o
si crede di averlo imparato, è troppo tardi, il danno è fatto, l’errore che ti
ha fatto da maestro è agli atti, non si ripresenterà uguale, e quindi aver
imparato non servirà a nulla: quando si ripresenterà, la leggera differenza
sarà quello contro cui picchierai la testa. E farà sempre male. Cioè, qualcosa si
viene anche a sapere, a sprazzi, ma si tratta di informazioni, anche molte,
oggi. Ma imparare è un’altra cosa. Se sai veramente qualcosa, cominci a capire
anche il resto, e non è detto che sia un bene. Viene in mente un altro famoso
incipit, quello di Il richiamo di Cthulhu
di H.P. Lovecraft: A mio avviso, il
favore più grande che il cielo ci ha reso è l’incapacità della mente umana di
mettere in relazione tutto ciò che esso racchiude. Viviamo su un’isola di beata
ignoranza posta al centro di neri oceani di infinito, e non era scritto che
dovessimo attraversarli. Come dire che se il non sapere fa soffrire, sapere
è peggio. Sai che scoperta.
Poi il dolore fortifica, dicono. Bene. Erigi
il tuo sistema di difese. Vai sicuro per il mondo, che non sa che farsene del
tuo sapere o non sapere, come della tua sicurezza, sempre sul punto di
vacillare. Ciò che spesso fa, peraltro. Un vaso pieno di terra è sempre pronto
a caderti sulla testa. La terra che conteneva ti ricopre. È la sua forma di
misericordia. Non avrai nemmeno il tempo di ringraziare.
A rigor di logica le cose vanno così.
Ma la vita il rigore della logica lo spezza in continuazione. A parte il
finale, certo. E lo stesso fa Walser. Così, non solo per lui, ogni tanto, lungo
il tragitto, qualche folgorazione ti raggiunge, come Saulo verso Damasco. Che
non a caso è caduto da cavallo, d’accordo. Però intanto era per strada, cadendo
ha saggiato il terreno e gli occhi hanno visto il cielo.
Robert Walser, Jakob von Gunten (1909, trad. it. Emilio Castellani, Adelphi, 1970)
Uscito su doppiozero.com il 19-03-2018
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