28/01/24

Il feromone “Furioso” (Appunti per niente 44)

 

Non so, ogni volta che incoccio in qualche verso del Furioso, leggendo o nel ricordo, indipendentemente da quello che dice, mi scende nel sangue dolcezza e mi commuovo, gioisco.
Oggi è per questa quartina (grazie a Angela Borghesi):

«Orlando, fatto al corpo più vicino, / senza parlar stette a mirarlo alquanto / pallido come colto al mattutino, / è da sera il ligustro o il molle acanto»

Che dire? Niente.

E’ una specie di feromone ritmico e linguistico, per come sono io, mirato, infallibile.

Sono certo che tutti ne hanno uno. Il mio è l’Orlando furioso.

26/01/24

Vite immaginarie di Kafka (Appunti per niente 43)

 

Abbiamo un bel dire che la letteratura sono i testi e il resto non conta, ma se uno ama quelli, un po' dell'amore si riverbera attorno, invade i paraggi e vi si installa, comodo comodo. In particolare va a lambire la figura dell'autore, e non solo quando è stato in qualche modo un protagonista dei suoi tempi, ma anche solo così, per pura passione, o feticismo. Il paradosso è quando il suo oggetto è qualcuno che invece per e nella scrittura si è cancellato, o ha tentato di cancellarsi. Fosse pure come stratagemma per sottrarsi alla vita; a quella che in genere si chiama vita. A quella che gli altri chiamano vita, scandalizzandosi se qualcuno non la pensa come loro. Come Kafka, per esempio. E così le vite immaginarie di Kafka si sprecano. Tra l'altro è quello che ha sempre attratto sommamente anche me, che pure di biografie sono poco curioso. Ma se ami ciò che uno ha scritto e la scrittura è stata la sua vita, anche nel senso che la vita, le scelte e le azioni di cui è fatta, è stata subordinata alla scrittura, o addirittura vi si è dissolta, allora è normale che uno si interessi a quella vita, non in quanto vita di qualcuno che ha scritto, che al limite ci potrebbe anche stare (perché no? è una curiosità legittima), ma in quanto vita nella scrittura, dove è confluito anche ciò che l'ha preceduta, per chi ha scritto, e seguita, per chi ha letto o legge, incluso chi ha scritto. Il bello è che tutti coloro che lo pensano sopravvissuto, e sopravvissuto anche ai lager, magari perché emigrato, come qui Philip Roth peraltro in modo molto spassoso, ne dipingono non solo un'esistenza grigia (date le premesse: quelle di chi scrive... di chi immagina la vita di Kafka basandone la colorazione sull’idea di colorazione che della vita ha lui: scarsamente fantasiosa) ma anche senza opere: sia quelle che avrebbe potuto scrivere dopo l'emigrazione o prima del lager, sia quelle scritte prima, che l'autore avrebbe magari bruciato davvero, mentre invece la sua provvida morte (siamo sempre alla "provvida sventura") ha consegnato nelle mani del pio Brod e da lì nelle nostre, ancora più pie (infatti noi non ci esimiamo dal dare lezioni di morale a Brod) e al contempo disinvolte.

Benjamin avrebbe avuto (nei continuatori immaginari della sua vita) ben altro futuro! (Ma è talmente tragica - leggi: interessante, paradossale, simbolica, ecc. - la sua morte, che di solito non si fa che ruotarle attorno, subordinarle tutto, e alla fine non ci si muove da lì...)

Meno male che Kafka è morto nel ‘924. Così non ha fatto in tempo a distruggere i suoi manoscritti (anche se non è certo che l’avrebbe mai fatto: continuava a minacciarlo, ma quanto a mettere in atto le intenzioni... quasi come il matrimonio) e non è finito a Auschwitz, come i suoi famigliari; e, soprattutto, così ha lasciato libero corso a scrittori e lettori di immaginare la sua vita dopo quella data.

09/01/24

Prima che il treno parta

 


Mentre aspetto che il treno parta, concentrato nella lettura delle bozze di un bell'articolo sull'ultimo film giapponese di Wenders, ogni tanto mi sembra di avvertire la piccola scossa che precede l'avvio, due tre quattro volte, come una prova, un saltello per prendere slancio, ma ogni volta, guardando fuori dal finestrino, vedo che siamo ancora fermi, il treno e io, e che non abbiamo nessuna fretta di anticipare la partenza; che stiamo bene così, in uno stato di immobile sospensione, in una pura attesa che invece di essere è proiettata verso qualcosa che deve avvenire, se ne sta in se stessa come uno stato autonomo, pacifico, senza ansia che un futuro incombente, per quanto tenue come l'inizio di un breve viaggio, comporta.

Un’attesa senza futuro, senza complemento esterno, appagata di sé, di non essere attesa di niente, in fondo, una condizione fuori dal tempo che non richiede di uscire da sé, di sopprimersi in un’attuazione o in un cambiamento che sarebbe anche il suo coronamento, che a suo modo è già realizzato in lei stessa per come è, perennemente e perfettamente compiuto nella sua perenne incompiutezza.

07/01/24

Due formiche sul tavolo (14 giugno 2023. Attenzione alla data) - (Appunti per niente 42)

 


C'erano queste due formiche sul tavolo, accanto al libro. Venute da direzioni opposte, si sono sfregate per un paio di secondi le antenne, o piuttosto le hanno incrociate come spadaccini che si apprestano a duellare, e poi se ne sono andate ciascuna per la propria strada.
Non sono pettegolo, ma stavolta sapere cosa si sono dette non mi sarebbe dispiaciuto. Fossero pure state banalità. Averle sentite, e capite, esattamente, alla lettera, lettera per lettera.
E poi, per oggi, non sentire nient’altro.