Era il 1966.
Vedo alla televisione quest'uomo che scende dall'aereo barcollante e poi con il
bicchiere in mano e l'aria persa, da ubriaco, farfugliare frasi incomprensibili
in risposta a un intervistatore ossequioso (credo) davanti alle telecamere,
all'aeroporto o chissà dove. Ho 15 anni. L'idea che un grande scrittore, come
continuavano a ribadire in tv, potesse essere così (e vivo oltretutto), non mi
aveva mai nemmeno sfiorato. Non avevo mai parlato di letteratura con nessuno.
Tutto quel poco che sapevo veniva dalla scuola e dai libri che stavo leggendo
compulsivamente da due-tre anni. Non ricordo se sono rimasto più colpito o
perplesso. È ben vero che da un po' sentivo i
Rolling stones e Bob Dylan. Però uno scrittore, dai... Allora sono andato a
cercare i libri tradotti. Ho trovato solo Sulla strada, e poi nel tempo
anche gli altri, letti tutti con entusiasmo. Da lì sono passato a Henri Miller, i cui Tropici erano
proibiti. Ma in casa di un amico ho visto che i genitori li avevano e me li
sono fatti prestare. Mentre leggevo in classe il Tropico del cancro il
prof mi ha beccato. Di solito tolleravano che leggessi, visto che i miei voti
erano buoni, ma quello lì (di matematica) ce l'aveva con me perché studiavo
poco ma prendevo 8 o 9 nelle verifiche di fine trimestre e pretendevo di aver
quel voto sulla pagella mentre lui insisteva per fare la media con i voti
deludenti delle prove intermedie (ma io so tutto da 8 alla fine?, chiedevo; e
allora perché non mi dà 8, cosa le importa se nel frattempo non studio o leggo
altro? Non capiva... Era una questione di cattivo esempio, o giustizia, o
altro, non so...: insomma non gli andavo giù; oggi lo capisco, e questo valga a
risarcimento postumo, erano in pochissimi a sopportarmi allora, a cominciare da
me stesso) e mi portò dal direttore, un prete abbastanza illuminato (ero dai
salesiani) che mi chiese, ma tu daresti un libro del genere da leggere a tuo
figlio di 16 anni? Certo!, dissi io, lo consiglio anche a lei. Poco mancò che
mi sospendesse. Me la cavai con una comunicazione a casa e sequestro del libro.
Allora sono andato dal preside del liceo, il mio prof di filosofia, per farmelo
riavere. Lui garantì per me, mi riportò il libro e mi chiese di prestarglielo
una volta terminato di leggerlo. Intanto uscivano altri Kerouac. In particolare
I sotterranei. La storia con Kerouac e Miller durò un paio d'anni. Nel
frattempo cominciavano a arrivare Gombrowicz, Borges, Joyce e Kafka e compagnia
bella, così alla rinfusa prima e sistematicamente poi, e quei due passarono in
seconda fila e poi in terza e infine in una fila lontana, di quelle che si
confondono con il buio. Li ho ripresi qualche anno dopo, nel periodo in cui la
mia intransigenza si era fatta più acuta (intransigenza verso cosa e chi,
stupido presuntuoso provinciale?) e non riuscii a finire nessuno dei libri
iniziati. Capitolo chiuso. Per sempre, credevo (credo). Il mio amico Plinio,
ora barone di medicina a Pavia, che è rimasto un kerouachiano a vita, ogni
tanto mi spronava a riprenderli in mano. Non so. Un giorno o l'altro magari.
Magari sono pronto a seppellire il cretinetto presuntuoso. O magari stavolta a
frenarmi sarà il tempo che stringe. Non so. Dovrei pensare a queste e altre
cose... Davvero non so.
Ps. Il libro in tasca
La giacca
stazzonata della foto con un libro in tasca, mi ricorda quella di velluto di
Ferlinghetti a Taormina (sempre in tv) di tanti anni fa, in occasione di un
premio dove tutti erano in abito da sera e lui in jeans consunti, molto prima
della ridicola moda dei jeans strappati, e stivaletti (e forse anche cappello?
non ricordo), barba e capelli grigi lunghi un po’ unti, che toglie un libro
dalla tasca e comincia a leggere e tutti si mostrano, sapendo di essere ripresi,
attenti e ossequiosi, e nessuno pensa di essere in una bolla di contraddizione
e semmai qualcuno pensa ai clown e sorride e dentro di sé (che sarebbe più
coerente) disprezza. Oppure pensano di essere, in fondo, suoi fratelli, o
almeno cugini (lui il cugino strano, che nelle famiglie non manca mai, il preferito dai bambini), in
quanto tutti artisti. Tutti, dal primo all'ultimo.
Mi ricorda anche le tante mie di tutti questi anni, si parva licet, e la scorta di tascabili in macchina e un po' ovunque per ogni evenienza. Non si sa mai. E le tante tasche deformate o scucite, e quelle macchiate da stilo, biro e roller di ogni colore. Evviva!
Mi ricorda anche le tante mie di tutti questi anni, si parva licet, e la scorta di tascabili in macchina e un po' ovunque per ogni evenienza. Non si sa mai. E le tante tasche deformate o scucite, e quelle macchiate da stilo, biro e roller di ogni colore. Evviva!
21 ottobre 2019
Articolo letto e apprezzato come un buon "latte" al Caffè Trieste di San Francisco. Non trovo la foto di Ferlinghetti e ci terrei...
RispondiEliminaGrazie,
Pier F.