16/06/25

Storia non raccontate

 


Sono decenni, praticamente dall’adolescenza, che non racconta niente a nessuno (tranne questa che ora racconta a me, chissà perché), e anni e anni che nessuno racconta niente a lui. Cioè parla, lui, e parlano gli altri, qualche volta, ma in pratica raccontare, dire davvero qualcosa, e sentirne, non si ricorda l’ultima volta che gli è capitato. Persino con il suo migliore amico, l’ultimo, morto anni fa, era tutto un parlare indiretto, un raccontare altro, per cenni, un continuo cazzeggiare. Diffusamente non ci riuscivano. Per esempio, l’amico, certe cose della sua infanzia, importanti, mica scemenze, gliele ha raccontate dopo vent’anni che si conoscevano. Ah, questo non lo sapevo!, gli ha detto lui. E l’amico: davvero? Credevo di avertelo raccontato più di una volta. No. Probabilmente nella sua testa gliel’aveva raccontato, ma a voce, di persona, no. Si capisce che una volta raccontato nella testa, gli bastava. Era come se l’avesse fatto davvero. Anche a lui capitava così. Ma questi dialoghi di cose non dette, queste storie mai raccontate, non si sa perché, cementavano la loro amicizia. Finché non c’è stato più occasione di raccontare niente, e entrambi vivono, ciascuno a modo suo, in un mare di storie azzerate.

08/06/25

Giampiero Comolli, La foresta intelligente (1982)


 

 

La situazione di partenza di La foresta intelligente, primo romanzo del trentenne saggista milanese Giampiero Comolli, è quasi un concentrato di luoghi classici, ma fortunatamente non risaputi sono tanto lo svolgimento quanto la scrittura: in una Notte di Carnevale un Anonimo Soldato riceve l’Ordine Imprecisato di tenersi pronto per una Misteriosa Spedizione nell’Infinita Foresta del Nord, e da quel momento la vita sinora sonnolenta, ma soprattutto il suo modo di guardare, sentire e pensare il mondo comincia a modificarsi radicalmente.

Tutto il romanzo accompagnerà poi il soldato nella complessa rete di indagini, incontri, supposizioni, notizie, indizi, sorprese e sogni che lo porteranno alle soglie della partenza: preparativi al viaggio che però si trasformeranno lentamente a loro volta in un fantastico viaggio, - se non l’unico reale, l’unico possibile e narrabile, almeno per il momento.

Se infatti l’immensa foresta è l’ignoto, ciò che si apre al di là delle nostre attuali possibilità di conoscenza, può però sorgere anche la plausibile ipotesi che gli strumenti che nei preparativi il soldato di volta in volta scopre e appronta, le nozioni che sulla foresta viene apprendendo, di fatto lo trasportino già dal lontano geografico e immaginoso nell’altra faccia di ciò che costituisce il nostro mondo presente e reale.

Non per nulla il libro si conclude sulla felicità della doppia conoscenza che il soldato ha acquisito che gli permette di conoscere, ormai, “oltre alla ‘sua’ vita particolare, (...) anche questo frammento di una seconda terra, dove dei personaggi ignoti appaiono per un momento nel trascorrere della loro vita simile-dissimile” dalla sua; seconda terra che appunto è già la foresta, forse, ancora prima che in essa si sia entrati.

La ricerca di questo pensiero nuovo e differente, che trasforma completamente ciò che appariva noto e isterilito, è il motore principale di questo romanzo, non solo, o non tanto, dal punto di vista tematico, quanto soprattutto a livello stilistico, emotivo e percettivo. Comolli, nel solco di quella che si è convenuto chiamare crisi della razionalità, si era già occupato di questi problemi in alcuni dei saggi che viene pubblicando da alcuni anni sulla rivista Aut aut; ma mentre alcuni studiosi si erano rivolti specialmente al riesame dello statuto e dei fondamenti della scienza, egli, con altri, aveva rivolto la propria attenzione in particolare ai rapporti tra filosofia e letteratura.

Senza nulla togliere al valore di questi suoi contributi, credo però che il suo apporto più importante, anche dal punto di vista teorico, consista proprio in questo romanzo, che non per nulla è l’unico inserito in una collana sinora esclusivamente saggistica. Importante perché è proprio con un romanzo che Comolli tenta di misurare quegli spazi nei quali la filosofia non era ancora giunta, pur avendolo a più riprese tentato; ed è in questo che consiste il metro della sua ambizione, e anche della sua originalità.

Finora infatti, sebbene la complicità tra filosofia e letteratura sia sempre stata profonda, e anzi (come sostiene nella postfazione Franco Rella) “nel nostro secolo, la letteratura abbia addirittura occupato il luogo classico della filosofia, proponendoci un sapere che sfugge alle grammatiche filosofiche”, finora raramente era stata assunta come base di partenza e in modo così esplicito la maggiore ampiezza delle potenzialità romanzesche nel campo stesso della filosofia.

Una pretesa rischiosa, a meno di non essere avallata da buone ragioni, che consisterebbero, nel caso, nell’aver individuato la preponderanza e la produttività del discorso figurato tipico della letteratura laddove il quadro di un pensiero ormai consolidato comincia a non essere più abitabile proficuamente e si tentano nuovi percorsi; non solo in campo filosofico stretto, ma anche, per limitarci alla modernità, nella psicanalisi e nelle scienze umane. Solo che, se prima a questa lingua si faceva prevalentemente ricorso come a un’ultima spiaggia, ora sempre più c’è chi la adotta, senza per questo rinunciare alla ragione, come apertura inaugurale, come fa appunto Comolli. Questo gli premette di scrivere un romanzo nel quale la componente filosofica non si esplicita, come già classicamente, in inserti più o meno separati, in riflessioni e dialoghi di andamento saggistico, ma confluisce totalmente nella scrittura romanzesca stessa: nelle varie scene, nei personaggi e nelle descrizioni.

Credo anzi che consista proprio in questo la qualità principale del libro: nel fatto che, volendo, lo si potrebbe leggere come puro romanzo di tensione misteriosa, tessuto in un “principio alterno di malinconia e meraviglia”. Credo infatti che il pensiero dal “doppio sguardo” al quale, in un mosaico di immagini, approda come nuova esperienza della realtà il protagonista, non consista tanto nella rete (a volte troppo insistita e quasi meccanica) di paragoni e figure che costituisce il suo vissuto, quanto piuttosto nella duplicità della narrazione stessa: soltanto in essa, propriamente, il soldato può affermare, in un “sentimento oscillante fra una dolcissima tristezza e un godimento pieno di stupore, lì, in quell’alternanza sospesa del sentimento, lì, delicatamente, io sono”.

 

 

Giampiero Comolli, La foresta intelligente, Cappelli, Bologna, 1981