Questa di ieri (30-05-21)
Morirò avendo imparato qualcosa
sul cervello degli imenotteri,
ho pensato leggendo,
e niente di significativo sul mio,
come su qualsiasi altra cosa.
(Con tutto che imparare, oggi come oggi, è la cosa al mondo che preferisco.)
E questa di poco fa (31-05-21):
e più tardi ho pensato, sempre leggendo,
ma leggendo altro (perché a me capita di
pensare,
se questo è pensare,
solo leggendo),
che non è vero che ci sono alcuni, o
molti,
che valgono di più della loro opera,
perché l'opera vale di più del suo autore,
sempre e comunque, e questa
è la peggior cosa che all'autore possa
capitare.
Perché se uno dice a qualcuno (mi dice)
che lui (io) vale di più della sua (della
mia opera,
significa che l'opera vale davvero poco,
e quindi che lui (io), che l'ha scritta,
vale meno ancora.
Un'offesa, per quanto spesso involontaria,
che andrebbe lavata col sangue.
Ancor di più se involontaria, anzi.
Perché la verità dell'offesa
vale di più della volontà di infliggerla.
E di più del povero cretino che l'ha
ricevuta
e dell'ancor più cretino che l'ha
inflitta.
Eppure la verità resta,
ed è questa la condanna di entrambi.
Come sapeva Kafka, che ce l'ha consegnata
senza volerla insegnare,
rendendola in tal modo definitiva per
tutti.
Lui compreso. Perché anche lui,
pur così immenso nella sua debolezza,
era meno della sua opera, che lui reputava
infinitamente meno di quello che aveva in
testa
e a cui ambiva, conseguendolo però
proprio col suo fallimento.
Senza sfuggire con questo alla condanna,
e anzi, come si sa, eseguendola lui
stesso.
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