05/09/14

Vuoto (Non è quello che sembra. O lo è? Fanculo anche lo zen!)






Stamattina mi sono alzato di buzzo buono, con la ferma intenzione di scrivere qualcosa. Qualsiasi cosa, succeda quel che succeda. L'energia c'è, la disposizione è quella giusta. Mi sento addosso come un'intensità, l'embrione di un ritmo. Il richiamo ancora silenzioso della lingua. (Poco? Eh, basta e avanza!)
Mi accomodo al pc tutto contento. A volte una parola è sufficiente. (Ding! Endecasillabi. Continuare!) Invece niente. Svanito nel vento. Non resta che il niente. Ma proprio niente.
Insisto. Di tempo ne ho. Tanto non mi muovo da qui prima di aver scritto. Aspetto, con calma. Ancora niente. Niente di niente. (L'idea che non ho niente da dire non mi sfiora nemmeno: sarebbe già qualcosa.)
Più il tempo passa, e più il niente cresce. Un bubbone di niente. Una fistola. Un aerostato di gas nervino del niente.
Allora cambio tattica. Fingo di essere arrabbiato. Comincio a esserlo sul serio, ma per il momento fingo di fingere di esserlo (ho i miei sistemi...).
Come sarebbe, niente? Niente, cosa? Niente, come? Niente, chi? Chi l'ha invitato questo niente? Come si permette? Gli ho forse chiesto io di mostrarmi la sua faccia da schiaffi? E allora pussa via! Parassita! Impostore! Il niente non esiste! Lo dice la parola stessa, e le parole non mentono. E' risaputo. Si mente con le parole, questo sì; ma loro non mentono. Dicono quello che dicono. Brave brave. Quando ci sono.
Ma stamattina non ci sono, e la mia testa resta vuota. (Ci sarebbe la parola 'niente', e poi la parola 'vuoto', ma al momento non ci faccio caso). Ispeziono il cranio, l'interno del teschio, la carcassa della carne, con annessi e connessi: tutto vuoto! Tutto pulito, tirato a lucido, ben arieggiato, spazioso, senza uno spiffero, o un'ombra o un'eco, quieto e silenzioso. E vuoto. Allora mi metto, con la mia solita pazienza e un insolito metodo, alla ricerca di qualche angolino lontano, dove si annida sempre almeno un po' di polvere, qualche microscopica scoria, magari della muffa, che è già vita. Nisba! Niente e nessuno. Vuoto. Vuoto assoluto. Fanculo anche lo zen!


Certo, loro (gli zenanti; o zenoti, o zenaioli, o come cavolo si chiamano), hanno in mente (in mente!) qualche altro tipo di vuoto. Forse direbbero che il mio è ancora troppo pieno, con uno dei loro sofismi: pieno di niente. (Altri magari penserebbero alla solita storia dello scrittore in crisi, all'angoscia del foglio bianco e compagnia bella: si accomodino, ma non è il caso: non sono in crisi e l'angoscia semmai la riservo ad altro; e comunque non oggi: sono qui che sprizzo energia come un bambino all'uscita da scuola.) Direbbero che non è un vero vuoto; che al massimo è un vuoto di seconda o terza categoria. Come se ne esistessero chissà quanti! La tassonomia dei vuoti. La gerarchia. Il vuoto a e il vuoto b. Il vuoto dall'a alla zeta. Il regesto universale dei vuoti. L'expo mondiale!
Beh, se li si intende in senso sottrattivo, è possibile. Ritiratosi tutto, cancellato e dimenticato tutto, magari resterebbe un vuoto per ogni persona, per ogni forma di esperienza e per ogni lingua. Una specie di matrice di niente e senza niente. Una chora al negativo. Un vuoto per tutti. L'avvento della democrazia anche lì. Una conquista. Un progresso (ogni tanto rispunta anche lui). La democrazia del vuoto! La democrazia dei vuoti (perché la democrazia è plurale, mi dicono: almeno doppia, come il genitivo).
Se ce ne fossero tanti..., cosa di cui appunto dubito.



