03/11/18

Jean Cocteau, Il mio primo viaggio - Il Giro del mondo in 80 giorni (1994)





 Nel 1936 Jean Cocteau, per rendere omaggio a Jules Verne nel centenario della nascita, decide di ripetere l’impresa del Il giro del mondo in ottanta giorni, romanzo dal quale anch’egli, come generazioni di altri bambini, aveva imparato “il gusto dell’avventura e il desiderio di viaggiare”. Ma nei resoconti che scrive per Paris-Soir poi riuniti in questo volume, di avventuroso non c’è nulla, al massimo qualche serata passata nei quartieri a luci rosse o nelle fumerie d’oppio delle città orientali (ma senza “toccare la pipa”); per il resto il viaggiatore Jean Cocteau non dimentica mai di essere in primo luogo un poeta, e in quanto tale il viaggio per lui non può che avere al proprio centro la bellezza, “come si presenta e il posto esatto che occupa”, esattamente quello che , a suo parere, “i viaggiatori non raccontano mai”. Non c’è il tempo, e forse nemmeno la voglia, di conoscere realtà e persone, anche se non mancano accenni alla società e alla politica del fascismo e del colonialismo; tutto sfila come una parata che sembra interessare principalmente per il fascino dei paesaggi e delle opere d’arte, per le emozioni che l’armonia dei corpi, i colori, le fogge delle vesti e il gusto dei cibi possono suscitare e per la possibilità poi di trasformarle in immagini e parole da degustare come un frutto squisito. Il primo colpo d’occhio è già la verità, la prima impressione si tramuta istantaneamente in formula, a nessun luogo sarà fatta mancare la sua bella definizione, spesso di sapore dannunziano (Roma è una “città pesante”, mentre Atene è “leggera”; Il Cairo è “una città morta” e New York, “un giardino di pietra”), così come non mancheranno quegli spunti meditativi e morali, meglio se un po’ provocatori, la cui assenza stonerebbe al cospetto di culture diverse. Eppure, se gli ingredienti dello stereotipo del viaggio dell’esteta sembrano tutti presenti, raramente Cocteau finisce per caderci, in primo luogo per l’attenzione prestata alla scrittura, al solito curata proprio nella sua apparente immediatezza, ma soprattutto per l’adesione non manierata, mai astratta, spesso corporea anzi, per il mondo che vede e le persone che gli è dato, sia pure di sfuggita, di incontrare. Non a caso i momenti migliori sono quelli in cui maggiore è la presenza dell’esterno e dell’altro, in particolare le descrizioni degli spettacoli e dei loro protagonisti, si tratti del kabuki o dei musicisti e dei danzatori di Harlem. Quando poi il caso gli fa incontrare Chaplin su una nave, la descrizione quasi devota del suo carattere e dei suoi progetti e la registrazione dei suoi discorsi si innalzano al punto che basterebbero queste pagine a giustificare la lettura del libro.


Jean Cocteau, Il mio primo viaggio - Il Giro del mondo in 80 giorni, ed. Olivares, Milano, 1994, pag. 245, £. 15.000






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