21/02/22

Ibridi e sfiziosi


               a Anna Stefi,  a cui per prima l'ho raccontato

 Sto mangiando qualcosa, da solo, in uno di quei negozi ibridi e sfiziosi, ma solo per i poveracci del mio ceto e portafoglio, che sono insieme panetteria, bar-pasticceria e rosticceria, popolato da tavolini e sedie design, più ammonticchiati che contigui, con appendici in gazebo e tende, fuori. Il gazebo d'inverno è chiuso e riscaldato, ma ci piove dentro lo stesso. E' il paradiso dell'impiegato, a sua immagine e somiglianza, appena un po' ritoccata.  La pausa, la scusa, la riserva, la risorsa dell'uomo di fretta. Del lavoratore. Il sale della terra!

Accanto a me, gomito a gomito, bocche a orecchie a essere precisi, una coppia sui 25-30'anni. Una coppia di amico-amica, non di fidanzati. Colleghi di lavoro in pausa pranzo? Non so. Qualcosa di potenzialmente più che amici? Forse, ma in una sola direzione. Sperata o appena imboccata, al momento. O così mi pare. Einbahnstrasse. (Ma di questo, dopo.)

Lui racconta, cioè: parla (racconta è una parola grossa, importante: la tengo per le occasioni della festa, come l'abito buono dei contadini di una volta...  quello dei tre di August Sander, per esempio, che chissà dove vanno in quella strada polverosa e deserta, anche se sembrano allegri, e spavaldi... morti, ora). Sicché... lui parla, con qualche finta reticenza, allusioni che vorrebbero dire molto, ma senza esagerare, perché non è un bullo, non le dice queste cose per vantarsi, anche se forse sì, ma senza darlo a vedere, perché un po' dovrebbe anche vergognarsi, e un po' si vergogna sì... (questo lo leggo io... ma se lo capisco io che non sono un'aquila, lei, che è più interessata, e parecchio!, o almeno così dà a vedere, capisce molto di più... chissà che...) comunque sia... ci sarebbe questa tizia, che si incontravano qua e là, ogni tanto... e lei qualche volta lo chiama per uscire, bere qualcosa, sai com'è... e lui resta sul vago, non si decide... è una di quelle che poi non te le scrolli più di dosso, gli sembra... e allora tergiversa, ma poi prende a tempestarlo di messaggi, finché lui non si arrende, che almeno la smette, e escono insieme... e va beh, sai... si baciano, e insomma.. (a buon intenditor... cioè lei, che infatti annuisce... perché io... io penso: insomma cosa? com'è che vanno le cose adesso? finiscono a letto come nei film? è normale? cioè, una specie di regola? un dovere? un imperativo categorico? che sennò uno, o una, ci resta male... che ha mancato l'occasione... sprecato la serata... ma male di fronte a sé o all'altro? che ho sentito anche che, beh, si fa anche per non deludere le aspettative... tanto a me che mi costa..? boh!)

Poi però, subito il giorno dopo, lui aspetta che lei chiami e lei invece non si fa più sentire. Di conseguenza telefona lui... così, per un contatto, un commento, una valutazione a freddo, implicita o esplicita... o per semplice carineria, come si dice ora... i complimenti e le nostalgie di prammatica del giorno dopo... la saudade... ma lei non risponde. Strano! la linea è libera, prende... possibile che sia uscita senza cellulare? riprova la sera... ma lei non risponde, lo stesso... ma ti pare...? e non risponde nemmeno ai messaggi di cui ora è lui a tempestarla. A nessuno! Non sa se si spiega... Per me è chiarissimo: se uno non risponde, vuol dire che non risponde. Cioè, se sento uno dire, di qualcun altro, che, chiamato, o in qualsiasi modo direttamente interpellato, non risponde, io, e non mi sembra che bisogni essere un genio, io, dicevo capisco questo: che quell'altro non risponde. Dov'è il problema? Lui però insiste, non vuole lasciarla cadere (parole sue). Non si fa così! Allora scrive ancora, figuriamoci se desiste, adesso... chiama ogni mezz'ora... scrive un sms via l'altro... anche cosucce pesanti, mi par di capire... offese, allusioni ma anche rivelazioni sulla sua vera essenza, la sua natura intima a lei stessa ignota... parole velenose, di un'ironia, ai suoi occhi, corrosiva... assassina (anche per uno che ascoltasse casualmente, senza volerlo...). Come se niente fosse, la troia! (sempre parole sue...) Quella non manda un segno... un trillo, un qualche cenno... come se non esistesse né fosse mai esistita... muta... sparita! Dissolta. Come un sogno... un incubo! Io avrei fatto lo stesso, almeno dopo un po'. Però prima avrei risposto, gli avrei detto di smetterla... di smetterla per favore. Sono educato io... sensibile... ma a quanto pare non sono tutti come me. Il mondo è duro.

