IL PARACADUTISTA
Ho cercato di imparare a volare,
ma ogni volta finivo per cadere;
pure, a cader non volevo adattarmi,
e così, un giorno, ho imparato a gettarmi.
Il vuoto mi attrae, non l’aria densa
che mi sostien con la sua resistenza;
nel vuoto non cadrei come faccio ora,
potrei danzare da vera signora,
mentre adesso di finger sol mi lice,
grazie a questa colorata appendice.
Passando da caròla a piroetta,
bella sarebbe la mia siloetta
che disegnan la seta e il falpalà;
ma non potrei suonare la trombetta,
mi mancherebbe il mio parapapà.
Meglio precipitare allora, se intanto
l’aria che respiro si trasforma in canto.
IL MAGO
Del grande mago narra la leggenda
che, nato in una notte di tregenda,
sia stato abbandonato sulla ruota
da un’attricetta allora poco nota,
per un difetto che aveva alla bocca,
che apriva senza profferire verbo,
quasi che il suono fosse troppo acerbo;
inoltre aveva un’aria un poco tocca.
E’ questa l’aria di chi sempre ride:
chi ride sempre par che mai non rida;
colei che prima la sua bocca vide,
credette a soffocarlo fosser grida.
Invece lui se ne stava beato,
su quella ruota, com’in mezzo a un prato:
cessata la pioggia, tornate le stelle,
voleva afferrarle, tanto erano belle.
Di muover le dita e piccole mani
non ha più smesso; chissà se domani?
PINOCCHIO
Fino a quando, mi chiedo, noi bambini
normali, o quasi, dovremo scontare
il rimorso di un’infanzia felice?
Vadano al diavolo gli scribacchini
che parlano solo d’infanzie amare,
come se uno si potesse amare
solo in virtù di genitori truci,
di fame, solitudine o dolore:
bambini differenti, e non uguali
come sono tutti quelli normali.
Se non hai niente chiamano il dottore,
diavoli, preti, la strega cattiva:
“Pagherai tutto, più interessi e Iva.
Il mondo è malato, anche il sangue è infetto,
mica vorrai tu solo esser perfetto?”
Così ci fanno crescer come loro;
ma un giorno prenderò la mia pistola,
e d’acqua inonderò tutto quel coro
di gente triste riunita a convegno
per trasformare il bambino di legno
in un banale aggregato di carne
e infine per decider cosa farne.
CICLISTA
Nei disegni dei bimbi ero baffuta,
sdentata, sciancata e bitorzoluta:
sembravo la vecchina delle fiabe,
la strega da fuggire come tabe;
invece avevo solo quarant’anni
e, a parte l’ansia, indenne da malanni
tiravo avanti, senza convinzione,
come aspettando una liberazione
che a volte mi sembrava di vedere
tra le braccia del sarto o del droghiere
(purché non mi chiedessero un erede
o l’adesione a questa o quella fede).
Ho cominciato a andare in bicicletta
la scorsa estate, quando, per vendetta,
di nascosto seguivo i miei studenti,
per provocare piccoli incidenti
che li rendessero meno sicuri
di poter fare impunemente i duri,
sempre protetti, poveri innocenti,
da genitori altrettanto dementi.
Ma, pedalando, il nastro dell’asfalto
ha privato il progetto d’ogni smalto,
ed io pian piano, senza alzar la fronte,
l’ho promosso a mio unico orizzonte.
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