Il registro dei visitatori della casa di Freud è
diviso in tre colonne riservate a nome e cognome, provenienza e professione. In
quest’ultima Lucio scrive ‘sfaccendato’. Leggo e rido. ‘Con Freud non si può mentire’,
mi spiega. Allora guardo sopra, e poi nelle pagine precedenti. La percentuale
degli italiani è altissima, quella degli austriaci nulla. Le professioni sono
molto circoscritte: medici, psicologi, insegnanti e gentaglia simile.
Solo un
italiano, un paio di pagine indietro, ha scritto ‘astronauta’. Io non scrivo
niente, come chi si vergogna di quello che fa, o non lo sa, o pensa che è meno
importante di quello che è (o tutte e tre le ipotesi contemporaneamente; ma di
fatto in ordine decrescente di probabilità: 90, 9, 1%. E così sia.). Come se
quello che faccio (la mia professione: è tanto semplice) non fosse solo ciò che
mi permette di vivere, ma definisse in tutto e per tutto quello che sono e io,
lasciando lo spazio bianco, mi ribellassi a questa identificazione pur
riconoscendola per vera. E in effetti, cosa sono al di fuori di quello che
faccio? La mia professione, come ogni altra forse, finisce per assorbire, o
tramutare in suoi derivati, anche tutto il resto: scrittore non sono, perché
non sono pagato per farlo, e viceversa non sono pagato per farlo perché non lo
sono. Anche se scrivessi con maggiore continuità, continuerei a non esserlo,
pur sapendo che, se lo facessi, forse mi considererei scrittore un po’ di più;
ma non lo sarei comunque.
D’altra parte non mi basterebbe nemmeno che gli altri
mi considerassero tale: adeguarmi al loro giudizio, notoriamente errato (quando
mai qualcuno ha saputo chi è un altro, al di fuori di quello che fa in genere,
o che fa per lui in particolare?), mi sembrerebbe tanto umiliante da invalidare
anche la sua improbabile esattezza. So benissimo, inoltre, che è la domanda
‘chi sono?’ ad essere sbagliata; tuttavia il fatto che saperlo sia consolante
nullifica (annienta e cancella) anche questa consapevolezza. La rende ridicola,
e con essa tutto il resto: nient’altro che fisime. Perché cazzo non ho scritto
‘insegnante’ e non me ne sono andato spensierato, soddisfatto delle battute e
osservazioni fatte fino a quel momento, e amen? E il tram, perché tarda ad arrivare? È
l’effetto Berggasse, 19.
(Un brindisi Freud, e a tutti i benefattori!)
3-8-99
ps. dell'8 luglio 2022
Mi sono accorto (33 anni dopo) che c'era un errore: mancava una G in Berggasse.
Una svista grossolana o un lapsus vero e proprio?
G per che cosa?
Una svista grossolana o un lapsus vero e proprio?
G per che cosa?
Mi è subito venuto in mente G per Grazioli.
Il che confermerebbe quanto scritto nel testo.
Il che confermerebbe quanto scritto nel testo.
(Non è mai troppo tardi.
Ovvero: tutto è sempre al posto e al momento giusto, basta saperlo cercare.)
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