28/09/21

Il circo (filastrocche 5-8) - Con disegni di Aldo Spoldi


IL PARACADUTISTA

  Ho cercato di imparare a volare,

ma ogni volta finivo per cadere;

pure, a cader non volevo adattarmi,

e così, un giorno, ho imparato a gettarmi.

Il vuoto mi attrae, non l’aria densa

che mi sostien con la sua resistenza;

nel vuoto non cadrei come faccio ora,

potrei danzare da vera signora,

mentre adesso di finger sol mi lice,

grazie a questa colorata appendice.

Passando da caròla a piroetta,

bella sarebbe la mia siloetta

che disegnan la seta e il falpalà;

ma non potrei suonare la trombetta,

mi mancherebbe il mio parapapà.

Meglio precipitare allora, se intanto

  l’aria che respiro si trasforma in canto.

 


           IL MAGO

           Del grande mago narra la leggenda

che, nato in una notte di tregenda,

sia stato abbandonato sulla ruota

da un’attricetta allora poco nota,

per un difetto che aveva alla bocca,

che apriva senza profferire verbo,

quasi che il suono fosse troppo acerbo;

inoltre aveva un’aria un poco tocca.

E’ questa l’aria di chi sempre ride:

chi ride sempre par che mai non rida;

colei che prima la sua bocca vide,

credette a soffocarlo fosser grida.

Invece lui se ne stava beato,

su quella ruota, com’in mezzo a un prato:

cessata la pioggia, tornate le stelle,

voleva afferrarle, tanto erano belle.

Di muover le dita e piccole mani

non ha più smesso; chissà se domani?



PINOCCHIO

Fino a quando, mi chiedo, noi bambini

normali, o quasi, dovremo scontare

il rimorso di un’infanzia felice?

Vadano al diavolo gli scribacchini

che parlano solo d’infanzie amare,

come se uno si potesse amare

solo in virtù di genitori truci,

di fame, solitudine o dolore:

bambini differenti, e non uguali

come sono tutti quelli normali.

Se non hai niente chiamano il dottore,

diavoli, preti, la strega cattiva:

“Pagherai tutto, più interessi e Iva.

Il mondo è malato, anche il sangue è infetto,

mica vorrai tu solo esser perfetto?”

Così ci fanno crescer come loro;

ma un giorno prenderò la mia pistola,

e d’acqua inonderò tutto quel coro

di gente triste riunita a convegno

per trasformare il bambino di legno

in un banale aggregato di carne

e infine per decider cosa farne.

 


        CICLISTA 

Nei disegni dei bimbi ero baffuta,

sdentata, sciancata e bitorzoluta:

sembravo la vecchina delle fiabe,

la strega da fuggire come tabe;

invece avevo solo quarant’anni

e, a parte l’ansia, indenne da malanni

tiravo avanti, senza convinzione,

come aspettando una liberazione

che a volte mi sembrava di vedere

tra le braccia del sarto o del droghiere

(purché non mi chiedessero un erede

o l’adesione a questa o quella fede).

Ho cominciato a andare in bicicletta

la scorsa estate, quando, per vendetta,

di nascosto seguivo i miei studenti,

per provocare piccoli incidenti

che li rendessero meno sicuri

di poter fare impunemente i duri,

sempre protetti, poveri innocenti,

da genitori altrettanto dementi.

Ma, pedalando, il nastro dell’asfalto

ha privato il progetto d’ogni smalto,

ed io pian piano, senza alzar la fronte,

l’ho promosso a mio unico orizzonte.

 

 



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