Sarebbe interessante un'indagine sulla rappresentazione del vuoto nelle varie culture. Immagino che per farla, oltre a un'équipe di linguisti, ce ne vorrebbe anche una di antropologi (e filosofi, e matematici, e cosmologi, e folli di ogni genere): gente tipo Benveniste, Sapir (onore e gloria a loro). Il lexicon del vuoto! La storia. Le storie. Ma io non è questo che intendo. E' il vuoto come tale. (Il vuoto come tale!) Il vuoto vuoto. Lui in persona.
Lo citerei a comparire in giudizio, se ci fosse una sola possibilità in Italia che qualcuno citato in giudizio si presentasse davvero. In positivo. (Citare il vuoto. Chiamarlo a comparire. Ecc. L'italiano!)
Ovvio che farebbe scena muta. Niente di originale, in questo. Ma sarebbe lì. In tutta la sua presenza-assenza. Imponente. Monumentale. Asfittica e asfissiante. Come reagirebbero gli astanti?
Secondo me, sarebbero presi dal panico. Ma assoluto. Pietrificazione, crollo e dissoluzione. Un'assoluta autonegazione per l'impossibilità di negarlo. Una catastrofe forse rigenerante, però. Una specie di apocatastasi.
Oggi mi vengono queste parole, chiedo scusa. Ma appunto: è l'attrazione del vuoto, il suo risucchio, la compulsione a riempirlo, a ficcarci dentro qualsiasi cosa, purché si attenui. Cioè sparisca.
E se avesse ragione lo zen? Vuoto assoluto, satori, illuminazione; fare il vuoto perché si riempia dell'assoluto, che a sua volta è niente. Ma luminoso!
Io mica ce lo vedo un vuoto luminoso, però. Quei furbastri lo vogliono strumentalizzare, ecco cosa fanno! Lo affermano. Il vuoto di qui, il vuoto di là... e poi, zac!, te lo farciscono di luce, o di chissà che altro. La pienezza del vuoto! Un po' di rispetto, signori!
Si può pensare il vuoto in positivo?
Forse. Io, in prima istanza, che raramente è quella giusta, me lo immagino così:





(Come questa pagina. Come la mia testa. Come me.)



(Alt! Qui c'è un errore. Non lo immagino affatto: lo sono!)


(Come è stato un errore parlare di catastrofe rigenerante più su. Nessuna rigenerazione: sarebbe una catastrofe e basta. Solo diversa da quella che produce il suo non presentarsi.)

(Preferibile? Non direi. Perché mai si dovrebbe preferire l'ineluttabile?)
(0+1, 1; 1+1, 2; 2+1, 3; 3+2, 5. E, a ritroso: 5, 3, 2, 1, 0)

(Eppure, reggere in piedi di fronte al vuoto, accanto, forse sarebbe già il passo decisivo.)
(0+1, 1)

03/09/14

Parola mia. (Citazioni, riusi, intertestualità, giochi, autori e diritti d'autore: tutti presi alla stessa rete)



Ma davvero! Il bello della rete è che le cose circolano anonime anche quando sono accompagnate da nomi e altre specifiche di realtà e proprietà. Che ogni frase, ritmo o idea può essere di ciascuno non essendo di nessuno. Basta prendere e copiare, con qualche leggera modifica semmai. Basta una traduzione, un adattamento e, appunto, per un attimo qualsiasi cosa può diventare di quell'uno specifico, prima di tornare a essere di tutti. O può essere di ciascuno, cioè individualmente di tutti quelli che ne fanno uso, proprio mentre e perché è di tutti. (Anche se spesso queste riprese non sono effettuate per qualche loro valore di verità, se non di facciata, per uno scintillio che può abbacinare, o ferire, per un istante, ma per farsene belli, incollandosene addosso il riverbero ma non la responsabilità, quando invece si può e si dovrebbe appunto lì mettere la firma, non per metterci sopra il cappello, e le mani, ma per indicarne l'assunzione in proprio, la volontà di risponderne.)
Come avviene per le parole. C'è qualcuno che può dire, per esempio, che la parola "terra", o la stessa parola "esempio", è mia e solo mia, e guai a chi la usa senza dichiararlo? Poi uno magari la usa in un modo tutto suo, per un attimo, e per quell'attimo è solo sua, quella lì, certo; ma quella lì non è mai solo quella lì, e quindi solo sua non è mai. A volte uno ci resta male, vorrebbe l'esclusiva, lo stigma dell'originalità assoluta, i diritti d'autore anche per l'aldilà, ma poi lo capisce anche lui che la pretesa è ridicola. Sono ambizioni dell'adolescenza, quelle aspirazioni assolute su fondamenti erronei, nebulosi, l'assoluto in via di principio, per pura ostinazione, per intransigenze non negoziabili, che poi lasciano solo strascichi di malinconie, sensi di sconfitta preventiva, totale e irrimediabile. Qualcuno fatica a uscirne, è noto; ma insomma... Pazienza. Peggio per lui.
 
