30/09/18

La provvidenza dove uno meno se lo aspetta. (Io lo sospettavo però).





Uno ha l’umore di traverso, tra lo stordito e l’abbattuto, perso da qualche parte su questo sentiero oggi affollatissimo, o con entrambe le magagne, nella pienezza al contempo dello stordimento e dell’abbattimento, e non ha voglia di fare nient’altro se non abbandonarsi alla sua virtù discenditiva, e meno di tutto leggere, e però, come ultima consuetudinaria forma di resistenza,  legge lo stesso, e va avanti per qualche pagina senza capirci un’acca, cioè ancora meno del solito, risicato, miserello, ma poi, per puro caso, si imbatte in una frase di Gadda capitata su una pagina imprevista, e tutto cambia, il peso sparisce, si vaporizza e sparisce, una lucina si accende e lui, sorpreso, ride. E si accorge, a ritroso, che qualcosina capito senza saperlo l’aveva. E “la c’è la provvidenza”, si dice, “lo vedi?”. Sì, sì, la c’è… Nella lingua.

29/09/18

Italofonocentrico (appunti per niente 2)




Giusto per non essere italofonocentrico
Non so voi, ma io quando sento le parole polisillabiche inglesi, rispetto al ritmo medio di quella lingua, ho l'impressione che siano stonate, fuori registro, un po' ridicole. Quelle tedesche invece, specie quelle composte come tante costruzioni Lego, le avverto, chiedo venia al grande popolo e all'infinita cultura germanica, come altrettanti sforzi di uno stitico sulla tazza. Inutili peraltro. Non azzardo paragoni con quelle polacche e slave, i cui agglomerati e picchi consonantici mi suscitano a volte fitte intercostali. Altre invece svenimenti per asfissia. Invece adoro quelle finlandesi (praticamente tutte, credo) perché mi danno l'idea di gente che se ne sta in silenzio, da sola, a rimuginare in un paesaggio sconfinato di laghi e boschi e neve, per alcuni mesi, mentre per il resto se ne sta al chiuso, in compagnia, ma con poche cose da dire, e sempre quelle, e allora se la prende comoda, e per variare, introdurre sfumature, fare battute, infilza catene interminabili di sillabe e suoni elementari, molto limitati, come lallazioni in cui tutto cambia se raddoppi o triplichi o cambi di posto a una delle sillabe basiche, e per gli ascoltatori è un gran divertimento starle a contare o badare a dove è una e dove e quante volte torna e così per le altre, oppure fingere di seguire e ascoltarle come se fosse una ninnananna, che tanto è lo stesso, e addormentarsi sereni accanto al fuoco, ronfando come gatti.

******

L'immagine non c'entra molto, ma mi piaceva metterla. Del resto anche certe lingue del becco d'anatra e dintorni non lesinano sulle sillabe...



25/09/18

Lo scoiattolo e i curiosi




C'è uno scoiattolo morto in mezzo alla strada. Due pensionati, uno con cappello floscio bianco da pescatore, l'altro con la pancia, si fermano a guardarlo. Uno si avvicina, con le mani dietro la schiena. Non è un topo, fa. È uno scoiattolo. E si china, sempre con le mani dietro la schiena, a scrutarlo meglio. Il pelo mosso dal vento, la testolina schiacciata... Bisognerebbe tagliargli la coda, dice l'altro prudentemente rimasto sulla ciclabile.
Accelero il passo.

