31/03/16

Pidocchi (e uomini e maiali)



Leggo* che i pidocchi hanno una specializzazione fortissima: ogni loro specie si nutre del sangue solo di un'altra specie: bovini, cervidi, topi, cani, ovini ecc. Solo il pidocchio del maiale può nutrirsi anche del sangue dell'uomo, e viceversa.
Questo dovrebbe significare qualcosa?
Dobbiamo pensare, per esempio, che a certi tabù alimentari che alcune religioni istituiscono per i maiali non sia estraneo anche il sentimento di una remota parentela, e il rischio conseguente di cannibalismo?
O dobbiamo lanciarci in altre ipotesi? In sogni morali, o incubi a loro volta specializzatissimi? La duplice preferenza dei nostri pidocchi cos'altro ci può insegnare? Niente?
Però l'immaginazione, lei, vola.


*(in "La strategia della farfalla" di Marco Belpoliti, di prossima uscita presso Guanda)

30/03/16

Tornano a casa (un sogno, anche meno)



Un gruppo di uomini dei Balcani, e mediorientali, con qualche pakistano anche, vestiti come i contadini di una volta, con pantaloni di tela grezza e maglie di lana a mezzamanica color carne o grigie, tarlate e slabbrate, piene di rammendi, non del tutto pulite, o che danno questa impressione anche appena lavate, la barba di qualche giorno, i capelli scarmigliati, gli occhi scuri, luminosi, passa tra i vicoli cantando in coro, come canzoni di montagna e in una lingua comune pur essendo loro di origini diverse, prima di sparire nel cortile di una cascina del vecchio paese di montagna.
Il passo è agile, deciso. I piedi calcano le pietre con vigore. Le pareti della viuzza rimbombano, ma piano, in sordina. Qualcuno scherza. Sono allegri, pieni di vita.
È la Comunità Viperina che torna a casa!”, annunciano sul portone.

(Sognando, sono allegro e pieno di vita anch’io.)

26/03/16

Morti (da Figura di schiena, Doppiozero books, 2014)



Al posto del volto, sul lato nascosto verrebbe più spontaneo attribuire alla figura di schiena, al massimo, una maschera, con le sue grinze espressive e le sue smorfie, e perché quello che conta è l’effetto che suscita ciò che si verifica davanti a lei, non chi lo prova. Anche qui, dunque, al posto di un individuo essa incarna un essere generico: uno che potrebbe benissimo essere un altro, che a sua volta potrebbe benissimo essere un altro ancora, e così via.
(…)    
Ma che uomo è quello a cui una maschera, attribuita, si attaglierebbe meglio di un volto, negato? Quello con la maschera sarebbe piuttosto un uomo morto, meno per la parentela che lega le maschere ai morti che per il fatto che dietro la maschera non importa chi c’è. Va bene chiunque. E lo stesso dicasi del corpo: il morto è senza corpo; il morto con la maschera non è il cadavere, che lui sì è un corpo, e solo corpo. Così la figura di schiena è solo corpo quando interessa che sia viva e potrebbe essere di qualsiasi materia se è indifferente che lo sia. E neanche di qualsiasi materia: di qualsiasi materiale .


(…) sia che si rivolti, sia che continui a porgere le terga dichiarandosi estranea al sacrificio e alla violenza “legittima”, la figura di schiena non viene risparmiata. Chi dà la schiena è inerme, esposto al colpo traditore, e forse lo sa.
Essere colpito alla schiena, però, è anche la pena cui il traditore viene condannato, come contrappasso. Dürer, nel suo progetto di Monumento ai contadini vinti, pone in cima alla colonna che si erge sopra uno stratificato basamento, ai cui piedi stanno “mucche-pecore-maiali e così via”, un uomo con una spada conficcata nella schiena.
Come ribellarsi, e forse di più, andarsene, chiamarsi fuori, viene visto come un tradimento e quindi espone alla rappresaglia, alla rabbia, alla vendetta. Colui che si vede voltare le spalle si sente umiliato, disonorato; ciò in cui crede e che gli permette di vivere, viene da questo gesto, più che negato, annientato, dichiarato irrilevante, pura illusione, vaneggiamento, e quindi lui reagisce, approfitta della momentanea debolezza di chi è (si reputa, o è reputato da colui che, correttamente, interpreta come disprezzo il suo gesto) più forte, e lo annienta. Chi si toglie, nega e si espone; esponendosi, chiede di essere a sua volta negato.

