28/11/17

Ricordi di copertura 9 L’ultimo quadernetto di Praga (quando penso a Praga, penso a Lucio)



L'ultimo!
Sigh!
...allora sono entrato in questa piccola cartoleria in un cortile vicino alla biblioteca nazionale negli edifici del Clementinum (le biblioteche di Praga sono meravigliose... cioè, tutte le biblioteche lo sono, ma quelle di Praga di più) e alla vecchietta dietro il banco ho fatto segno che cercavo dei quaderni e lei, che mi ha individuato subito come straniero (per forza, parlavo a segni!), mi ha mostrato quelli più belli che aveva, di grandezza normale. E allora io le ho mostrato il quadernetto che avevo in tasca, e lei da sotto il banco ha estratto uno di questi e me l'ha mostrato quasi con ritrosia, come se si vergognasse di una merce, a suo parere, così scadente. Probabilmente una rimanenza. E io mi sono innamorato subito, e ho pensato che magari Kundera, Hrabal, Holan, Orten, avevano preso appunti su quadernetti come quello. L’ho immaginato nelle loro tasche, un po’ spiegazzato, e che lo togliessero in un inverno freddo come quel giorno, umido per la neve, e che poi, con i guanti, o dopo averli tolti, prendessero una penna o un lapis dal taschino e, in piedi in una piazza o all’angolo di una delle viuzze della città vecchia, scrivessero, per esempio: “Non posso uscire di casa dopo le otto di sera. / Non posso prendere un alloggio indipendente. / Non posso cambiare casa …” (J. Orten).  Me lo sono fatto dare, e ho sfogliato quelle pagine beige chiaro, rosa sporco quasi, ho guardato la copertina verde con il riquadro per i dati personali, la quarta con il marchio e l’indirizzo del luogo di fabbricazione, l’etichetta con il prezzo, l'equivalente di 30 lire (era credo il 1999, prima dell'euro), e ho fatto cenno che andava benissimo e se ne aveva altri. Lei ha replicato il mio cenno e ha estratto il mucchietto tenuto da un elastico, più o meno una trentina, che aveva nello scaffale sotto il banco. Quanti? deve avermi chiesto con lo sguardo. E io ho risposto con la mano: Tutti! E, sorridendo alla sua espressione meravigliata, tutti li ho presi e me ne sono andato felice.


(La volta successiva li ho cercati in ogni cartoleria che incontravo, ma non li ho più trovati. Al loro posto c'erano questi, scovati in un supermercato, che al momento mi sono sembrati orribili al confronto ma ho comprato lo stesso, a un prezzo molto superiore peraltro, mentre ora mi sembrano belli, abbastanza insomma (belli per il tempo, i ricordi, i miei studenti, Lucio Klobas che era con noi e li faceva ammattire tutti con le sue strambissime, per loro, uscite, e il sottoscritto che lo prendeva per la manica e lo supplicava di smetterla per pietà... il grande Lucio!), perché le cose cambiano e anche noi, a volte, diventiamo meno sciocchi.)

24/11/17

Ricordi di copertura 8. Il premiatore e aneddoto con Antonio Moresco. 8





E mi ricordo anche quel giorno che mi è venuta l’idea di un racconto intitolato “Il premiatore” (e mentre ricordo questo, mi viene anche in mente quella sera che ero in macchina con Antonio Moresco e gli parlavo del racconto “Il primo Congresso del Sindacato dei Profeti Viventi”, che poi avrebbe dato il titolo al mio ultimo libro di racconti, uscito per Effigie nel lontanissimo 2008 ma terminato già 3 o 4 anni prima, che avevo iniziato a scrivere proprio in quei giorni dopo che gli avevo inutilmente ronzato intorno per settimane, quando all’improvviso, come capita spesso, mi era venuta in mente la prima frase, che già conteneva il tono e tutto il resto, anche se ancora non sapevo cos’era quel resto, e gli dicevo quanto fossi contento di questa frase, che tuttora reputo uno degli incipit migliori non solo dei miei racconti, che pure ne hanno tanti – almeno quello – ma di tutta la letteratura mondiale di tutti i tempi, incipit che sarebbe questo: “I profeti arrivano alla spicciolata.”, e lui è scoppiato a ridere e insieme abbiamo riso per qualche chilometro, ricamandoci un po’ sopra, poi basta, abbiamo riso di altro…). E insomma tutto è nato il giorno della cerimonia informale di fine anno nella palestra della scuola. Con i proventi della vendita di un centinaio di libretti fatti e cuciti a mano da me e i miei studenti, in seguito a piccolo un corso di scrittura che avevo curato a scuola, avevo deciso di istituire una "borsa di libri" non per gli studenti migliori, ma per quelli che, indicati dagli insegnanti e secondo il registro della biblioteca scolastica, leggevano di più (di fatto i davvero migliori, per me). Che poi per puro caso, quando sono andato a Bergamo, da Seghezzi, a compare i libri, lui aveva delle borse in tela, che non si chiamavano ancora shopper, che gli aveva lasciato il rappresentante della Mondadori e me ne ha date abbastanza per tutti i premiati, così l’idea delle borse all’improvviso, senza che lo avessi preventivato, diventava fisica, e erano anche belle, solide, a parte il logo Mondadori, che va be’… però tante grazie! E così durante la cerimonia le borse piene di libri erano appoggiate su un tavolino e io me ne stavo lì, incapace di star fermo, in attesa del mio turno, mentre il rappresentante di una banca locale distribuiva degli assegni ai ragazzi, ma per la maggioranza ragazze, più scolasticamente meritevoli, che poi, quando il preside ha parlato della mia iniziativa e mi ha invitato a farmi avanti con la prima borsa, quando si è avvicinata la prima studentessa da premiare quel tipo mi ha strappato di mano la borsa e l'ha consegnata lui ai ragazzi, e così tutti le altre. Era così felice di farlo che non ho detto niente e mi sono limitato a fargli fa velina e a passargli le borse. Poi se ne è andato raggiante.
Una figura come questa merita un racconto, mi sono detto. E così ho fatto.