20/09/18

La TV dei morti



Mi è venuta un'idea per un network televisivo monotematico, oggettivo, aperto a tutto e a tutti, interattivo, senza pubblicità di alcun tipo e di pura informazione. Si potrebbe cominciare da un teletext che trasmette, in tempo reale (o in leggerissima differita, per ragioni tecniche), i dati essenziali di tutti coloro che muoiono, per qualsiasi causa, a partire da quelle naturali, in qualsiasi parte del mondo, ma senza separazioni per luogo o lingua: tutti in fila, uno dietro l'altro, nella sequenza esatta, se non della morte, della sua segnalazione, secondo regole standard assolutamente non modificabili, in perfetta orizzontalità (chiedo scusa) e democrazia; teletext a cui andrebbe affiancato quanto prima un altro dedicato a tutti gli animali domestici o addomesticati, inclusi quelli soppressi o macellati, di cui specificare nome, se ce l'hanno, età e luogo e modo del decesso, come per i loro amici o padroni o esecutori o sfruttatori umani; a cui seguirà poi, con il tempo, tutta una serie di pagine con l'elenco di tutti gli esseri viventi che via via scompaiono, magari suddivisi per specie o classi, loro, che scorrono a velocità supersonica, essi pure comunque corredati di dati personali essenziali, ai quali aggiungere, avendo sufficiente personale adeguatamente addestrato e un minimo di capitali, che però non verrebbero da pubblicità o altro, anche se il concorso di imprese funebri per la segnalazione istantanea dei dati almeno all'inizio credo che sarebbe indispensabile e allora non si potrebbe evitare che almeno il nome dei fornitori possa comparire, un'altra serie di pagine dedicate ai vegetali, a loro volta suddivisi per categorie fondamentali, anche se dare un nome a ogni filo d'erba o microbo potrebbe essere piuttosto complicato, a meno che non si adotti qualche modello di classificazione astratta, con lettere di vari alfabeti in tutte le loro combinazioni, purché impronunciabili e non confondibili con parole compiute di nessuna lingua, seguito da un numero che si creerebbe autonomamente al momento dell'inserimento del nuovo dato, fino a coprire ogni essere di ogni specie vivente, anche se a molti non ci sarebbe nemmeno il tempo di insegnargli le procedure più semplici perché hanno una vita così breve, ma così breve, che morirebbero prima di apprendere alcunché; dopo di che, ma anche a opera in corso, si potrebbe affiancare a queste pagine scritte, ciascuna con un suo canale consultabile anche a ritroso con semplici comandi, per esempio da uno che volesse sapere quando è morto un suo zio, o il criceto di un amico australiano, o un cardo visto di passaggio in un prato ai margini dell'autostrada o la zanzara che aveva magnanimamente allontanato dal suo braccio senza schiacciarla o un raro moscerino della Patagonia, si potrebbe affiancare, dicevo, tutta una serie di canali, satellitari come gli altri, mi scuso per non averlo detto prima, tutti in chiaro e visibili in ogni parte del mondo, quindi che rimbalzano da un satellite all'altro per coprire tutta la superficie terrestre, in cui chiunque lo desideri possa dire, a caldo o in forma più meditata dopo riflessione conforme alla tempistica del suo lutto e della sua mente, qualcosa del suo o dei suoi morti o di quelli di ogni ordine e tipo che in qualche modo lo hanno toccato, anzi questo no, questo dopo, se no si fa confusione, in moduli commemorativi abbastanza elastici da permettergli di esprimersi nei modi più consoni ai suoi sentimenti e pensieri e valori, ovvero, per chi, per timidezza o altri deficit espressivi e cognitivi, trovasse difficoltà a escogitare forme soddisfacenti di comunicazione personale, una serie di gabbie preconfezionate dove inserire i dati del caso e l'opportunità, se lo desidera o si sente in grado, di variare o aggiungere ciò che più gli preme in questo o quel campo, con foto, disegni, registrazioni sonore, o qualunque altra cosa possa a suo avviso meglio illustrare la personalità del defunto e favorirne il ricordo, per qualità, intensità e durata; anche questo, naturalmente, consultabile ogni momento, on demand, ma gratuito, come un normale database, per rinfrescare la memoria, o semplice curiosità, ma anche per qualche forma innocua di morbosità, innocua per la materia e per l'oggetto o soggetto mi sembra chiaro, o per lavoro o come forma, quotidiana o periodica o occasionale, di preghiera o commemorazione o rito, per chiunque e da chiunque e in ogni modo e forma e tempo.
Ma non troppo elastico il modulo, perché altrimenti uno comincia a parlare dei piatti preferiti del defunto, per esempio, e già che c'è aggiunge la ricetta, poi mostra come realizzarla e apre un rubrica di cucina, o di moda se le preferenze andavano a quel settore, e un altro parla dei libri o dei film o delle canzoni per cui il morto andava matto, e li mostra o legge o canta, e alla fine, senza contare che sarebbe facile inventare passioni ad hoc e fare pubblicità a tutto vapore tanto per sfruttare anche le potenzialità di questo settore, si tornerebbe a parlare dei vivi, e solo dei vivi, e dei morti, semmai, solo in relazione ai vivi: in subordine; e allora tutto va a farsi benedire, e i morti tornano a essere solo morti, con storie sempre più brevi e dati sempre più striminziti, e alla fine più nemmeno quelli, se non in casi eccezionali, come nelle tv normali, e poi diminuiscono pure i nomi e spariscono vieppiù, come le pagine e i canali dedicati, sempre più rari, con uno solo che sopravvive, o due o al massimo tre, per i patiti, i malati, gli ossessi della morte, i fanatici della scomparsa e della dissoluzione, o giusto per documentazione, per gli storici del presente e gli etnologi del futuro: archivi di archivi di pratiche del tempo che fu, del morto tempo andato, come al tempo andato appartengono i morti, escluso i nostri, e presto anche quelli, e prima o poi, ma abbastanza presto comunque, comunque sempre presto, anche noi. Sì, noi, io, sì; e non poi così male neppure così.

