Leggendo Ivy Compton-Burnett non
c’è da meravigliarsi che l’antipsichiatria, soprattutto quella che si è
dedicata alla famiglia come matrice patogena, abbia avuto tra i suoi più grandi
rappresentanti proprio degli inglesi, come Ronald D. Laing e A. Esterson,
autori del classico "Normalità e follia nella famiglia" (Einaudi,
1970) con l’accento che mette sull’istituzione famigliare come incubatrice e
principale vettore di propagazione di gran parte delle psicopatologie, specie di
quelle che restano confinate, tramandandosi identiche per generazioni, al suo
interno. Le diverse eppur simili dinamiche descritte dalla scrittrice sono così
rappresentative della società inglese che c’è da stupirsi che ci sia qualcuno
di sano in giro per l’isola. A meno che quel tipo di follia non sia la forma
nazionale inglese della sanità mentale, che sorregge la convinzione dei
britannici di essere superiori a tutti gli altri popoli, affetti da demenze più
banali.
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