La ragazza lo lascia parlare e interviene solo ogni tanto con qualche espressione di maniera, di partecipazione, perlopiù, ma un po' perplessa, a volte... una sfumatura individuale... un suo punto di vista personale, ma appena accennato, con delicatezza... che si vede che non è proprio d'accordo, ma non vuole ferirlo... che già le sembra (o a me sembra che a lei sembri) un po' teso... da non contrariare troppo... che questo è uno che è meglio lavorarselo pian piano, come se niente fosse, come se si facesse... ma sempre mostrando di assecondarlo... saggiare varie strategie come di sfuggita, prima di puntare su una e insistere con quella... e allora accenna al mistero della psiche femminile... cito alla lettera, perché io non mi permetterei mai... il terreno è minato e io di misteri non so nulla e me ne sto volentieri alla larga... lei accenna solo... forse è un argomento che può risultare utile... ma può essere che anche lei non ne sappia poi molto... pur essendo donna... abbastanza carina oltretutto, a essere benevoli, come io sono sempre peraltro... ho una riserva di benevolenza che basta per tre o quattro generazioni, io... lasciamo stare... la psiche femminile... effettivamente psiche è una parola femminile... ma la cosa, ammesso che ci sia una cosa come la psiche, quella, mi chiedo, è sessuata? ce n'è una per sesso? o una per sfumatura di sesso, dato che ora siamo un po' dubbiosi sul loro numero reale? ...certo che di solito quel comportamento è più tipico del maschio... (mentre io, tra me, penso che è un argomento un po' arretrato, tipico di mentalità antiche, e reazionario... eccome! ...con tutto che il maschio è stronzo per definizione, escluso il sottoscritto e pochissimi esemplari virtuosi... o stupidi o imbranati, come qualcuno preferisce pensare... non certamente io... io sto con la virtù) ...che sono loro a non farsi sentire una volta avuto quel che cercavano... insiste con l'argomentazione obsoleta... e quindi lo consiglia di lasciar perdere, che non è il caso di incaponirsi. In fondo è stato lui a farsi desiderare, prima... e mica poco, a quanto ha detto lui stesso... ma lui no, a questo punto non gli va proprio di cedere... la vuole intercettare... se la vuole lì davanti... davanti a lui, che incenerire la vuole... cioè, prima vuole che gli risponda, e poi si vedono e ci pensa lui... o vuole almeno che si fa sentire, che le canta l'antifona (stavolta l'espressione è mia... quello mi sa che non ha una gran cultura religiosa). Insiste, lui. Lei prova a ammorbidirlo. Lo guarda anche, ogni tanto, con un sguardo che se lui non fosse fissato su un altro punto... un punto che chissà dov'è... chissà se c'è... dentro non credo... da qualche parte, alla ricerca della fuggitiva... della scomparsa... accidenti alle parole! se solo la degnasse di uno sguardo, dicevo, per quella che è... per come e per cosa fa e è, qui e ora... qualcosa gli direbbe... almeno questo è quello che sembra di capire a me... e invece no... lui non guarda e non desiste. Le fa vedere lui! Non avrà pace fino a che... La distruggo, io! Roba così. Continua in crescendo, lui... Rossiniano? No, come una torta a strati, direi... e non solo in omaggio all'ambiente... anche se a strati di cosa, non saprei.

