12/03/19

Nostalgia di tipo B



Io, dice (pensa), non ho nostalgia del lontano o del passato, ho nostalgia dell’ora e del qui. Li guardo, li sento, già mentre sono qui e li vivo, al di là di uno schermo trasparente, di una faglia sottilissima, invisibile, ma che si avverte subito se sfiorata con un polpastrello o, non cercata, ai margini della visione, insormontabile; o come separata da un fiume o solo da una parete d’aria un po’ più fredda, non come una lama, piuttosto come un intervallo fulmineo… Sì, aggiunge dopo una pausa (un intervallo), già mentre li vivo, o mi sembra di viverli… e quindi mentre non li vivo già nel viverli, perché non ci sono mai dentro, non mi prendono e avvolgono… e sempre, quindi, sono separato da loro: separato dal me (che osservo, e mi cruccio ecc.) che li vive senza viverli.
Ogni momento la distanza della nostalgia è già lì, ribadisce (annuisco, credo di sapere già dove andrà a parare, salvo poi essere, talvolta, sorpreso: disorientato, fuori di me).
L’intimità della distanza. L’impossibilità di separarsi, di distanziarsi, dalla distanza.

A ripensarci, aggiunge come se solo ora se ne rendesse conto (ma mente, è chiaro: si imbelletta), c’era già tutto nel suo primo giovanile romanzo, e nei farfugliamenti che aveva scritto prima e ha gettato via tempo fa, frammentati e incomprensibili, tritumi di frasi, verbi all’infinito, parole senza nessi: nel romanzo che aveva scritto dalla distanza che lo ha attraversato dal primo momento in cui ha cominciato a scrivere. E probabilmente da prima ancora: dal primo momento in cui ha avvertito il suo dire e il suo pensare. E prima ancora, anzi, se possibile, quando, iniziando a leggere non riusciva a unire le lettere e poi le sillabe tra di loro. C-A, CA!, diceva sua mamma (sua mamma gli raccontava che gli diceva). CA-SA, CASA!
No, C restava C, A restava A, e poi CA restava CA e SA restava SA. 

No, casa no. Casa cosa? Casa dove?





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