C’era
questo grande guerriero, Achille, che se ne stava in disparte nelle sue tende, molto
adirato perché dei suoi cosiddetti amici gli avevano sottratto la sua schiava
preferita e l’avevano assegnata a quel vecchio vanesio del capo, che ne aveva
già a bizzeffe e non era neanche in grado di farle contente, o almeno così si
sussurrava. Ma erano malignità, perché se uno si incapriccia così della
preferita del suo guerriero più forte, uno da cui possono dipendere le sorti della
guerra in corso, qualche capacità residua bisogna attribuirgliela per forza, al
di là di una sana libidine senile. Senza contare che lui, Agamennone, per
quella guerra, aveva fatto una rinuncia di quelle grosse grosse, il sacrificio
cruento della figlia più cara, cosa che di sicuro avrebbe pagato un giorno o
l’altro. Non che Achille fosse poi così innamorato, a quel tempo gli eroi erano
intelligenti, mica si innamoravano, e poi di amiche e amici ne aveva anche lui quanti
ne voleva; quello che gli bruciava era lo sgarbo. Lui era indiscutibilmente il
più forte, se le cose erano andate bene fino a quel punto gran parte del merito
era suo, e quel trombone di capo degli eserciti, con la sua barbetta ben curata
e il pizzetto brizzolati, aveva anche lui il suo giro per tutte le orge che gli
andava di organizzare: se si era impuntato per quella Briseide, con la scusa
che aveva dovuto cedere la sua amante pure in –eide (Criseide) per calmare un
Apollo arrabbiatissimo (a quei tempi l’ira scorreva a fiumi, non avevano ancora
imparato a controllarla in vista del peggio), che aveva scatenato la solita
pestilenza per l’assassinio dei suoi sacerdoti ex-mariti sia della sottratta che
della contesa, era solo per far vedere chi comandava lì, mica per altro, e lui,
lui Achille dico, questo proprio non glielo perdonava, gliel'avrebbe
fatta pagare lì sul posto se non gliel'avesse impedito una dea… a lui e a tutto il corteo di
falsi amici che gli dicevano di essere ragionevole, che insomma di bottino di
guerra ne aveva accumulato a iosa, in schiavi ori e armi, e che se voleva gli
cedevano qualcosa del proprio, ma che per favore la smettesse di fare il
bambino viziato. Per una donna poi! Traditori bastardi tutti!
Non gli
interessava niente a quelli, né di lui né del capo, volevano solo che la guerra
finisse in fretta che almeno così tornavano a casa. Intanto invece le cose
andavano che un giorno le prendeva uno, un giorno l’altro, e i morti non si
contavano. Roba non molto importante, è vero: solo soldati semplici, fantaccini,
servitori, carne beccata dai corvi, sangue che irrorava quella pianura secca,
già rossa di polvere di suo e ora della poltiglia delle viscere e del sangue, che
comunque non ci cresceva niente di niente lo stesso. Solo che ogni tanto ci
lasciava le penne anche qualche guerriero con le sue armi e il suo cavallo, e
la sua armatura!, fratello di un comandante, figlio di un re, e le famiglie a
casa si lamentavano, che ci tenevano alla discendenza, loro, non si erano fatto
il mazzo per prendere il potere per poi lasciarlo a qualche cugino sfaccendato
o fratello degenere che nel frattempo, nel frattempo della guerra che andava
avanti e non finiva mai, tenevano caldo il letto della regina e davano fondo
alla dispensa e ai forzieri. E poi l’onore, l’onore! Una parola che, sembra,
contava eccome, allora. Mentre oggi non serve nemmeno più per sciacquarsi la
bocca. Magari è meglio così. Anche la vergogna, se è per questo… mentre allora
persino i re, e anzi i re più di tutti in certi casi, erano i primi a provarla.
Non si vergognavano di vergognarsi. Per dire che un po’ di grandezza ce
l’avevano… Achille invece no, stavolta. E avrebbe dovuto, come quella volta che
l’avevano vestito da femmina per evitargli la guerra e il destino che lo
aspettava, non dico altro perché se no rovino il finale… e al tintinnio delle
armi, si è tolto tutta quella mascherata e così al suo destino è andato
incontro di corsa, con gran dispiacere della mamma, che sarà anche stata una
divinità (minore però), ma era pur sempre una mamma. Anche i greci! Va be’…
Erano
epoche, quelle, in cui il tempo era piuttosto ondivago, ancora incerto su se
stesso, cosa era o non era, che direzione darsi, che senso aveva o doveva
prendere, così andava da una parte e poi dall’altra, si fermava, tornava
indietro, rallentava, accelerava, si stiracchiava, si avvitava su se stesso e a
volte persino si dimenticava di se stesso e prendeva delle lunghe pause, si
assentava, e sebbene la cronologia avesse raggiunto una sua pace aritmetica
sommando un anno all’altro, stagione dopo stagione, come da programma, senza
indagare oltre, questo non sembrava avere un influsso determinante sulla vita
degli uomini, e i loro anni si
allungavano e contraevano senza avere una lunghezza e un ritmo regolari, tutto
era imprevedibile, a volte certi anni, singolarmente o a mucchietti, venivano
magari ufficialmente contabilizzati, ma poi, a guardare a ritroso, erano stati
saltati del tutto, non solo non erano ricordati o non era successo niente di
niente (questo accade anche oggi, e sono anni benedetti), ma proprio non
c’erano stati, c’era un buco di tutto tranne che nei calendari, la gente manco
se ne rendeva conto, per cui magari uno partiva per un viaggio e aveva un sacco
di avventure e quando tornava erano passati pochi giorni o viceversa intere generazioni,
e tutto era diverso e insieme uguale, o uguale ma pure diversissimo, e un altro
andava in guerra giovanetto imberbe, ci stava 10 anni, veniva ucciso poco prima
che terminasse, e poi si scopre che viene vendicato da un figlio di 20 o più
anni che chissà da dove era sbucato, e ciascuno aveva un tempo suo che
raramente coincideva con quello degli altri, e allora solo per poco, ma quel
poco era tremendo, di gioia selvaggia o di lutto indicibile che non si vedeva
l’ora finisse e invece non finiva mai, mai.
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