20/10/18

Signore che saluta alzando l’avambraccio di scatto



 C’è questo signore sui 45-50’anni di media statura, il corpo snello, i capelli castani, i lineamenti regolari, che stranamente incontro solo quando non c’è nessuno in giro, almeno che io ricordi, e che vedo da lontano venire verso di me con un passo regolare, un po’ meccanico, gli occhi spalancati fissi su qualche punto lontanissimo davanti a lui, o dentro, tanto chiuso in se stesso da far dubitare che abbia mai visto davvero qualcosa, e quindi nemmeno me, quando mi incrocia, e che pure, se sono io a guardarlo, alza di scatto l’avambraccio destro, come spinto da una molla, tenendolo addossato al corpo, il palmo della mano in avanti, le dita serrate le une contro le altre, chinando impercettibilmente la testa (a meno che non sia una proiezione mia), senza espressione, ma come chi si arrende, a cosa o chi non si sa, e poi prosegue con lo stesso ritmo, allontanandosi senza una parola. Altre volte invece mi passa accanto e se ne va con quella sua andatura monotona, il corpo rigido, non dando segno di aver nemmeno notato la mia sagoma, lo spostamento d’aria prodotto dal passaggio, l’ombra che il mattino proietta su di lui, come se io fossi un fantasma. E anche meno. Niente.
Nessun gesto, nessuna occhiata, nessun cenno, nemmeno l’abbozzo di un saluto, una sillaba, un sibilo, l’eco del respiro. Eppure già a scorgerlo da lontano un po’ mi inquieto, lo sento, in modo vago, minaccioso, non per qualche violenza che venga da lui, ammesso che ne sia capace, e che se ne accorgerebbe quand’anche la esercitasse, ma da me, da qualche punto che da grandi lontananze (eppure accosto, appena dietro una parete fragilissima) si risveglia al suo apparire e che, per quanto io cerchi di rassicurarmi, mi fa paura. Una paura che mi avvelena ogni fibra e mi fa vergogna.
Mi sento chiamato in causa senza appello, sollecitato dall’assenza di sguardo, più ancora che come mi capita con i ciechi, perché qui gli occhi hanno la potenzialità di vedere, vedono senza vedere, vedono senza vedersi vedere, non vedono ciò che guardano. Non: vedono ma non guardano, bensì: né vedono né guardano, sono spalancati sull’abisso del vedere, del puro vedere senza soggetto né oggetto. Quello in cui potremmo cadere da un momento all’altro, e forse in cui sempre siamo.


Chi fosse interessato a conoscere un altro episodio di questa piccola saga lo può trovare qui.

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