Io comincio a essere un po' stufo di queste menate. Avrei da leggere un paio di cose, e oltretutto non mi piace il modo in cui si esprimono, le parole che li accomunano... il tono... sì, anche lei... e mi viene l'impulso di mettermi gli auricolari e sentire un po' di musica a tutto volume, ma mi sembrerebbe di essere offensivo, ammesso che i due, o anche uno solo, lei: dato che lui naturalmente ascolta poco e guarda ancora meno, faccia caso al mio comportamento. Sì, lei ogni tanto sbircia dalla mia parte, non perché le interessi io (a chi vuoi che possa interessare io? Io non è oggetto di interesse...) ma come a vedere se mi sfugge qualche reazione, che so? un'avvisaglia di smorfia, uno sbuffo leggerissimo, quasi un'ultima, stremata esalazione... Mi lancia qualche velocissima occhiata, o una sua parente stretta... una sorella di secondo letto, una cugina di primo grado, o una gemella di grado zero... solo per non guardare sempre fisso lui, perché non vuole fargli capire che forse, in fondo, ma neanche tanto in fondo se solo prestasse un po' di attenzione... se non fosse quel coglione che ormai sono certo che è... che a lei lui piace... che quell'altra cosa vuoi che conti? lui stesso l'ha fatta aspettare  giorni e giorni per il puro gusto di farla penare, e quindi... ma non che le piace poi troppo, cioè così tanto da finire poi in sua balia... che insomma non sarà innamorata persa ma un esperimento lo tenterebbe volentieri... che forse un po' riuscirebbe persino a cambiarlo... sono idee che circolano tra gli innamorati, queste... lo cambierebbe, ma non troppo.. perché altrimenti rischierebbe di non piacergli più, o di meno... e comunque potrebbe anche darsi che dopo un po', o magari anche subito, lei pure finirebbe per non rispondere alle sue chiamate... ai suoi sms... anche per evitare di sentirsi investita da quella sua ferocia... dalla presunta ironia, che forse, ma non sta a me giudicare... o sì? perché no? sì... (ogni volta che scrivo sì mi sembra di star citando... sarò scemo!) che forse... è dell'ironia che sto parlando, la sua, la sua ironia... la sua presunta ironia, che forse non è altro, invece, che cattiveria, nuda e cruda, malignità alla stato puro, stronzaggine, di uno che a rifiutare deve essere lui, se proprio, e nessun altro... anche se sì, sì potrei pensare, in appoggio alla ragazza... non che lei sia più sopportabile... è al limite... ma è una ragazza, e magari si aspetta che io, che ho dovuto ascoltare per tutta la durata del mio breve spuntino, potrei intervenire, certo a suo favore... lo vede anche lei che sto dalla parte delle donne... anche se loro non mi ci vogliono, dalla loro parte... avranno le loro ragioni, come no? ... beh, le piccole ferite del narcisismo, potrei dire... di solito, pare, potrei continuare, ma io non lo credo... no che non lo credo... pare, ma è dubbio, molto dubbio... e direi anzi sbagliatissimo... un pregiudizio dei peggiori... ma qui si può usare strategicamente, non come assunto di verità... e allora pare, potrei azzardare, che l'attaccamento che prolunga... in cui si rapprende... si raggruma... ma raggruma è brutto... in cui si rafforza e si consolida piuttosto, meglio... la gratitudine postcoitale... o in vista di un parto, certo ancora lontano, ma comunque sempre possibile, lì, dietro l'angolo... del piccolo da accudire... residui ancestrali, ovvio, se poi sono davvero tali... beh questo attaccamento... la dipendenza, emotiva e fisica... fisica? ma dai!... però anche fisica, forse... per un po'... l'affetto...  di solito, pare, e sottolineo per l'ennesima volta pare, sia più tipico delle femmine, mentre il maschio... beh, si sa, il maschio... si vede che stavolta lei non aveva molto di che essere grata... questo avrei potuto dire... ma accidenti, mica sono fatti miei... e allora, invece di rispondere, ma senza mettermi gli auricolari, ho cercato di concentrarmi sul foglio di giornale che avevo davanti, sulle due recensioni che dovevo leggere... due stroncature, tra parentesi.

 

10/02/22

Svogliato

 


Celati nella Prefazione ai racconti di Delfini scrive:
“Nei Diari c’è scritto: “L’occidente ha perso il senso dell’ozio. Fra le tante cose ch’è difficile fare, l’ozio, in occidente, è diventata la più difficile” (p. 143). Gli svogliati sono animali assurdi nell’era della volontà utilitaristica intesa come bene assoluto, o base del profitto. Perché negli svogliati c’è una stanchezza di questa volontà di fare ad ogni costo – la volontà di fare qualcosa, che diventa l’obbligo di fare qualcosa, travestito con tutte le maschere della necessità.”
 
