La
prima cosa che si fa, praticamente, sempre, è scartare quasi tutto;
dichiararlo, più spesso in modo implicito che esplicitamente, insignificante;
cancellarlo, eliminarlo o, se proprio, lasciarlo sullo sfondo, indistinto, da
cui estrarlo quando serve, relegando qualcos’altro, al suo posto, nell’universo
del quasi nulla, salvo poi trovarsi, magari, senza parole o altre forme o
strumenti per nominarlo, usarlo, forgiarlo.
Lo
si riconosce, allora, come non conosciuto; lo si contraddistingue come non
distinto, non adeguatamente quanto meno, e però presente qui, ora, che reclama,
poiché l’hai estratto da dove stava, un nome, un uso o una forma in qualche
modo definiti, precisi. Almeno come tentativo, come esistenza provvisoria,
precaria, e però in quel momento e modo certa, solida, indubitabile, e quindi,
finché è lì e così, fuori dal tempo; o forse, meglio, come tempo incarnato,
solidificato, consolidato, inscalfibile.
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