La
punta stretta e scura della barca sembra immobile sull'acqua, mentre silenziosa
scivola verso il pontile che si prolunga come aia in terra battuta confinante
con l'erba folta. La prima cosa che vedo sul cascinale dai muri marcescenti,
quasi a pelo d'acqua ma perfettamente conservato in una nicchia rettangolare, è
un affresco che sembra un frammento di tavola primoquattrocentesca a fondo
dorato, con due santi riccamente vestiti di velluti e broccati. Uno di essi,
una giovane donna, tiene in mano un ramo di palma e sorride serenamente. Solo
più tardi, muovendo lo sguardo come una 'panoramica', dopo la base melmosa del
pontile e la porta a vetri di legno tarlato dell'osteria, vedo i due angeli
seduti all'unico tavolo di pietra dell'aia. Uno porta un fastoso copricapo da
pellerossa e l'altro ha la faccia impastata di lucido nero. Per il resto sono
tutti bianchi, dalle mani alle vesti ai piedi alle ali. Il primo, immobile e
silenzioso come tutto d'attorno, un gomito appoggiato al tavolo e l'altro
braccio abbandonato lungo la sedia, guarda verso l'acqua non so se stanco o
rilassato; l'altro sembra che vi abbia appena distolto gli occhi e sta per
portarsi un bicchiere di rosso alle labbra. Accanto ad essi, pure con un
bicchiere in mano ma con l'espressione tranquilla e indifferente del primo
angelo, con lo sguardo fisso sul piano del tavolo, un vecchio contadino, un po'
lacero e con la barba e i capelli leggermente più lunghi del normale e
arruffati. Nell'acqua profonda davanti a loro qualcuno si è appena tuffato e
sta annegando in silenzio, senza agitarsi.
C'è
un posto, in ogni osteria dell'isola che si affacci sul mare, chiamato 'del
morto'. È sempre libero e, eccetto i rari casi in cui arriva un ignaro
viandante (ma anche allora non si sa mai), nessuno lo occupa, nemmeno se tutti
gli altri lo sono. È riservato appunto a chi vuole morire. Quando uno sente di
star per morire infatti, o non vuole più vivere, va lì e si siede. L'oste
accorre solo se fa un cenno, gli altri avventori al tavolo non si spostano, ma
nessuno gli rivolge la parola se non richiesto, e la vita del bar, le
discussioni e le partite a carte, proseguono al solito ritmo, come se niente
fosse. Tutti sanno che il nuovo venuto non si alzerà vivo da quel posto, a meno
che non lo vinca l'impazienza e non si getti in acqua; ma nessuno, in nessun
caso, cerca di convincerlo a desistere o si offre di aiutarlo. Non è necessario
che lo siano ad ogni costo, ma in genere a occupare quella sedia sono i vecchi
dell'isola. Ad ogni generazione, qualcuno pensa che la consuetudine finirà,
eppure c'è sempre qualcuno che ricomincia e si presenta, tanto che raramente ci
sono state delle interruzioni vistose.
Io
sto raccogliendo materiali e facendo sopralluoghi per un'inchiesta televisiva
sulla pietà e penso scioccamente alla 'divina indifferenza animale', a un'età
precristiana e preromana che peraltro ignoro. I due angeli e il vecchio sembra
che nemmeno si accorgano della mia venuta, ma io siedo comunque al loro tavolo,
forse perché attorno è tutto deserto. Senza parlare chiedo al vecchio quale sia
il 'posto' in quell'osteria e lui piega il bicchiere quasi vuoto verso di me. Tranquillo
a mia volta, constato e guardo l'erba folta ai margini dell'aia. Sento da
lontano il canto di un tenore: adesso è malato e dimagrito, la pelle rossa e
screpolata sulle guance consunte, ma la sua voce è ancora molto bella.
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