La seconda cartolina è datata
dicembre 1989 e viene da Santa Monica, che vi è rappresentata in veduta aerea.
D’acchito l’avevo scambiata per Rimini, chiedendomi chi diavolo potesse esserci
andato in quella stagione. Non conosco festaioli e tiratardi, né malinconici
dalla vena poetica che potrebbero bearsi del mare d’inverno. Ho pensato a uno
scherzo. Me ne frego di Rimini. Ma le differenze si notano subito: gli alberi
che separano i due grandi viali che costeggiano la spiaggia sono palme; alcune
crescono addirittura sulla spiaggia, che è immensa, tanto che la gente
addensata sulla battigia quasi non si distingue: puntolini che in un primo
tempo avevo creduto alghe e sporcizia depositata dalla risacca. I viali sono a
quattro corsie, il traffico è intenso ma non caotico; i parcheggi capienti,
ordinati e con spazi liberi. In primo piano, sulla sinistra, c’è un
grattacielo, forse un grande albergo, ma è l’unico; gli altri palazzi sono di
pochi piani, in genere non più di quattro o cinque. Sopra l’orizzonte, anche
qui molto alto, una striscia grigioazzurra quasi invisibile più che a una nube
fa pensare allo smog, mentre forse è solo l’effetto del contrasto con la terra:
infatti, a destra, il cielo sfuma nell’acqua senza soluzione di continuità. In
fondo potrebbe essere Rimini in un giorno di grazia. Una freccia tracciata con
la biro in alto a sinistra, a poche decine di metri dalla costa che si inarca
dolcemente, indica la casa in cui si è da poco trasferita la famiglia di L. I
miei genitori mi informano che intendono fermarsi lì per un po’ e si
raccomandano perché mi prenda cura della casa.
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