Nel carteggio apocrifo che fa da
prologo a L’albergo bianco
(pubblicato nella bella traduzione di M. Amante dalle edizioni Frassinelli), Freud scrive al
grande discepolo e amico Ferenczi: “Una mia paziente, una giovane afflitta da
una grave isteria, ha appena “dato alla luce” degli scritti che paiono fornire
un supporto alla mia teoria (della pulsione di morte, ndr.): una fantasia
libidica spinta all’estremo, combinata con un’estrema morbosità. E’ come se
Venere si guardasse allo specchio e vedesse la faccia di Medusa”.

Ma come Medusa non è un semplice
riflesso o l’avversario complementare di Venere, così non è lineare la sua
espansione dalla dimensione infrapersonale a quella interpersonale prima e
collettiva poi. Il reticolo che conduce dalla storia privata di Lisa Erdman al
massacro di 34.000 ebrei a Babi Yar, come il rapporto tra Eros e Thanatos è,
cioè, pluridimensionale, fitto di intersecazioni, legami, accavallamenti,
contrasti, connivenze, interruzioni, ritorni e cambiamenti di livello, come la
struttura stessa di questo romanzo nella varietà e discontinuità delle sue
sezioni e dei suoi linguaggi. I quali non mancano, tuttavia, di moltiplicare
echi e riprese o variazioni, che se da un lato creano un insieme coerente e
compatto oltre le membra sparse, dall’altro consentono un ampliamento semantico
e concettuale su più piani e da più angolature. Quasi a ripetere, ai vari
livelli semantici, simbolici e stilistici, quella che in psicanalisi viene
chiamata surdeterminazione. Così che, assecondando i suggerimenti e le tracce
sparse nel testo, le sei sezioni che seguono il prologo si fanno leggere,
frazionare e ricomporre in vari modi, non solo tutti legittimi, ma tali da
arricchirsi l’un l’altro.
La prima di queste sezioni è
composta da un poemetto scritto nelle interlinee di uno spartito del Don Giovanni di Mozart, ulteriore
conferma della centralità del tema amore-morte. In esso la protagonista
racconta un allucinato incontro erotico con un figlio di Freud in un albergo
bianco attorno al quale si susseguono eventi straordinari e mostruosi, come
tempeste, incendi improvvisi e caduta di stelle.
Sotto forma di un diario in terza
persona questo episodio viene ripreso e sviluppato nella seconda sezione, alla
quale fa seguito, molto abilmente modellata su quelle vere, l’analisi del caso
da parte di Freud, che ci permette di ricostruire la vita della protagonista e
la sua storia interna , fino alla radice della malattia legata soprattutto alla
madre, perita nell’incendio di un albergo mentre consumava un suo amore più o
meno clandestino.
La quarta sezione racconta la
storia di Lisa dopo l’analisi, apportandovi anche correzioni e integrazioni, e
accompagna la sua attività di cantante lirica fino al matrimonio con un collega
che segna il suo ritorno in Russia, alle origini. Proprio qui Lisa resta
coinvolta nel massacro di Babi Yar, che viene narrato con molti particolari che
D. M. Thomas ha potuto desumere da un libro di ricostruzione e testimonianze di
A. Kuznetsov.
Non è questa tuttavia la fine del
libro, che termina infatti con una specie di sogno escatologico, il racconto di
una risurrezione, quasi che il treno diretto in Israele sul quale pensavano di
partire le ignare vittime, le avesse davvero condotte nel paese dove si possono
reincontrare tutti coloro con i quali si
è vissuto e chi si è amato, per vivere serenamente, chiarite le menzogne e gli
equivoci del passato e nominati i segreti.
Ogni sezione ha una sua
traiettoria narrativa e un suo linguaggio, che va dal poetico al saggistico al
documentario, ma la forza del libro consiste nel non aver ceduto alla facilità
della frammentazione del caos e nell’aver saputo ricondurli a una superiore
unità e coerenza sia di tono che di struttura, assumendo in tal modo una
tensione etica ben lontana dalla semplice constatazione del mondo crollato in
schegge incoerenti e dalla sua speculare esibizione nell’opera, come avviene
spesso con un gesto che si vorrebbe oggettivo ma che di fatto si rivela
consenziente e banale.

Tra le diverse possibilità di
lettura e collegamenti fra le sei parti del libro cui accennavo prima, una
delle più evidenti è quella che rapporta la prima all’ultima sezione, segnate
rispettivamente da una marca edenica prima e dopo il tempo, quello della caduta
e della storia, ma volte in direzione opposta. L’albergo bianco del poemetto si
può intendere come il luogo chiuso dell’abbondanza e dell’appagamento dei
desideri, ma anche della distruzione, che si rimpiange fuori da ogni possibile
ritorno, mentre nell’ultima parte esso si configura come un campo aperto che si
desidera e forse si può raggiungere, come utopia positiva che non cancella il
tempo e l’errore ma opera verso una conciliazione, senza la quale la storia
finisce a Babi Yar.
20-05-1983
D.M. Thomas, L’albergo bianco, Frassinelli, Milano, 1983, p. 306, £ 12.500
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