C'è
questa foto di Matisse al Louvre, che sta disegnando un Kouros. Il libro del
grande Hans Belting da cui la riprendo dice che è del 1946, ma quando la cerco
in rete ne trovo solo una simile, scattata qualche istante prima o dopo, che
però viene datata del '32. La differenza non è poca. La prima data mi aveva
entusiasmato; la seconda, che a ben guardare è più ragionevole dato che il
pittore è ben portante, robusto ma non appesantito, monumentale, come quando
viene ripreso in studio da Cartier Bresson (anche se qui siamo nel 1952), mi ha
un po' raffreddato, ma solo un po'. Il vecchio pittore (vecchio... se la foto è
del '32 ha più o meno la mia età; se del '46, beh, allora ha l'età di un noto
pregiudicato, e sì, sì, è vecchio: ma il paragone è blasfemo e lo rinnego
immediatamente; e quindi daccapo:) il pittore, col suo pizzetto bianco, gli
occhiali, un borsalino in testa, un doppiopetto slacciato completo di gilé e
pochette candida nel taschino, un bastone appeso al polso sinistro, tiene in
mano un taccuino sul quale sta disegnando, in piedi, la statua che gli sta di
fronte. Nella foto diffusa sul web ha la testa appena inclinata in avanti, lo
sguardo sul taccuino e la matita a contatto con la carta. Sull'altra, che
preferisco, - a parte che l'inquadratura è più allargata e comprende il
piedistallo del Kouros, le gambe del pittore e, soprattutto, la sua ombra con
il blocco mano, taccuino e lembo della giacca che staccandosi dalla massa del
corpo mi fanno pensare a un animale appollaiato su un ramo: nella fattispecie
un gatto con la coda spenzolante (quel gattone sornione che Matisse sembra in
tante sue immagini degli ultimi anni) -, la postura cambia di pochissimo, ma in
modo per me decisivo. Qui infatti Matisse è colto con la matita sollevata dal
taccuino e soprattutto nel momento in cui alza impercettibilmente la testa
verso l'alto per guardare meglio la statua, confrontandola con ciò che ha appena
disegnato o sta per disegnare e con l'immagine mentale che ne aveva conservato
mentre lo faceva, o che intende imprimersi prima di farlo. Il maestro la
osserva, non per copiarla, ma per imparare cosa diventano le sue forme scolpite
quando passano nel disegno. Come il suo strumento le trasforma e il suo tratto,
la curvatura e la fluidità che ormai gli sono divenuti abituali, ne viene
trasformato. Lo sguardo è attento, di sott'in su, ma quasi da pari a pari, non
da subalterno.
Così
vogliamo essere! Sempre con la gioia di imparare; con rispetto, e persino
devozione: un po' più in basso (per il tempo, la storia, la distanza dalle
origini anche quando ritornano e si approssimano di nuovo, eppure sempre
intangibili...), ma non adoranti. Sempre disposti all'ammirazione; alla
sorpresa, anche per ciò che già conosciamo o ci è familiare. All’incanto.
Sottoscrivo appieno "Sempre con la gioia di imparare; con rispetto, e persino devozione: un po' più in basso ... ma non adoranti": siam pur parte del genere umano che li creò, e il sempiterno rinnovarsi dell'incanto è (anche) l'empatia con la mente che lo pensò, con le mani che lo scalpellarono. Anche se non siamo Matisse.
RispondiEliminagrazie!
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