26/02/24

Un tropismo malsano. (Benevolenza e polvere)




Da qualche giorno a questa parte, arrivato in cima alla salitella, invece di svoltare a destra sull'alzaia del Naviglio, tiro dritto verso l'abitato. Una decisone che un po' mi inquieta. Su me stesso, intendo. L'Empire à la fin de la décadence! Forse però dipende solo dal fatto che l'alzaia da qualche settimana è percorsa da camion e cingolati vari: bestioni che passano a tutta velocità, sollevando montagne di polvere che poi resta sospesa per minuti nell'aria immobile, così che non solo te la devi respirare, perché in quel tratto il rifugio nella boscaglia della riva molto ripida è precluso, ma ne esci anche imbiancato, sopra e sotto gli abiti, come un fantasma. Un morto vivente, con buona pace del tuo senso di identità.

Lavori in corso dalle parti di Vaprio, credo. Non so, non mi sono mai spinto tanto oltre da verificare dove stiano trafficando: forse addirittura i lavori lungo l'argine dopo il ponte di Canonica, dove il grande cantiere impedisce qualsiasi accesso, tagliando fuori il passaggio anche verso il Naviglio. Se è così, il traffico sull'alzaia è destinato a durare chissà quanto ancora. Senza contare che ai ciclisti e ai pedoni sarebbe proibito passarci negli orari lavorativi. Ma questo è il meno.

A parte il divieto che io invece rispetto (l'educazione...), la scusa per tirare dritto in questi giorni ce l'ho: rimpinguare la collezione di cani che inneggiano al mio passaggio e fare un paio di sopralluoghi al cimitero di Groppello, con il suo bel viale di querce tappezzato di ghiande e sbiancato dalla polvere della loro farina, che sembra ammortizzare i passi sul marciapiede e rendere più morbida l'andatura. Un cimitero piccolo ma dall'impressionante densità di statue in bronzo a grandezza naturale, con tombe così attraenti che viene la tentazione di affrettarsi a raggiungerle. Devono averci una passione, qui. Oppure lo scultore o il fonditore sono di una delle tre ramificatissime e intrecciatissime famiglie del luogo. Ovvero è stagione di saldi anche per quel genere di manufatti, che magari in città non tirano più mentre in provincia hanno ancora un mercato, a dispetto della crisi (qui la gente ha l'aria di star bene, nel complesso: l’abbondanza, non si sa per quanto, tiene ancora; o così sembra).

Boh, a me non dispiace. Il cimitero. E poi è pulito, i vialetti ben tenuti, la ghiaia rastrellata, le foglie raccolte, le erbacce strappate, le tombe curate, con il marmo tirato a specchio, senza un grano di polvere o di polline, senza un solo petalo nonostante l'abbondanza di fiori freschi. E, devo aggiungere, gode anche di una discreta popolazione di viventi già di primo mattino: in pochi minuti ho visto entrare un’anziana signora, un uomo che ha lasciato la sua bici contro il muro senza chiuderla, e due donne, all'apparenza giovani, in abiti estivi sgargianti, smanicati, con le belle spalle nude e le braccia ben tornite, quasi fossero di ritorno da una festa sulla spiaggia e avessero deciso di fare una capatina dai morti prima di rientrare a casa. Approvo e entro anch'io. Condivido il memento. Senza ombra di tetraggine.

Nessuna scusa è però abbastanza buona per insistere. Vado verso l’abitato: la verità è questa. E andare verso l’abitato è andare verso gli abitanti, pochi o tanti che siano in generale, e all’ora precoce delle mie passeggiate in particolare. Non so da dove sbuca questa improvvisa propensione per la gente; sta di fatto che c’è. La gente non se la merita, ovvio; ma io gliela concedo lo stesso. Gratis. E senza fare fatica: è questo il bello. E’ vero che non c’è in giro quasi nessuno; che posso camminare lungo la pista ciclo-pedonale senza essere disturbato e eventualmente sedermi su una panchina dei periodici slarghi a riposare o a prendere un appunto, come ora; e è anche vero che praticamente incrocio sempre le stesse persone che ormai mi riconoscono (mi riconoscono per quello che passa a quest’ora con gli occhiali da sole e gli auricolari, sempre da solo ma dall’aria tranquilla, per non dire  serena, o al massimo svagata, più che pensosa) e possono quindi ignorarmi o tutt'al più lanciarmi una veloce occhiata di similintesa, per niente impegnativa (nemmeno di reciprocità); e che poi ci sono sempre posti che voglio vedere meglio o di cui devo controllare questa o quella peculiarità per le mie fissazioni, per fortuna variabili; però, a tutto questo (ecco il punto: inutile nasconderselo), negli ultimi giorni si sono aggiunti, scoperti per caso, su uno dei percorsi l’ingresso dell’asilo e su un altro, contiguo, quello delle elementari con i genitori che ci portano i figli, emozionati per i primi giorni di scuola. Emozionati i genitori, non i figli. E questo è buono. E io, lo confesso (a me prima di tutti), passo volentieri in mezzo agli assembramenti davanti ai cancelli, o accanto, e sfioro con lo sguardo una volta questa mamma, un’altra quel papà con due figli, o gruppetti misti che confabulano, o un bambino che corre avanti, e non provo fastidio. E ci ritorno apposta, anzi! Perché la gente, lì, in quel frangente, in questi giorni, davanti a quei cancelli, mi viene simpatica. Mi piace. (Pensa un po’...)

Ecco: l'ho detto fino in fondo; mi sono spazzato questa polvere dall'anima. Poi però il traffico comincia a crescere, anche se qui non è mai intenso, i negozi e gli uffici, scarsi entrambi, aprono, gli abitanti circolano e i marciapiedi si popolano. Non tanto, ma sempre troppo per i miei gusti. D’accordo la benevolenza, ma forse è meglio tornare indietro, all’alzaia. Camion o non camion. Agli alberi. Agli animali. A niente.

Ci sono da meno di tre minuti che lo vedo, fermo in mezzo alla strada, a 50 metri: il suo corpo, dallo stesso colore bianco-grigio dello sterrato e del ghiaietto, di un tono appena più scuro, è messo di traverso, e assieme alla folta coda forma un piccolo ponte di due perfette arcate tra polvere e polvere.

Appena mi scorge, due salti e si dissolve.

 

 

 

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