08/03/20

L’iscpezzione! (Ovvero: L’ultima speranza di rivoluzione in mano alla guardia di finanza! Sia lode!)



Che a me se vanno in giro a fare i controlli, mi fa solo piacere. E quindi ieri sera, quando è arrivata la squadra al completo, li ho accolti tutti a braccia aperte, che oltretutto ho una bella apertura e ci stanno in parecchi, anche se un po’ di spavento me lo sono presa lo stesso, sul momento. Perché più che entrare, hanno fatto irruzione, e si sono distribuiti così rapidi nei posti strategici che se volevano fare un massacro senza lasciare superstiti, non ci sarebbe stata nessuna differenza. Tanto che io ho guardato se qualcuno aveva un’arma in mano o nascosta sotto il cappotto come nei film, e sono raggelata, già che ho la tendenza a sentir freddo di mio, perché sicuro che dei clienti nessuno era armato o avrebbe reagito, men che meno io. Che, senza essere fifona, ho una predisposizione innata per la pace, anche se poi, se qualcosa mi importa, non mi tiro certo indietro a sostenere le mie ragioni. Sempre in modo lecito, sia chiaro. Fino ai bordi, magari, ma rigorosamente dentro.
Due si sono messi alle porte e hanno sbarrato e sigillato tutto ancora prima che si capisse cosa stava succedendo. Uno grosso come un orango si è piazzato davanti a quella d’ingresso, che bastavano le sue spalle a occuparla tutta, mentre il secondo ispettore, o subordinato, o scagnozzo, o impiegato, vattelapesca…. si è precipitato a quella della cucina e traccagnotto com’era, e con la panza anzi, ha rovesciato al passaggio una padella con il manico che sporgeva e un vassoio con tagliata, rucola e patate al forno, ma mica s’è fermato, altro che chiedere scusa! Effetti collaterali del dovere. Infine un terzo è corso alle toilette a controllare che non succedesse niente di losco e nessuno se la desse a gambe attraverso la finestrella schermata sotto il soffitto, dato l’alto numero di contorsionisti e artisti del digiuno tra i nostri avventori abituali, senza contare i puri spiriti. Che un paio ce ne sono, non dico per vantarmi.
Io ero al banco, con il libro aperto accanto alla cassa per non perdere neanche un secondo non appena si presentava una pausa. Sono sempre indietro con gli impegni e le scadenze, a cominciare da quelle immaginarie. E’ che ho accumulato ritardo fin dall’inizio, ormai irrecuperabile, mi sembra. E’ il mio peccato originale: giusto per non essere da meno di tutti. Per essere umana. ‘nzomma… Davanti a me si son piazzati invece i due che comandavano, un uomo e una donna. E’ l’epoca della parità. Lui era  alto e secco, con l’aria ascetica che si addice al ruolo, anche se poi magari il grasso ce l’ha immagazzinato chissà dove, che so? in Svizzera, presso qualche parente, che uno almeno lo abbiamo tutti anche lì, da emigranti che siamo sempre stati; la donna invece una rotondetta di mezza età, ma con la cera di chi sta male ma non lo vuol dare a vedere e proprio per questo lo rivela ogni minuto di più, di un colore sul bianco-viola da far spavento, che anche l’età ci scapitava, tanto che uno pensava subito alla zona menopausa e magari aveva solo 37 anni, quindi addirittura meno della mezza età, e poco più della mia, che pure, sia detto per inciso, sembravo sua figlia, con i cromosomi del padre però…
Beh, vengono lì al banco e mi chiedono chi comanda qui e io, anche se non è proprio esatto, gli ho risposto che ero io. Perché insomma, mi tocca fare più o meno tutto io una sera sì e l’altra pure, con al massimo l’aiuto del ragazzo in cucina il weekend e della mia amica Vanessa che ogni tanto viene a trovarmi e porta il vino ai tavoli tanto per fare due chiacchiere con la sottoscritta e bere un buon bicchiere o due (o tre) in compagnia, gratis ovvio, essendo che per i due padroni, o forse uno solo ora (si sono lasciati qualche mese fa), questo è un guadagno accessorio e hanno ben altre attività da curare, e soprattutto ben altra voglia di divertirsi, la sera, visto che se lo possono permettere eccome! Che per togliersi anche questo fastidio, mi hanno persino proposto di diventare socia a una cifra più che ragionevole, visto che ormai la baracca è quasi tutta sulle mie spalle, ma io no che no!, gli ho detto, perché certo avrei da guadagnare niente male rispetto alle mie entrate attuali, come pure a quelle presumibili a breve e medio termine, ma poi dovrei stare occupata giorno e notte, quasi, e io la vita non la voglio inscatolare qui per quattro soldi in più, trovarmi con i piedi nel cemento e i sogni sigillati. Per dire…