E la negazione definitiva, a quanto pare, è la morte. Forse per questo, talvolta, mi fa pensare, la figura di schiena, al morto; non allo spettro, o al doppio o all’anima o a qualsiasi altra rappresentazione di ciò che del morto sopravvive, per lui o per gli altri, e nemmeno al cadavere, alla spoglia o ai resti mortali, ma proprio al morto in quanto morto e basta: uomo senza volto, e quindi senza individualità, e quindi non più uomo; corpo mortale morto, e in quanto tale assimilabile a tutti gli altri. Per negare questa assimilazione, per tentare di difenderne colui che ci è caro, personalmente o socialmente, ecco la maschera, il ritratto funerario, la fotografia nell’album di famiglia, nel portafoglio e sulla tomba.

Nome e date non bastano, è indispensabile l’effigie: di qui la proliferazione delle immagini dei morti o dei loro simulacri in passato, e ora la democratizzazione della sopravvivenza mediante l’immagine fotografica e filmica che la tecnica ha finalmente concesso a tutti. Non più solo re, papi, condottieri, magnati e uomini per qualche verso significativi, mostri e capolavori della specie e del branco: tutti hanno diritto a essere ricordati; e l’immagine è, del ricordo, la miccia più sicura.
Se non che la memorabilità di ogni morto tende a trasformarsi in oblio in toto della morte. Se ogni morto permane visibile (e dunque se tutto può essere e permanere visibile, e lo è, dal momento che persino tutti i morti lo sono), allora è l’invisibile a scomparire, a diventare invisibile persino nella sua stessa possibilità e pensabilità. Tutto è visibile. È tutto chiaro. Meglio così.

 
1 - Paolo Uccello, Battaglia di San_Romano (part.),National Gallery, Londra
2 - Maître de Boucicaut -tresor des histoires-bnf
3 - Miniatura Besançon iniz.XV sec. Dett
4 - Maestro del Bambino Vispo
5 - The Morgan Crusader’s Bible 1250 ca F.29 v

25/03/16

Amica in analisi





Una mia amica è entrata in analisi per imparare a soffrire: a provare dolore, sentirlo, invece che limitarsi a esserlo. (Farlo passare da soggetto a complemento oggetto, penso mentre me lo dice.)
Per imparare a esporsi all’emozione, a quella forte però, quella intensa, irresistibile, lei che si è costruita sulla resistenza (sulla difesa a oltranza, assoluta, contro tutto). A lasciarsi pervadere, e persino travolgere, dal sentimento. Per provare cosa vuol dire esserne sopraffatta.
Dice che vuole riuscire a innamorarsi; che vuole diventarne capace, costi quel che costi, ogni volta che capiterà, con chiunque, senza preclusioni. E ti credo! Mettere delle condizioni è già rifiutarsi. Negarlo. Cita col suo sorriso gentile, un po’ malinconico, il signor Perugina: intanto ho già imparato a amare l’amore. Gli sta già andando incontro: già lo prova.
Una volta che proverà anche la sofferenza, sarà fatta! Catturata per sempre. E felice, con tutte le possibili infelicità. Glielo auguro.
(E così magari la vedrò anche ridere. Ma ridere davvero: a cuore aperto.)


24/03/16

Una cartolina da Santa Monica



La seconda cartolina è datata dicembre 1989 e viene da Santa Monica, che vi è rappresentata in veduta aerea. D’acchito l’avevo scambiata per Rimini, chiedendomi chi diavolo potesse esserci andato in quella stagione. Non conosco festaioli e tiratardi, né malinconici dalla vena poetica che potrebbero bearsi del mare d’inverno. Ho pensato a uno scherzo. Me ne frego di Rimini. Ma le differenze si notano subito: gli alberi che separano i due grandi viali che costeggiano la spiaggia sono palme; alcune crescono addirittura sulla spiaggia, che è immensa, tanto che la gente addensata sulla battigia quasi non si distingue: puntolini che in un primo tempo avevo creduto alghe e sporcizia depositata dalla risacca. I viali sono a quattro corsie, il traffico è intenso ma non caotico; i parcheggi capienti, ordinati e con spazi liberi. In primo piano, sulla sinistra, c’è un grattacielo, forse un grande albergo, ma è l’unico; gli altri palazzi sono di pochi piani, in genere non più di quattro o cinque. Sopra l’orizzonte, anche qui molto alto, una striscia grigioazzurra quasi invisibile più che a una nube fa pensare allo smog, mentre forse è solo l’effetto del contrasto con la terra: infatti, a destra, il cielo sfuma nell’acqua senza soluzione di continuità. In fondo potrebbe essere Rimini in un giorno di grazia. Una freccia tracciata con la biro in alto a sinistra, a poche decine di metri dalla costa che si inarca dolcemente, indica la casa in cui si è da poco trasferita la famiglia di L. I miei genitori mi informano che intendono fermarsi lì per un po’ e si raccomandano perché mi prenda cura della casa.