12/05/24

La vecchia storia di Dio e dei dettagli (appunti per niente 37)

 

Dio è nei dettagli (Mies van der Rohe); oppure “Dio si nasconde nei dettagli” che si raddoppia (o divide) in “il diavolo si nasconde nei dettagli”. Questo ha più senso, perché nei dettagli stanno le insidie e perché il diavolo deve nascondersi. Altrimenti sarebbe Dio: ipotesi tutt’altro che da trascurare. Ma se così fosse niente distinguerebbe l’espressione dalle altre due. Che sono due espressioni a effetto, e quindi in fondo sciocchezze, anche se qualche verità la contengono, come tutte le sciocchezze.

Dio, se c’è, è nei dettagli come è in tutto: perché dovrebbe nascondersi? E’ nascosto solo per l’occhio che non vede, e che solo quando si apre a vederlo, non lo trova che nel dettaglio, per il semplice motivo che il tutto gli sfugge. Non è necessario che il dettaglio sia minuscolo o addirittura infinitesimo (se uno dice di trovarlo lì è per magnificare le sue diottrie). Il dettaglio è sempre in relazione a qualcosa di più grande, per cui anche la Terra può essere un dettaglio, come difatti è in relazione alla galassia e all’universo: infinitesimale, appunto, mentre per noi è tutto o quasi. Quando qualcuno trova Dio da qualche parte, è così contento da pensare di aver trovato tutto, e invece ha trovato solo ciò che ci ha messo lui, che può essere, per lui, immenso, certo, e allora lo chiama Dio, lo chiama tutto. Quello che ci ha messo è la misura di ciò che non vedeva, e al contempo di ciò che ancora non vede: chiamandolo Dio crede di aver trovato tutto, in modo piuttosto economico anche. Niente di male. Anzi: tutto bene. Una scoperta, una gioia, una piccola estasi. Tutto meraviglioso, lo dico senza ironia; finché non pensa di dargli un nome che lo riscatti dalla sua limitatezza e pensa che quella viene cancellata e si unisce al senza limite, che in quanto tale è confuso. Illuminazione, estasi, satori, dio, spirito. Tutte cose eccellenti, finché non coprono e non si mangiano tutto il resto. Che poi digeriscono, forse, e evacuano, di sicuro, da qualche parte, come tanti piccoli, o giganteschi, resti. Dettagli.

 

Naturalmente quella di Mies van der Rohe è solo un’immagine. E il mio è il commento pedante di uno stupido che si crede più intelligente e la legge alla lettera. Tipico degli stupidi. Il dettaglio è il dettaglio, lui sì alla lettera, anche se sta per tutte le cose piccole, che passano inosservate ecc.; mentre Dio è una metafora, una metafora paradossale dove l’incommensurabile sta per il commensurabilissimo, la bravura, l’abilità, l’arte e altre piccole miserie, o una sineddoche, del Tutto per una parte, cioè per un dettaglio (il Creatore per una creatura, o per il creatore dell’oggetto in questione). Ma l’immagine non è innocente. Non è semplicemente un’immagine, qualcosa che sta per un’altra, senza una lettera. E’ efficace perché c’è una lettera. Una lettera che, in questo caso, sembra venire dopo l’immagine che la usa, anche se questa lettera si riferisce a un prima, il Prima assoluto, o forse a un significante con un significato fortissimo, ma senza referente, che aspetta di essere costruito, edificato, designato proprio dall’immagine che così lo fonda… ecc. E lo stupido che commenta il commento, denunciando la propria stupidità per cercare di ovviarvi e sembrare, o forse essere, intelligente, continua invece a esserlo, al quadrato. E poi al cubo, e così via. E così via…

Resta sempre molto superficiale, si ferma (mi fermo) sempre troppo presto invece di andare avanti, come chi teme di non farcela e ha paura di smarrirsi, e proprio lì, di ritrovarsi di fronte, ma veramente!, ai propri limiti, alla propria limitatezza, e di vederla allora tutta, com’è davvero, senza consolazione, come è quella invece che promana dal suo vago senso, che evapora subito, lasciando nella propria scia un’altrettanto vaga e effimera soddisfazione. Quella che c’è ogni volta che si mette un punto. E si chiude senza ascoltare il richiamo che viene, insistente, dopo ciascuno di essi. Spunta sempre la paura.

 

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