Facciamo che sono io, gli dico allora; benvenuti! L’uomo mi guarda storto, che si figura che lo prendo in giro, che è l’ultima cosa che vorrei, specie in queste circostanze che se hanno voglia di rognare non ci mettono niente a fregarti, come quelli dell’ASL prima che arrivi il titolare A a parlarci di persona. Il titolare A (il B, o l’ex B un po’ meno) ha doti retoriche che io me le sogno, con tutto che sono dottoranda in filosofia. La pertica manda la donna, che allora è una vice, alla faccia della parità, tra i tavoli, assieme a un altro con una faccia, lui, così normale che prima non mi ero nemmeno accorta che c’era, a controllare gli scontrini e le ricevute di quelli che avevano appena finito e si apprestavano a partire, mentre ora sono prigionieri e una con un cappotto firmatissimo grida che quello è un sequestro di persona bello e buono e domani la fa lei la denuncia, nonostante il suo accompagnatore la supplichi sottovoce di darsi una calmata che poi lo viene a sapere il marito. Controllano i numeri degli scontrini, la corrispondenza delle cifre con i piatti e i bicchieri sui tavoli, fanno una loro aritmetica, tutta a mente!, tabelle e grafici inclusi, e chiedono di esibire un pezzo di carta anche a chi è appena arrivato o ha intenzione di consumare altro in aggiunta a quello che ha davanti a sé. Vogliono lo scontrino preventivo. Fanno il conto congetturale, per dirla con Borges. Intanto lui viene dietro il banco e mi fa aprire la cassa. E’ distaccato ma gentile. Piego la testa di lato e sgrano gli occhi, che di solito funziona coi maschi, ma lui non se ne accorge nemmeno. Con permesso!, mi fa. Prego! Fruga dentro e sotto e accanto, conta i soldi, sequestra il rullo, fa due mucchietti con le ricevute delle carte di credito e del bancomat, esamina le copie delle fatture, conta gli avventori, i bicchieri e i piatti sui tavoli, li somma a quelli nei lavelli, anche quello della cucina che si vende anche da qui che è vuoto, e al contenuto della lavastoviglie, che però, purtroppo, è sprovvista di contatore.
Io sono tranquilla, uno perché faccio sempre le cose in regola e due perché, come già detto, non è roba mia. Anche se ci tengo, sia chiaro, non solo perché sono amica del capo A ma soprattutto perché ho una mia coscienza. E pure tosta! Mi offro persino di dare una mano come posso, ma lui mi intima di stare quieta e tante grazie. Colgo l’occasione per esercitare il mio versante contemplativo, e mi accomodo sullo sgabello con il libro in mano, prima che mi sequestri anche quello, che tra l’altro è della biblioteca di anglistica. Prima lo scrolla e esamina ben bene però. Non sia mai che c’è qualche messaggio cifrato, documenti scottanti nei risvolti, tanto più che è scritto in modo incomprensibile.
Dopo un po’ arriva la donna a fare un primo resoconto. Ha una faccia che ho paura che mi schiatti da un momento all’altro e allora sì che sarebbero grane!, per cui le chiedo se desidera una camomilla. Non posso!, ribatte subito lei, irrigidendosi come un palo. Eh, mica rischio l’ergastolo per una corruzione da camomilla, dico io senza far pesare la mia ironia. Sono delicata, io. E poi la donna mi fa davvero pena. Sono preoccupata… mi identifico. Mi prende il virus dell’empatia, altro che distacco professionale! Via, le dico, se proprio, me la paga, con regolare scontrino. Il bifolco chilometrico finge di non aver sentito: credo che sia il massimo della sensibilità che gli è concesso. Sul lavoro perlomeno. A casa è di sicuro un giuggiolone! Sono tutti cosi. Sanno piangere.
Subito dopo però, va in cucina a dare una mano a quello che aveva fatto il guaio lì dentro. Non so se l’ha fatto apposta, ma io ho apprezzato. Senza aspettare la risposta, scendo dallo sgabello e vado alla macchina a preparare l’infuso. Ne ho proprio di buoni! Metto la tazzina sul bancone e accanto la teiera, poi torno a sedermi, voltata anch’io dall’altra parte per evitarle l’imbarazzo. Gentilezza chiama gentilezza. Che se poi lei non la tocca, la bevo io. Come faccio ogni sera, peraltro. A me la camomilla mi calma, ma mi tiene anche sveglia. A qualcuno fa questo effetto. Pochi, ma ci sono. Non lo pubblicizzano però, altrimenti molti non berrebbero più il tè o il caffè. E allora addio commercio!

Gennaio 2012. Grazie Anna!

 

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