In occasione di una vecchia mostra di Rodčenko (mi è
tornato in mente dopo averne visto l’altrieri un’altra di sole fotografie), una
delle cose che mi avevano maggiormente colpito erano state le carte per
caramelle da lui disegnate nel 1923. C’erano molte opere degne di nota, ma tra
tutte ricordavo chiaramente solo qualche fotografia, un paio di manifesti, i
tavoli e le sedie di una sala di lettura per un club operaio, e appunto quelle
cartine colorate e incorniciate, così minuscole e all’apparenza defilate in
mezzo a lavori più imponenti e certo più importanti per la storia dell’arte,
sovietica e non.
Erano proprio belle, ma, adesso che ci penso meglio, non
era solo per quello che mi sono rimaste impresse, né per la loro singolarità
all’interno del contesto disparato per generi e materiali delle opere
presentate. D’altra parte, perché stupirsi che Rodčenko abbia disegnato anche
cartine per caramelle, quando è noto che l’applicazione a tutti gli aspetti
della realtà (quasi tutti, censura e autocensura permettendo) era una delle
caratteristiche dei costruttivisti, che rifiutavano programmaticamente l’arte
“fine a se stessa”, “iuxta propria principia” (che ci siano riusciti, o anche
solo che lo volessero tutti fino in fondo, è tutta un’altra questione),
eccetera eccetera?
Non è questo che mi interessa. Ciò che mi ha colpito
invece, adesso lo so (ma solo adesso), è la coerenza impeccabile del gesto, in
un contesto e a partire da presupposti che invece, più correttamente, avrebbero
dovuto renderlo impensabile. Non la sfida però, bensì, ripeto, la coerenza.
Siamo nel ‘23, in piena NEP, le condizioni dell’economia
sono disastrose, la stragrande maggioranza della gente (del popolo) manca
persino del necessario, i contrasti politici sono tutt’altro che sopiti, i
problemi da affrontare da parte di tutti, artisti compresi, sono immensi per
quantità e gravità, tanto che anche la vita quotidiana ne risente in modo
drammatico, — e Rodčenko che fa? Disegna cartine per avvolgere caramelle.
Certo, è un aspetto secondario, minimo, delle sua
molteplice e frenetica attività (oltretutto c’è ancora sufficiente entusiasmo e
libertà, per gli artisti), ma lo fa. Non è nemmeno importante, credo, sapere
quali siano state le circostanze che l’hanno indotto a farlo (un’ordinazione,
probabilmente): importante è che lo abbia fatto, e bene.
Penso alle caramelle, un lusso per pochi, quasi un
affronto se mangiate da un rivoluzionario coscienzioso (un po’ meno da parte di
un artista, che nel lusso vive comunque: non sto a specificare in che senso, lo
si comprende facilmente; un po’ di più del normale però se lo fa in certi
periodi, quando persino gli artisti si sentono investiti da una missione
sociale e pertanto in dovere di far propri i problemi dell’urgenza e della
maggioranza di cui si pongono al servizio). Come saranno state quelle
caramelle? che forma, che colori e che sapori avranno avuto? quanta sarà stata
la produzione?
quanto saranno costate? di che ingredienti saranno state composte? chi le avrà
fatte? fabbrichette o pasticcieri memori dei tempi in cui, sia pure per pochi,
un’abbondanza c’era stata e nostalgici di un’arte che volevano mantenere in
vita? chi e quando le avrà assaporate? Quanto mi piacerebbe poterle assaggiare!
Penso, dickensianamente, a qualcuno che, un giorno,
rinuncia al pane per acquistarne una manciata; immagino che non sia uno che se
le può permettere, ma un cittadino qualsiasi (non penso a una donna, a una
mamma o una nonna col rispettivo figlio o nipote, ma proprio a un uomo, uno che
fa un lavoro qualsiasi e magari ha famiglia), che un pomeriggio le vede su un
piatto in una vetrina o con sorpresa le scopre in un vaso, sul banco di un
negozio dagli scaffali semivuoti: le guarda allibito, le desidera, fa dei
calcoli, si vergogna del proprio desiderio, vince la vergogna, fa altri
calcoli, o rifà gli stessi di prima, e poi con decisione sovrana li cancella,
chiede di che gusti sono, ne sceglie alcuni, anzi no, si affida al caso, vanno
bene tutti, le raccoglie dal banco con la mano, le mette in tasca, paga e se ne
va.
Quell’uomo sono io. Esco dal negozio, cammino un po’, mi
metto la mano in tasca, palpo il mucchietto come se volessi affidare la scelta
al tatto, o solo accarezzarlo. Poi afferro tutte le caramelle e, prima di
metterne in bocca una, le passo attentamente in rassegna. Ciò che vedo è
l’involucro. È indispensabile che sia bellissimo. Non tollererei niente di
meno.
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