(Se qualcuno pensa che parlo per esperienza è autorizzato a crederlo. Io da ragazzo, ma anche dopo, perché ho avuto una crescita lenta, se mai l'ho avuta, avvertivo risuonare e sovrapporsi in ogni parola che dicevo e soprattutto scrivevo tutte volte che l'avevo letta o sentita, inclusi contesti e sfumature e nome e cognome di coloro che l'avevano usata, e, stupido com'ero, ne ero frustrato a morte, invece di considerarlo un semplice dato di fatto, o addirittura una risorsa. Certo, le risorse puoi vanno usate, e bene, possibilmente...)
Ma era della rete che stavo parlando, maledizione ammìa... che cioè, dicevo, che anche se uno non vuole, finisce per far circolare non solo un sapere, in senso antropologico o quell'accidenti che è, o una somma caotica di informazioni, anche se non è sua intenzione farlo, e che a volte lo fa replicando alla lettera, con esattezza medianica, espressioni, frasi, interi paragrafi, capitoli o storie dall'a alla z, mentre in certi casi ha la bontà, o la correttezza, o l'ingenuità, di citare le fonti, o almeno quelle che a lui sembrano tali, quelle di sua conoscenza, le ultime o penultime, le uniche note, o più accreditate quanto meno. Altri invece non lo fanno pur conoscendole.
Facciamo l'ipotesi, ma sia chiaro: è solo un esempio non una denuncia, o una recriminazione in cattiva coscienza... facciamo l'ipotesi, dicevo, che alcuni prendano certi miei post o storielle, per esempio da Facebook o dal mio blog (dai libri è più difficile: bisogna procuraseli) e ne riportino pari pari frammenti che possono arrivare fino al 99%, perché un tocco personale ci vuole, dài, sulle loro bacheche o in qualche testo che finisce su chissà quale sito o rivista o altro, come se li avessero appena scodellati loro, freschi freschi, con addosso un po' di liquido amniotico ancora non deterso: che dovrei fare? Indignarmi? Protestare? Denunciare? No, meglio non fare niente. A parte il ridicolo, che è sempre un argomento di peso, anche se non decisivo (se no uno non rischia più niente), dovrei dimostrare che si tratta di roba mia. Che esista, qui e altrove (in materia linguistica: limitiamoci a quella per stavolta) qualcosa che possa chiamare mio senza tema di errore, o di usurpazione bell'e buona.


E poi, via, se in libri pubblicati da importanti case editrici per il vasto pubblico, importanti e famosi scrittori e scrittrici traslocano armi e bagagli pagine intere da libri e autori ancora più famosi e importanti di loro, confidando di non essere presi in castagna, come volgarmente si dice, salvo cascare dalle nuvole quella rara volta che uno o l'altra vengono esposti alla pubblica esecrazione, che di solito non viene mai, perché quella pagina lì ci stava proprio bene, e insomma mancava solo un nome o un titolo, o le virgolette, espunte da un correttore di bozze troppo zelante e ignorante, perché è ovvio che c'erano ma quello stupido mica l'ha capito e l'autore non è tenuto a controllare anche le ultimissime bozze, e anche perché il furbo da noi è sempre ammirato, persino quando scoperto, se ha un bel sorriso o una buona scusa o una battuta brillante, che fa ridere ma ridere!; e questo non è raro, chissà quanti altri prestiti a interessi zero, chiamiamoli così (siamo nella civiltà della finanza, no? ...ma civiltà è una parola grossa: diciamo allora società, o regno, o campo di battaglia, o catacomba, prigione... o palazzo, rete... sì, rete), da autori e titoli minori, di luoghi lontani e lingue peregrine, avranno goduto della gloria anonima di questi omaggi; e quindi, più ancora, frasi meno nobili, storie banali, parole comunissime accalappiate in qualcuno dei miliardi e miliardi di nodi dell'infinito flusso immateriale... e una cosa del genere capita anche a te, pertanto perché lamentarsi?
Anche questo è un modo per entrare nel canone, sia pure dalla porta di servizio, o di notte, scalando balconi e grondaie, approfittando delle finestre aperte, e per un brevissimo periodo, come quasi tutti. Meglio gioirne, esserne lusingati, sostare un attimo nella luce di questa gloria intima, e andare subito via. Via, da un'altra parte, a cercare altre parole o immagini o storie da inventare, e da tradurre e copiare, senza dirlo, anzi negando di averlo mai fatto, o concedendo semmai di aver giocato con i più colti (che a lusingare non si sbaglia mai, e nessuno ci tiene a passare per ignorante), se qualcuno scopre assonanze, citazioni, riprese o variazioni. Svaghi innocui. Copie di copie! Fantasime!
Alt, però: guardate bene, ce le ho messe apposta, io.
Cercate. Cercate, gente stolta e frettolosa. Un sospetto, un richiamo, un omaggio, una serie di cunicoli e fortificazioni e radici, una via di fuga, un inciampo, dietro ogni parola, in ogni virgola o punto!
(Ma lo fanno tutti, poi. Conta qualcosa che sia fatto apposta? O che uno si illuda di averci messo qualcosa che poi, gratta gratta, non si trova? Che non c'è? E che anche se c'è, non cambia niente, perché quel che conta è ciò che viene detto, e come, che solo allora a qualcuno, magari, gli viene voglia di fermarsi un po', e guardare. Ovvio!)