Torno brevemente sul (ecco, vedi che ho ceduto?) sul disegno di Ottone Rosai, "Uomo che scrive" che illustava il post di ieri*. Una figura di schiena intenta a scrivere (forse: lo dice il titolo, lo suggerisce la postura, ma niente lo garantisce davvero se non appunto il titolo, che può comunque sviare, e spesso lo fa). Niente volto, niente individualità. L'uomo è ripiegato su se stesso, concentrato solo su ciò che sta facendo, separato da tutto, nessuna cosa che possa distrarlo, uno sgabello elementare, un tavolo con una semplice tovaglia, un muro spoglio, chiuso al mondo perché il mondo possa entrare in ciò che sta scrivendo. Perché l'invisibile che si agita attorno a lui e lo avvolge trovi una via per diventare visibile pur conservando la sua parte di invisibilità, una forma che non lo imprigioni ma anzi permetta di accedervi.
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