Si narra
che Siddhartha avesse un cugino di linea materna che da piccolo gli
assomigliava come una goccia d’acqua. L’unica differenza era il carattere,
perché questo cugino era sempre ansioso e agitato senza che si riuscisse a
capire perché. Poi è andato a abitare in un’altra regione e nessuno ne ha più
saputo niente. Finché un giorno ricomparve davanti all’albero sotto le cui smilze
fronde Siddharta si era da poco ritirato a meditare, un fico sacro, che sarebbe
diventato noto come albero della Bodhi e ora è immenso, mentre a quel tempo a
malapena riusciva a fare ombra a un paio
di persone; e appunto per questo Siddharta l’aveva scelto: perché crescesse con
lui e le sue idee, se così si possono chiamare, e fosse la crescita a portare
ombra, e non avesse una tale consolazione già in sé, ma solo la sua promessa...
Come che sia, nessuno osava disturbare quel ragazzotto eccentrico che sembrava
imbalsamato e respirava appena, ma quando il cugino, dopo aver tossicchiato un
paio di volte, lo chiamò con il nomignolo affettuoso, ma anche un po’ maligno,
con cui si interpellavano reciprocamente da piccoli, quello aprì gli occhi e,
senza cambiare postura né fare altri movimenti, lo salutò dolcemente e gli
chiese qual buon vento lo aveva portato lì e se era sempre inquieto come da
bambino. Cercava forse anche lui la pace e l’illuminazione?
Il cugino gli svelò che se era sempre stato così ansioso
era perché fin da quei tempi non passava giorno che non si sentisse in dovere
di prendersi cura di qualcosa o qualcuno. Non che lo volesse, o addirittura lo
cercasse: non poteva farne a meno. Non resisteva. Non era una cura per tutto e
per tutti, astratta e indiscriminata, teorica: bastava che qualcuno o qualcosa
entrasse nel suo spazio vitale, e già scattava la molla della responsabilità.
Che poi spesso (non sempre) non riuscisse a darle uno sbocco concreto, non faceva
che aumentare il suo cruccio.
“Smettila di preoccuparti per tutto,”
gli disse allora il saggio, ma non ancora illuminato, Siddhartha. “Le cose brutte
ci sono. Non è colpa tua se uno perde il lavoro, ha litigato con il fidanzato o
la moglie, se non riesce a risolvere un problema, o ha il mal di testa... Non
sei tu il responsabile se a me (per dire) le cose non vanno sempre bene o se
qualche tuo conoscente, per qualsiasi motivo, soffre. Sii gentile, aiuta, ma
per il resto smettila! e vai in pace.”
“Sì, sì, hai ragione,” gli rispose
il cugino mentre una piega, senza che lui se ne accorgesse, incideva per un
attimo la sua guancia destra. “Lo so anch’io che non sono responsabile. Lo
so...”
Però, dentro di sé, ogni volta che come un mantra se lo ripeteva, sommessa, una voce aggiungeva immediatamente: “Sì, lo sono... Lo sono.”
Però, dentro di sé, ogni volta che come un mantra se lo ripeteva, sommessa, una voce aggiungeva immediatamente: “Sì, lo sono... Lo sono.”
E nessuno lo vide più.
Qualcuno dice che il sant’uomo
apprese qualcosa da questo episodio. Che lo dimenticò per decenni e poi se ne
ricordò, come un’eco, una volta che parlava in pubblico raccontando una parabola.
Altri sostengono che se ne dimenticò e basta. Che non imparò niente per la
semplice ragione che non c’era niente da imparare.
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