Fare per fare, come se non si facesse niente, come se quello che si fa potesse benissimo essere altro, eppure che va bene così. Senza che diventi compimento, opera, traguardo. Senza competere, o performare, ma anche senza che questo distogliersi sia un rifiuto o una fuga, e nemmeno una semplice opposizione, un diverso conflitto. Che sia come è perché è come è, e basta.
 
Ps. di due giorni dopo
Per tornare a questo post e ai suoi graditissimi apprezzamenti e commenti, a me pare che, almeno per quanto concerne la mia parte (che sarebbe tutta quella dopo la citazione), c'è stato un piccolo equivoco di poca importanza. Cioè che io mica difendevo l'ozio. Sono bergamasco figlio di gente che ha lavorato tutta la vita 12 e più ore al giorno (motto di famiglia: sóta a laurà) e anch'io nel mio piccolo mica scherzo. E non mi lamento. Anzi mi piace. Ho questa deformazione. Era il fare senza finalità. Il fare non utilitaristico. Il fare che è tutto sempre un fare qualcosa anche quando non si fa niente, ma sempre, soprattutto, che non sia per forza, e anzi il meno possibile, un fare in vista di...
Tutto qui.
Che però anche l'ozio ci sta dentro. E bene. Con tutte le sue belle sfumature. Compreso il fare del sognare e del fantasticare e del masticare un filo di paglia e guardare le onde e le nuvole. Ecco, grazie.
E felice di tutti i commenti, lo ribadisco. Anche di quelli che verranno, o non verranno, ora.
E buona serata. Tra un po' chiudo, perché dopo cena, a furia di non fare niente, crollo.
 
 

Ps. 1 aprile 2022

E oggi, per completare il terzetto, ho (ri)trovato questa citazione di Kafka (un appunto del 1920) che avevo completamente dimenticato. La aggiungo senza commento. Non ha bisogno.

 

“Inchiodare una tavola con mestiere paziente e minuzioso e nello stesso tempo non far nulla, e non già che si possa dire: “Per lui inchiodare è nulla”, ma “Per lui inchiodare è un vero inchiodare e nello stesso tempo un nulla”, per cui anzi l’inchiodare sarebbe diventato ancora più audace, ancora più deciso, ancora più reale, e, se vuoi, ancora più folle.”

07/02/22

Accostamento al terzo silenzio (Ultimo racconto di Cosa dicono i morti.)



I sogni sono le sue creazioni più alte: tanto perfette che può immediatamente dimenticarli. Dover ricordare anche i sogni sarebbe veramente troppo: ancora una prigione e una farsa. Quelli che non gli riescono a regola d’arte però, che cioè non si esauriscono nel loro farsi che subito svanisce, accedono all’indesiderata immortalità dell’incubo che ritorna anche da sveglio, col ritmo che è inutile indagare del caos. Subirlo basta e avanza: spinta più in là la conoscenza non arriverebbe mai a cancellarlo né, d’altra parte, aprirebbe a lui nuovi orizzonti su di sé, ma solo nuovi fastidi. Lasciare che si dimentichi è molto meglio. Volersi conoscere a fondo, più ancora che volgare, è una truffa ignobile.

Ancora più ignobile, tuttavia, è volersi far conoscere. Così ha deciso, per quanto gli sarà possibile, di non dire mai niente su di sé: è tanto spesso e da ogni direzione invaso, che non intende contribuire alla propria totale violazione. Esporsi è il male peggiore, la peggiore indecenza, e lui non vuole essere il peggior stupratore di se stesso. Ciò che gli capita di più suo, anche quando a provocarlo sono gli altri, se prima pensava che fosse ciò che solo meritava di essere detto, ora intende custodirlo nel segreto, la sua unica dimensione. Ciò che è più suo merita solo di vivere, ma per vivere deve essere cancellato, sottratto al dicibile anche per lui stesso. Per proteggerlo nel segreto gli sarà riservato il silenzio, e viceversa egli saprà che è più suo, e che quindi merita il segreto, solo ciò che saprà accedere al silenzio. Non dirà più, d’ora in poi, che ciò che è suo e di altri, di tutti, e quindi di nessuno, e comunque parlerà solo per conservare in ogni parola il suo lato silenzioso: potrà così contribuire a proteggere anche il segreto altrui, a porre le condizioni, o meglio ad aprire uno spazio per il silenzio di chiunque altro, che poi ingrandirà forte e autonomo incontrandosi col suo, comunicando con esso per le loro specifiche vie, le più alte e pure, lui e l’altro assenti.

