Sono andato a trovare la luce stamattina, dopo le piogge intense dei giorni
scorsi. Una visita di cortesia. Il sole era ancora basso, l'aria tiepida, con
una leggera brezza ogni tanto. Sopra, sereno e un po' di nubi verso le
montagne. La luce era radente, intensa, tanto che mi faceva male agli occhi. Un
filare di alberi era colpito con un angolo così preciso che l'ombra era solo
una linea nera ai loro piedi. Ogni stelo aveva la sua batteria di gocce, ogni
foglia di granoturco, ma prima della fine della passeggiata tutte le gocce
erano cadute. Qualcuna si era ritirata in qualche incavo, scivolando verso
l'interno, in silenzio, a resistere come i partigiani nei boschi. Le
pozzanghere erano trasparenti, ciascuna di colore diverso. Della vecchia carcassa del
riccio a bordo strada pensavo che, dopo tutta l'acqua e i tanti passaggi di auto dei giorni
scorsi, avrei trovato solo una macchia. Che gli spazzini della natura avrebbero
fatto il loro lavoro. Invece anche lei resisteva, sempre lì, trasformata in un
ammasso compatto grigiastro, come di cartone bagnato, come un povero telo
gettato sul cadavere da cui emergono alcuni piccoli aculei. È il punto,
quello, da dove si vede meglio il Rosa, quando si vede. Non oggi. Sopra la sua
assenza c'erano solo delle nubi: rosa loro.
È la mattina di ferragosto, non mi sembra neanche di essere in Italia. Non
c'è un solo stronzo in giro, a parte il sottoscritto. Gli italiano dormono. È il meglio che possano fare. Almeno non fanno danni. In loro assenza, forse
al loro posto, un tratto di strada era invaso da una miriade di lumaconi,
convenuti lì come sul corso, incuranti del pericolo. Forse quel tratto è il
corso dei lumaconi, e che siano incuranti del pericolo va a loro gloria. Non ci
pensano. O forse non possono pensarlo, loro. Loro non pensano, e quindi non
possono pensarlo. Loro.
2010
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