Ha
sempre scritto poco, afferma, e sempre meno con il passare del tempo perché
ogni frase gli rimanderebbe la misura esatta della sua mediocrità. E di vedere
infallibilmente rispecchiata questa verità, con il passare del tempo, con
l’avanzare della vecchiaia, che non è saggezza ma un po’ anche sì, avrebbe,
dice, sempre meno voglia. Meglio guardare da un’altra parte. Non sapere. O
almeno evitare ogni occasione per tornare a toccare con mano ciò che si sa già
e si cerca, spesso riuscendoci per lunghi periodi, di dimenticare.
Mentre può essere esageratamente indulgente verso gli
altri, a volte persino quando non meriterebbero che disprezzo (non troppo,
perché anche la fatica del disprezzo è un segno di considerazione, cioè una
subordinazione), da sé non ha mai preteso, né accettato, altro che la
perfezione. Solo che la perfezione non è alla sua portata, né lui è stato
capace, ammette senza fatica, di sacrificare abbastanza (cioè tutto) al
tentativo di raggiungerla. Del resto nemmeno saprebbe dire cosa sarebbe, questa
benedetta perfezione, anche se sostiene, avendola cercata per tutta la vita
cosciente, di saperla riconoscere, e indicare, i rari casi in cui gli capita di
incontrarla. Ma quella è la perfezione degli altri, non la sua. Il che implica
che di perfezioni ce ne sono tante, che, al limite, ogni cosa e essere vivente
avrebbe la propria. In linea di principio, se non di fatto. Ciò che comunque
sarebbe una bella consolazione, che però, di nuovo, lui nega a se stesso. La
sua, di perfezione, è dove lui non potrà mai essere. È
ciò che, qualunque cosa faccia o scriva, lui non farà o scriverà mai.
Ciononostante, ogni
tanto, sempre più di rado, a dispetto del risultato che già si prefigura, ha la
debolezza di ritentare, convinto, mentre lo fa, che quella potrebbe essere la
volta buona, la strada giusta. Perché la mediocrità che gli verrebbe
rimandata dal risultato sarebbe comunque minore di quella che lo opprimerebbe
se nemmeno la imboccasse. Non crede alle fandonie che sostengono che la
perfezione sarebbe già il cammino che si percorre per raggiungerla, però in
certi casi è indubbio che, sulla via, preso dal cammino, per qualche impagabile
momento, quell’illusione, quanto a sé, dice, diventa una certezza.
Che ovviamente
sparisce non appena si rilegge.
Tutto Grazioli in 25 righe: la modestia fatta scrittura, un lumacone senza guscio che ritira gli occhi quando arriva una macchina a schiacciarlo sull'asfalto. Potrebbe avere culo e arrivare all'umida erbetta dall'altra parte della strada: un terno al lotto. Potrebbe, sarebbe, vorrebbe, avrebbe... tutta una serie di condizionali che ci fanno precipitare nella profonda tristezza che emana dalla stanza di un povero pittore del seicento olandese che per un attimo ha un'intuizione: niente ha valore se non quest'istante qui, questo specchiarsi nella mediocrità, nella sporcizia, nelle scrostature dei muri, nell'ombra del mio strumento, il cavalletto.
RispondiEliminaPardon, la penna ( meglio oggi la tastiera del digitale).
Perfetto.
Vorrei ricordarLe però, caro Luigi Figueroa, che Rembrandt era ricco, potente e prepotente e che aveva quella cattiveria che Lei ha dimenticato di possedere e che io, Federico De Leonardis, apprezzo più di ogni altra sua qualità artistica.
Mi scrive su Fb, con preghiera di riportarlo qui, Federico De Leonardis:
RispondiEliminaTutto Grazioli in 25 righe: la modestia fatta scrittura, un lumacone senza guscio che ritira gli occhi quando arriva una macchina a schiacciarlo sull'asfalto. Potrebbe avere culo e arrivare all'umida erbetta dall'altra parte della strada: un terno al lotto. Potrebbe, sarebbe, vorrebbe, avrebbe... tutta una serie di condizionali che ci fanno precipitare nella profonda tristezza che emana dalla stanza di un povero pittore del seicento olandese che per un attimo ha un'intuizione: niente ha valore se non quest'istante qui, questo specchiarsi nella mediocrità, nella sporcizia, nelle scrostature dei muri, nell'ombra del mio strumento, il cavalletto.
Pardon, la penna ( meglio oggi la tastiera del digitale).
Perfetto.
Vorrei ricordarLe però, caro Luigi Figueroa, che Rembrandt era ricco, potente e prepotente e che aveva quella cattiveria che Lei ha dimenticato di possedere e che io, Federico De Leonardis, apprezzo più di ogni altra sua qualità artistica.
RISPONDO Io
In quel periodo Rembrandt non era ancora ricco e poi finirà povero. La cattiveria c'è cher monsieur Federico De Leonardis anche in questo stesso pezzo. Non importa chi ne è l'oggetto, che lei, peraltro con una certa pertinenza (ma sostanzialmente anche no) legge in modo personale, quasi che si parli del sottoscritto sdoppiato in un Quiroga che scrive e in un Figueroroa che ne sarebbe l'oggetto. Tutto vero, e limitatissimo, cioè falso
FDL commenta il commento:
Tanto per stopparla lì, Le risparmio la mia risposta (pertinente, pertinente...), se pubblicherà il suo post sul lumacone (a meno che non l'abbia già fatto)
LG (io) gli obbedisce mettendo tutti i link (sono 4 in tutto:
http://grazioliluigimario.blogspot.it/2014/01/luce-di-ferragosto.html
http://grazioliluigimario.blogspot.it/2014/08/lepopea-dei-lumaconi-continua.html
http://grazioliluigimario.blogspot.it/2014/09/bruco-oblomoviano.html
http://grazioliluigimario.blogspot.it/2014/10/quattro-minuti.html