14/01/22

Piccole correzioni


Pensavo poco fa, mentre inserivo in un articolo le piccole correzioni che un autore mi aveva pregato di apportare, a questa cura che alcuni hanno anche dei loro testi più occasionali, piccoli dettagli che non cambiano niente, un trattino, un corsivo, un sinonimo, un aggettivo più appropriato o da togliere, e a cui nessuno farebbe caso, perché insomma un’analisi stilistica di un commento o di una recensione difficilmente sarà fatta nelle università del futuro, mentre altri mandano pezzi non corretti, con errori grammaticali o sintattici, senza contare i refusi perché o non hanno riletto o l’hanno fatto in tutta fretta (le allitterazioni sono volute), e mi sono commosso, un po’, e mi sono detto: be’, oggi una consolazione l’ho avuta.

11/01/22

Commemorazione di Aldo Zargani


In questi giorni di infinito sconforto, in cui il mondo appare coperto da un coltre grigia di polvere e cenere e ogni cosa perde valore, ogni gesto si fa pesante, ogni parola inutile, e si affievolisce la forza anche solo di abbozzare qualsiasi azione, che appare inutile e insensata, vorrei ricordare, di Aldo, la vitalità, la passione e la gioia presenti in ogni suoi gesto, anche nei momenti più duri, nei ricordi più tristi, anche quando l’esperienza e il mondo lo hanno condotto a quel suo peculiare scetticismo, saggio e ironico, e spesso persino comico, qualità che sono state evidenziate in modo acuto e commovente da coloro che mi hanno preceduto.

Quanto a me, vorrei solo accennare, qui, alla cosa che più mi ha colpito, di Aldo, fin da subito: la sua vitalità e la peculiarità della sua meraviglia, che sono forse la stessa cosa. Vorrei ricordare l’importanza che assegnava spontaneamente agli altri. Sono qualità che apparivano subito evidenti a chiunque lo conosceva o lo abbia incontrato anche solo in un’occasione, e che innervavano tutti i suoi scritti, anche i più tardi, quelli scritti negli ultimi anni per varie testate e soprattutto per noi di doppiozero, che qui in parte pubblichiamo come piccolo omaggio per i nostri lettori e tutti gli amici sconosciuti.

È impossibile prescindere dal fatto che Aldo era ebreo; eppure vorrei provarci e considerare Aldo “solo” come uomo, che è qualcosa di più di un ebreo, e insieme, lo sappiamo tutti, qualcosa di meno. Qualcosa che a me, solo uomo, non ebreo, per esempio, manca e che perciò cerco sempre in quanto l’ebraismo (il libro e la sua molteplice tradizione, la storia, le tragedie, la cultura, la letteratura...) mi offre per essere meno incompleto.

E se provo a pensare a questa cosa impossibile, a Aldo “solo” come uomo, penso a un giovane che a 87 anni era ancora lì, e anzi più lì che mai, a interrogarsi sul mondo, la realtà, i loro fondamenti e misteri, con le conoscenze che aveva acquisito nel tempo e non si stancava di accrescere, di rivedere e risistemare, con la saggezza scettica e bonaria che lo contraddistingueva da adulto e insieme con l’intatto stupore, con l’infinita apertura alla meraviglia del bambino che non aveva mai cessato di essere. L’ultimo testo che ho ricevuto da lui, ancora inedito, lo conferma fin dal titolo La conoscenza imperfetta, ovvero il dente del pre-giudizio, e ancora più esplicitamente dall’inizio: con la mamma che, entusiasta, con un’arancia e una candela spiega il sistema solare al piccolo Aldo seienne. Nel 1939. Alla vigilia della guerra, e a leggi razziali già imperversanti. E subito dopo, a guerra iniziata con le raccomandazioni di come comportarsi sotto i bombardamenti, da parte del papà. Due momenti della sua prima infanzia serena che fortunatamente ha poi lasciato una traccia permanente nella sua personalità e la tonalità di fondo di gran parte di ciò che ha scritto, a partire da quel capolavoro che è il romanzo Per violino solo o da quell’altro capolavoro che è il racconto “Profumo di lago”, pubblicato prima come ebook da doppiozero e poi inserito in In bilico.

