Quando
non si ha niente in mente, né niente da dire o da fare e tuttavia si sente la
mano formicolare e uno spazio libero ammiccare maliziosamente invitando a
qualcosa che non si sa, o solo per allontanare un’ansia ancora leggera che da
lontano comincia a farsi avvertire, un buon esercizio è prendere un quadro o
un’immagine, qualcosa di già pronto, pensato e fatto da un altro con una
qualche intenzione che però non interessa ora, un’opera a caso, pur sapendo che
niente è davvero a caso e già aver preso questo o essersi
soffermati su quello tra i pochi o i tanti che sono a disposizione, sotto tiro
al momento, o che sono stati predisposti, o messi da parte nei periodi in cui
si pensa al non si sa mai, o si immagazzinano per qualsiasi motivo che quasi
subito viene dimenticato… è buon esercizio, dicevo, cominciare a descriverlo,
tutto o in qualche dettaglio, e soffermarsi fino a imbastire un insieme
coerente, o anche solo soffermarsi più qua che là, senza pensarci troppo, e
andare avanti, variando tempi e attenzione come viene viene, e si vedrà che
quello che non si sapeva di sapere ora lo si sa, quello che non si sapeva di
cercare ora lo si trova, fosse pure la prova del proprio totale smarrimento, la
verifica (non si dice l’accettazione: magari anche quella, chi lo sa?) della
sospensione da cui ci si era mossi, e infine, dopo tanto percorso in cui
l’abbandono, la dedizione, aveva sempre più quietamente e fors’anche gradevolmente
trascinato gli occhi, la mano e magari anche (addirittura!) l’anima, trovarsi
nella posizione, contento di aver comunque realizzato qualcosa che poi malaccio non può essere avendolo scritto noi, di potersi fermare a guardare il tutto da fuori come in
qualche modo compiuto, e mettere un punto, come faccio qui ora, prima di passare ad
altro.
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