1- Fabrizio Plessi - Fenix DNA
2 - Nam June Paik- Neon-tv-sculpture
 

08/09/18

Scartare quasi tutto (appunti per niente 1)



La prima cosa che si fa, praticamente, sempre, è scartare quasi tutto; dichiararlo, più spesso in modo implicito che esplicitamente, insignificante; cancellarlo, eliminarlo o, se proprio, lasciarlo sullo sfondo, indistinto, da cui estrarlo quando serve, relegando qualcos’altro, al suo posto, nell’universo del quasi nulla, salvo poi trovarsi, magari, senza parole o altre forme o strumenti per nominarlo, usarlo, forgiarlo.
Lo si riconosce, allora, come non conosciuto; lo si contraddistingue come non distinto, non adeguatamente quanto meno, e però presente qui, ora, che reclama, poiché l’hai estratto da dove stava, un nome, un uso o una forma in qualche modo definiti, precisi. Almeno come tentativo, come esistenza provvisoria, precaria, e però in quel momento e modo certa, solida, indubitabile, e quindi, finché è lì e così, fuori dal tempo; o forse, meglio, come tempo incarnato, solidificato, consolidato, inscalfibile.

03/09/18

Manganellate tramviarie (con piccola cinese e due mostre) - 2013



Sale sul tram un signore sui settant'anni, se non più. Ha una faccia da topastro manganelliana, la corporatura robusta anche se non debordante come l'originale, le guance un po' meno gonfie, lo sguardo appena appena meno vivace: per il resto ci siamo. Si avvicina al sedile dove sono accomodato un po' di traverso, le gambe accavallate, e sto leggendo. Postura da gran signore. Ma c'è spazio. Lui si installa di fronte senza guardarmi. Con la destra si regge al corrimano del sedile davanti a me, mentre la sinistra impugna un bastone verso cui inclina impercettibilmente il corpaccione. Alzo lo sguardo per vedere se qualcuno ha intenzione di cedergli il posto, ma poiché nessuno si muove, mi offro io, che sono il più anziano tra tutte le persone sedute nello scompartimento. Lui mi ringrazia, ma rifiuta. Sedersi e poi alzarsi gli creerebbe più difficoltà che stare in piedi. Le parole sono cortesi; il tono e lo sguardo tradiscono un remoto fastidio. Mi pare. Fatto sta che quasi subito si sposta sul lato opposto del tram, accanto a un tizio dai capelli grigiastri, lunghi e sporchi, con il quale scambia un paio di parole prima di aggrapparsi all'asta verticale accanto alla porta e guardare fuori per tutto il tragitto. Mi volta la schiena. Non mi guarda più. Non vuole più vedermi. Immagino. Immagina la mia lieve paranoia. La mia lieve tendenza a divagare, a costruir castelli, no: ostelli, no: baracche in aria.
Lo dimentico subito però. Perché leggo. Perché subito, con la coda dell'occhio, vedo che sul corrimano, al posto della sua zampona, c'è ora una manina. Appartiene a una ragazza cinese alta non più di un metro e mezzo, inclusi i tacchi, in proporzione smisurati. A occhio, dovrebbe avere tra i sedici e i venti anni. Hai i denti un po' storti e la pelle butterata, a differenza dell'amica che le sta vicina, che l'ha translucida, di porcellana, come non è raro vederne alle orientali. Un po' meno, ma allora splendida, alle centroeuropee e alle slave. Quasi assente alle italiane. La pelle dei maschi non saprei. Non mi interessa, chiedo scusa. Porta, la ragazza cinese (non dico cinesina perché è un cliché, anche se stavolta sarebbe appropriato), dei succintissimi pants di raso nero, con calze dello stesso colore, ma di pochi den (non coprenti e spesse come se ne vedono tante ora che questi pants inguinali vanno di moda), un giacchino bianco con intarsi di pelle e un collo di pelliccia sintetica, a ciocche sfilacciate. Le dita sul corrimano hanno unghie french manicure a motivi e ideogrammi chiari su fondo pure bianco, e non misurano più di quattro-cinque centimetri; il che non le impedisce di tenere nell'altra mano uno smartphone gigantesco nel quale parla senza pausa. Ma senza sbraitare. Con tono mellifluo piuttosto. L'insieme è quasi attraente però. Sto leggendo un russo che, proprio ora, parla delle donne di qualche paese che finisce in -stan. Magari dipende da questo. (O solo da me: sto bene.)
Quando mi alzo per scendere mi imbatto in Giuseppe D. N., il bravissimo studioso di linee e colori, e moglie, sempre giovane. "Pensavo giusto a te poco fa; che ti dovevo scrivere", mi dice. Io no. Però sono contento di vederli, non solo perché Giuseppe mi fa i complimenti per il libro che mi ha chiesto di inviargli qualche giorno fa. Mi stanno simpatici e è bello vedere come il tempo passa bene, per loro.    
Scendiamo insieme. Due commenti sui rispettivi lavori e ci salutiamo. Mi dirigo verso Palazzo Reale. C'è un sole tiepido, senza aria. Il cielo limpido. La gente seduta sui gradini del Duomo è rilassata, gli altri camminano leggeri.
Alla mostra su Costantino (sì quello in trono: l'imperatore) siamo dentro in 4 gatti. Pensare che ci sono cose splendide, che vengono da posti che giammai uno ci va!


