17/01/14

Luce di ferragosto


Sono andato a trovare la luce stamattina, dopo le piogge intense dei giorni scorsi. Una visita di cortesia. Il sole era ancora basso, l'aria tiepida, con una leggera brezza ogni tanto. Sopra, sereno e un po' di nubi verso le montagne. La luce era radente, intensa, tanto che mi faceva male agli occhi. Un filare di alberi era colpito con un angolo così preciso che l'ombra era solo una linea nera ai loro piedi. Ogni stelo aveva la sua batteria di gocce, ogni foglia di granoturco, ma prima della fine della passeggiata tutte le gocce erano cadute. Qualcuna si era ritirata in qualche incavo, scivolando verso l'interno, in silenzio, a resistere come i partigiani nei boschi. Le pozzanghere erano trasparenti, ciascuna di colore diverso. Della vecchia carcassa del riccio a bordo strada pensavo che, dopo tutta l'acqua e i tanti passaggi di auto dei giorni scorsi, avrei trovato solo una macchia. Che gli spazzini della natura avrebbero fatto il loro lavoro. Invece anche lei resisteva, sempre lì, trasformata in un ammasso compatto grigiastro, come di cartone bagnato, come un povero telo gettato sul cadavere da cui emergono alcuni piccoli aculei. È il punto, quello, da dove si vede meglio il Rosa, quando si vede. Non oggi. Sopra la sua assenza c'erano solo delle nubi: rosa loro.

È la mattina di ferragosto, non mi sembra neanche di essere in Italia. Non c'è un solo stronzo in giro, a parte il sottoscritto. Gli italiano dormono. È il meglio che possano fare. Almeno non fanno danni. In loro assenza, forse al loro posto, un tratto di strada era invaso da una miriade di lumaconi, convenuti lì come sul corso, incuranti del pericolo. Forse quel tratto è il corso dei lumaconi, e che siano incuranti del pericolo va a loro gloria. Non ci pensano. O forse non possono pensarlo, loro. Loro non pensano, e quindi non possono pensarlo. Loro.
2010

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