E direi che una delle caratteristiche di Aldo era proprio la compresenza, l’inscindibilità di questi due aspetti, meraviglia e distacco, entusiasmo e saggezza scettica. Lo è di molti artisti, si dirà. Vero, ma ciascuno ha il suo modo e quello di Aldo era riconoscibilissimo.

Non si tratta nel suo caso di una meraviglia incantata, pacifica, espressione di una pura innocenza che forse non è mai data a nessuno, ma di uno stato dell’essere sempre in tensione con l’altro da sé, a volte con il suo opposto (incanto e delusione, bellezza e stortura, dolorosa sorpresa, come quella del bambino che, per le famigerate leggi razziali del 1938, si trova da un giorno all’altro discriminato mentre nulla all’apparenza è mutato tutt’attorno) senza però lasciarsene mai sovrastare, e men che meno cancellare: oscurato sì, a momenti, ma mai in via definitiva, come la luce durante le eclissi.

Penso per esempio al bellissimo racconto “Dies irae”, quando alla visione dei documentari della Combat film sui lager e sulle impiccagioni dei criminali nazisti, il ragazzino viene preso da immensa “ira e stupore”: “E ciò avvenne per l’unica volta nella mia vita, perché l’ira e lo stupore mi hanno saziato per sempre nella lontana estate di quando avevo 12 anni”, aggiungeva Aldo; ma il lettore non ci crede, perché, se non l’ira, almeno la capacità di stupore che si riscontra in molte sue pagine non era ascrivibile solo al bambino di allora, ma veniva dritta dritta dall’adulto che scriveva: non era il ricordo del passato, erano il presente del ricordare, e la sua qualità, la sua grana, che cambia di chimica e intensità da individuo a individuo. Ricordare non basta.

E tutto questo, mi sembra, era la conseguenza del fatto che per Aldo, che aveva fatto del testimoniare, o, come diceva lui, dell’“attestare” uno dei pilastri della sua vita, tener viva la memoria era sempre, o quasi, anche parlare dell’infanzia: non tanto non recidere il legame, quanto tener viva l’emozione di quel momento della vita, l’indissolubile intreccio della gioia della scoperta del mondo e dell’affetto ricevuto, con l’altra scoperta, che pure induce stupore, quella della morte e più ancora quella del male, inspiegabile e indicibile, ma sui cui bisogna sempre tornare per provare a spiegarlo e a dirlo, senza chiudersi al presente e al futuro (la profezia del futuro), pur andando incontro a sconfitte e delusioni, ma mai tali da comportare rinuncia e chiusura a sé e agli altri. Basta un colpo d’ala dell’immaginazione, la deviazione dalla norma che la mette in gioco e fa sorridere, l’infinita vitalità che è accettazione della vita e voglia di cambiarla, che Aldo possedeva in quantità inesauribile.

Le sue parole, come tutto quanto ha scritto, erano permeate da una grande saggezza, come da un radicale scetticismo e anche dall’ironia che dalla saggezza derivano, che però non impedivano la gioia, e il suo riso divertito, né, con paradosso solo apparente, una lucida speranza che non nasceva solo dalla volontà ma anche da una vocazione inscalfibile alla felicità. Era come se la maturità non fosse stata conquistata da Aldo liberandosi dall’infanzia ma restandovi radicato e conservandola in sé come la propria onnipresente, inesauribile e sempre attuale, risorsa: come qualcosa che non è mai acquisito una volta per tutte, quindi, ma è sempre da conquistare e rinnovare.

Ho conosciuto Aldo prima nelle sue opere e poi come persona. E se spesso l’incontro con la persona di un autore che ami è deludente, non così è stato con lui. Qui l’ho ricordato anche a partire dalle opere, perché se un uomo resta a lungo nella memoria di chi ha l’ha conosciuto e gli ha vissuto accanto, come la moglie Elena, che non riesco a pensare separata da lui – come un’unica entità platonica una volta tanto felicemente ricostituita –, per uno scrittore sono le sue opere a incidere e rinnovare la memoria ogni volta che qualcuno legge o rilegge ciò che ha scritto. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo come l’uno e l’altro, ha avuto quella supplementare di constatare quanto coincidessero e si rafforzassero a vicenda. La presenza dell’una rende meno intollerabile l’assenza dell’altra. Ma questa, inutile negarlo, resta, e noi la conserviamo come un tesoro. Addio Aldo.