Nei libri della Compton Burnett ci
sono personaggi che leggono e talvolta che scrivono, ma raramente i dialoghi si
soffermano a lungo sulla lettura e sulla scrittura come in Padroni e maestri, il suo primo vero romanzo, pubblicato nel 1925 a
quarantun anni. La vicenda è ambientata in una scuola privata fondata da
Nicholas Herrick, un critico che ne garantisce il prestigio con la propria fama
ma ne lascia la conduzione a collaboratori e dipendenti scadenti o addirittura
non qualificati. Giunto a settant'anni col cruccio inconfessato di non aver mai
scritto niente di creativo, Nicholas annuncia, dopo una una notte passata a
vegliare la salma di un collega, di aver finalmente portato a termine un
romanzo. A questa notizia rivela di aver ripreso a scrivere anche il suo amico
Richard Bumpus, che già ne aveva scritto uno da giovane ma che lo aveva fatto
deporre nella bara di un amico senza pubblicarlo. Due morti e, legati a loro,
due libri comparsi d'improvviso, come dal nulla.
Anche Miss Ivy in gioventù aveva
scritto e pubblicato con un certo successo Dolores
(1911), un romanzo di stampo vittoriano per struttura e sentimenti. Più tardi
lo ripudierà, ma già nel 25 forse lo sente lontano; tra un libro e l'altro 14 anni
di letture che la portano a una diversa concezione della letteratura e
soprattutto una sequela di drammi personali, tra i quali spicca la morte in
guerra del fratello Noel, che alla stesura di Dolores aveva collaborato, e il suicidio di due sorelle alla
notizia della
sua scomparsa. In Padroni e maestri è come se la Compton
Burnett si rendesse conto che soltanto questa è la sua vera nascita come
autrice, ma che resterà incompleta se prima non avrà fatto i conti col passato.
E lo fa subito a modo suo, cioè senza parlarne se non indirettamente: iniziando
a scrivere dunque, affronta una volta per tutte il problema della scrittura, in
particolare di quella da cui sta prendendo congedo, quasi a sgombrare il campo
al mondo dei suoi personaggi, nella cui impersonalità discioglie poi tutti i
resti del proprio passato, per deporli con un ultimo omaggio nella tomba del
fratello, assieme al libro scritto con lui e che li riassume.
Può quindi cominciare. Vittoriano
sarà ancora e sempre il mondo dei personaggi, ma non lo saranno più né la forma
dei romanzi né la prosa. Del resto l'ambientazione temporale nella Compton
Burnett è spesso uno sfondo vuoto, dal quale la definizione storica emerge
semmai come effetto secondario, anche se in Padroni
e maestri sono presenti riferimenti alla questione femminile e al dibattito
sul voto alle donne e sul divorzio oltre che al sistema educativo, che
avvalorano l'affermazione di A. Falzon nella prefazione che, come Lytton
Strachey e E.M.Forster, "la Compton Burnett andava vivisezionando dall'interno la mentalità
vittoriana". Al lettore odierno invece i suoi libri appaiono proiettati
come in un'epoca mitica, perfettamente conclusa in una sua completezza
inalterabile, alla quale la patina depositatavi dalla storia prima di
eclissarsi fornisce solo la nitidezza indispensabile a evitare i pericoli
dell'indistinto.
L'ambientazione spaziale di Padroni e maestri è già quella, tipica
della scrittrice inglese, delle cosiddette "istituzioni totali": la
famiglia, la canonica e in particolare qui la scuola. Nella loro soffocante
chiusura si consumano i rapporti di forza relativi alle differenze
generazionali (i rapporti genitori-figli e insegnanti-allievi), di ceto
(direttore-dipendenti, ricchezza-lavoro salariato) e di sesso
(fratello-sorella, marito-moglie, padre-figlia) che costituiranno i motivi
conduttori anche dei romanzi successivi. In questa sua prima prova tuttavia, è
come se la Compton Burnett li disponesse tutti sul tappeto per saggiarne le
potenzialità, cominciando ad analizzarne alcuni e altri accennandoli soltanto.
Lo stesso accade del resto per buona parte dei sedici personaggi (troppi forse
in relazione alla misura della narrazione), anche per alcuni non riconducibili allo
statuto di figure di contorno. Che il risultato complessivo resti solido e la
lettura molto godibile, sta peraltro a indicare che altri erano i problemi che
questo romanzo doveva prioritariamente affrontare, e che l'autrice ne è venuta
a capo: problemi linguistici e strutturali cioè. Per esempio la scansione della
trama mediante un montaggio veloce quasi privo di transizioni e la sua
rarefazione, anche se non mancano elementi di sostegno narrativo all'attenzione
del lettore, dall'esplicitarsi dei rapporti tra i personaggi al mistero dei
libri di Nicholas e Bumpus. Azioni e fatti sono ridotti ai minimi termini di
una quotidianità che poco o nulla nobilita o risolti tramite un largo uso
dell'analessi nei dialoghi, che assolvono quindi un compito narrativo più che
di definizione psicologica. Il lettore si ritrova di conseguenza a dover spesso
colmare una fitta rete di vuoti, reticenze e allusioni destinate a non essere
chiarite senza il supporto di una caratterizzazione precisa, anche perché il
tono dei dialoghi è in generale indecidibile: il tono neutro di una scrittura
che, per dirla con Manganelli, ha come fondamento stilistico un "gelo
letale", e che in modo neutro va letta, a dispetto dall'apparenza teatrale
dei dialoghi. La difficoltà di venire a capo delle vere intenzioni dei
personaggi si traduce in quella di formulare un giudizio preciso su molti di
loro, tanto più che la scrittrice stessa si guarda bene dal farlo e dal porgere
qualche aiuto al lettore, che quindi spesso si ritrova oggetto della famosa
perfidia della "signorina" al pari dei suoi personaggi, ricavandone
comunque un piacere al quale lo stesso disagio contribuisce. Se infatti i
personaggi durante la lettura suscitano sentimenti alterni, a volte persino
positivi, l'impressione finale è sempre che la dolce miss Ivy non salvi proprio
nessuno, né tra i padroni e maestri né tra i sottomessi o gli amici: meno per
loro ambiguità e malizia che per l'inesorabile mediocrità nella quale in fondo
tutti si adagiano, pur cullandosi nella convinzione di andarne esenti e di
essere fuori dal comune, che è la più banale e comune delle ambizioni. Non a
caso alla fine del libro Herrick dice alla sorella: "Non credo di essere
mai stato un tipo come gli altri." "No. Certo che no," gli risponde
la sorella. "Sarebbe tremendo che tu lo fossi." Appunto.
Ivy Compton Burnett, Padroni e
maestri, trad. N. Rosati Bizzotto,
Ed. La Tartaruga, Milano, p. 122, £ 24.000
Ed. La Tartaruga, Milano, p. 122, £ 24.000
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