03/11/17

Adorazione dei Magi di Lorenzo Lotto (1554-5)



E alla mostra dei quadri di Loreto del Lotto, nella sede centrale del Credito Bergamasco, l’ultimo giorno possibile, e meno male che mi sono dato una mossa se no perdevo anche questa, tra le cose che mi hanno colpito c’era questa Adorazione dei Magi, uno degli ultimissimi da lui dipinti, che a prima vista mi è parsa imperfetta, non rifinita e mediocre al contempo (poi scoprirò che probabilmente è rimasta interrotta e c’è la mano di un aiutante), mentre poi più la guardavo più, sotto i miei occhi sorpresi, diventava bella e alla fine, anche se non lo è, ma ai miei occhi sì, bellissima, con quei colori scuri, ma magnifici visti da vicino, specie la mantellina e l’abito del Re prostrato a baciare il piedino del Bambin Gesù, che alcuni dicono autoritratto del pittore ormai entrato tra gli Oblati e che si sentiva prossimo alla morte, in quella postura mai vista in altre scene del genere, che a qualcuno può sembrare goffa, ma che in me ha suscitato un effetto di grande tenerezza, come di uno slancio, con quelle braccia rigide nello sforzo di tener su il vecchio corpo per impedire che crolli del tutto a terra, come nato proprio dalla debolezza estrema che vince se stessa grazie alla forza di una grande umiltà trovata all’improvviso, scoperta nel corpo prima ancora che nella mente, come una luce che pervade e vivifica tutto, dai capelli e la barba canuti alla fronte, fino agli abiti e agli stivali. Poi, dopo un attimo di disorientamento, vedo le case che pure occupano quasi tutta la metà superiore dell’opera, muri nudi, dai colori opachi, apparentemente uniformi, ma loro pure bellissimi, che a guardarli bene rivelano una monocromia mossa, quasi cangiante a tratti, con bagliori che si irradiano sulle pareti interne e sugli stipiti delle porte che provengono chissà da dove, dal momento che i locali sembrano spogli e disabitati e fuori la luce al massimo è quella di un crepuscolo appena accennato, lontano, confinato all’orizzonte come una sfumatura dell’azzurro del cielo, o della sua memoria, simile a quello più vivido della sciarpa del secondo Re Magio e dell’abito della Madonna. Muri che sembrano provenire da altrove, da altre geografie, non mediterranee, e altri tempi, indietro di 130 anni, verso Masaccio, e avanti di quasi 400, fino a Carrà e Rosai. Poi mi fermo, ma già li avevo notati, su quei punti bianchi, piccole pennellate più corpose, che sfavillano sull’elsa di due spade e sul fermaglio, credo, della veste e con un segno più disteso lungo le pieghe della mantellina del Magio prostrato. E risalendo da lì, mi è parso bellissimo anche il gesto del secondo Re che si leva d’impulso la corona dalla testa, proprio perché poco elegante, affrettato, così simile a quello, reverente, dei contadini che si toglievano il cappello prima di entrare nelle case dei signori, o anche alla sola loro vista. Un gesto imparentato con quello che sembra promanare dalla pittura stessa, come buttata lì, bisognosa in più punti di rifinitura dei dettagli e forse anche di una passata in più di colore, o di un leggero strato di vernice, a smorzarne l’opacità, il tono sordo e insieme poco compatto, che mi ricorda certi quadri dove la tela emerge prepotente, con la sua trama, il suo colore naturale, non trattato, e che invece è di estrema perizia e raffinatezza. Intensa emozione. Devo prendere subito degli appunti, e con un movimento incerto simile a quello del secondo Magio mi affretto verso un pilastro alle mie spalle quasi pestando un piede a una signora che mi stava accanto da chissà quanto e infine appoggio il foglio che avevo in tasca al bordo inclinato di una balaustra trasparente che mi trattiene, senza proteggermi del tutto, dal vuoto sottostante del grande atrio della banca, verso cui alla fine di ogni riga corre preoccupato il mio occhio, che teme che io ne sia attratto, a dispetto di tutte le barriere.