In quella di Picasso (che peraltro sono contento di aver visto, anche se dapprima pensavo di svicolarla) pascolano scolaresche di ogni genere e specie e età: ma tutti belli; e frotte di pensionati dall'aria smarrita, ma anche allegra, e attenta, e infine sfinita, ma insomma, ancora viva, per quanto ogni tanto ci fosse un sentore di pellegrinaggio, di atto dovuto, recupero tardivo di una giovinezza mancata. Almeno non si manca la vecchiaia! (Io ero uno di loro.)


Vedo, qui, in alcuni quadretti, colori che non avevo mai conosciuto in Picasso. Chissà perché solo in opere di piccola taglia. Lucidi, violenti, acidi. Invece di vedere nelle sue opere, come al solito, solo le opere dei secoli precedenti, ora vedo anche quelle del secolo che è seguito. Alla tredicesima sala raggiungo la soglia di saturazione percettiva per quest'oggi. Mi siedo da qualche parte e chiudo gli occhi per un po'. Poi me ne vado senza guadare più niente e nessuno.
Nell'ultima sala della mostra su Costantino mi ero seduto su un divano e guardavo da lontano un quadretto con due santi e quattro piccole formelle. Nel metterlo a fuoco: è un veneto, pensavo. Non granché, ma neanche male, le due figure sopra. Direi che è un Cima da Conegliano. Appena formulata l'attribuzione, mi sono fermato, stupito. Mi sono guardato da fuori e dall'alto, sorridendo di questa vis attributoria, e più ancora della spontaneità con cui si è manifestata, come un gioco, senza la minima spocchia. Mi sono alzato per vedere da vicino: la targhetta diceva: bottega di Cima da Conegliano!
Può essere che in qualche modo sia riuscito a leggerla da lontano? (Non per sminuire le mie conoscenze, che sono discrete in materia, ma non tali da farmi riconoscere autori "minori" da lontano.) Può essere che Giuseppe D. N. avesse pensato a me proprio per avermi visto con la coda dell'occhio senza aver registrato coscientemente il riconoscimento? Può essere che la ragazza cinese sia entrata nella catena visiva dei pants neri con calze nere di den diversi e che proprio questo l'abbia resa indirettamente attraente?
Sul treno, al ritorno, chiudo ancora gli occhi per tutto il tragitto. All'andata avevo avuto un vistoso episodio di epistassi. Il sangue sgorgava a fiotti. Forse questa perdita è stata all'origine della giornata, del modo in cui ho visto le cose, del fatto che è stata buona. O forse no. Anzi, di sicuro no. Intanto non perdo più sangue: e almeno questo è un fatto.